A Umbria Jazz sentimenti contrastanti per il duo stellare Hancock-Shorter - Tuttoggi.info

A Umbria Jazz sentimenti contrastanti per il duo stellare Hancock-Shorter

Carlo Vantaggioli

A Umbria Jazz sentimenti contrastanti per il duo stellare Hancock-Shorter

Musica rarefatta e "universale" del duo di mostri sacri/ Pubblico "confuso e felice"/L'eclettico Monty Alexander scuote l'Arena Santa Giuliana
Gio, 17/07/2014 - 11:55

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(Carlo Vantaggioli)- In una recente intervista a Repubblica, l’81enne sassofonista Wayne Shorter, prima di partire in tour per una serie di concerti in coppia con l’amico di sempre Herbie Hancock, 74 anni compiuti da poco, ha raccontato ai lettori la sua personale filosofia di vita rispetto alla musica, “ Per me il significato del Jazz è andare avanti…per me è sempre un avventura aperta”.
Ed il concerto tenuto ieri sera, 16 luglio, a Perugia per UJ14 dai due colossi della storia del jazz è stato a dir poco provocatorio, al limite del Dadaismo. Oltre che una avventura aperta.
Se volessimo paragonarlo a qualcosa di più stringente come attualità, potremmo dire che è stato come andare a mangiare in un ristorante dove si architettano pietanze di cucina molecolare, dove non ti verrà mai servito del parmigiano grattugiato o in scaglie ma una mousse dello stesso composto ottenuta con la tecnica del vuoto spinto. Che i due musicisti si conoscano bene è un fatto. E che i due ci giochino sopra è anche una virtù, giunti alla loro età.

Shorter ed Hancock si frequentano dal lontano 1962, quando suonarono insieme nel quintetto di Miles Davis. Da allora a più riprese si sono ritrovati in vari progetti comuni pur seguendo due distinte carriere, anche dal punto di vista delle scelte musicali.
Cosa abbiano suonato ieri sera i due non è facile da raccontare. Ci proveremo sempre per metafore e narrando i fatti, che in questo caso non definiscono completamente le sensazioni provate nella platea del Santa Giuliana, ma almeno provano ad avvicinarsi ad una realtà per immagini che aiuta a capire.
Innanzitutto non c’è un progetto musicale classico alla base, ovvero non esiste un cd o una registrazione di quello che i due artisti hanno eseguito ieri sera sul palco, ma è visibile a tutti una partitura scritta (che proverà a volare via più di una volta dal leggio di Hancock, a causa del vento), che aiuta entrambi a iniziare un tema che poi verrà sviluppato rigorosamente secondo uno schema di dialogo mai identico, ma piuttosto si potrebbe dire “affine”. Qualcosa di simile, musicalmente parlando,  i due artisti lo avevano fatto verso la fine degli anni’90 con un cd dal titolo “1+1”
Un contrappunto stilistico come quello del concerto di ieri sera ha il suo fascino e lascia una enorme libertà di esecuzione che potrebbe non avere un termine predefinito. I due suonano e non sanno quando il loro pezzo terminerà, o meglio lo sanno nel momento in cui ne hanno abbastanza tutti e due.
Il genere suonato? Tutti e nessuno, con un certo orientamento all’universo! Innegabile l’influenza delle loro scelte di vita filosofiche e religiose. Entrambi sono buddisti praticanti.
Più di una volta, alcuni passaggi del concerto, a chi scrive, hanno fatto tornare alla mente altri dialoghi dei tempi in cui Shorter militava nei Weather Report (CLICCA QUI) e contrappuntava con il mai dimenticato tastierista Joe Zawinul. Anche se in quel caso si trattava di scrittura musicale vera e propria in pezzi più complessi.
Non c’è stata mai una gerarchia esecutiva tra i due e la naturale inclinazione di Hancock ad esagerare con il volume del suo “giocattolone” elettronico, non ha mai disturbato più di tanto i passaggi di Shorter che ha l’unico, vero, difetto dell’età e quindi della impossibilità di tenere a lungo una nota o un fraseggio del suo intervento.
Per il resto la platea è rimasta in silenzio, a tratti disorientata, ascoltando un concerto che forse era più adatto ad un teatro, che non all’ Arena perugina.
Hancock, visibilmente il più “fresco” dei due cerca anche di spiegare al pubblico cos’è quella “mousse” che è stata servita al Santa Giuliana, ma riesce solo a fare un dialogo alla Celentano, con 2/3 concetti brevi sul sentimento e robe tipo “peace and love” condite poi da lunghe pause, un po’ imbarazzanti. Shorter altrettanto, con il risultato che gli spettatori si fanno la convinzione che nemmeno loro sapevano cosa stavano suonando. Rimane però il loro sorriso, e a questo punto non si sa, se per la gioia di stare insieme, per il cachet pagato dal patron Pagnotta, o per lo scampato pericolo dei fischi.
In verità è difficile che accada che i due possano essere fischiati, ma quella leggera sensazione, a tratti, di “presa per i fondelli” confessiamo di averla avuta.
Da un concerto simile si esce solo con sentimenti contrastanti, ed in fondo non è detto che questo non sia il vero scopo dei due mostri sacri, che riceveranno al termine dell’esibizione molti applausi, ma non tanti da ottenere un bis. Ammesso che ci fosse un bis di qualcosa da suonare.
Cambiato set sul palco dell’Arena Santa Giuliana, fa il suo ingresso in scena il divertente gruppo di Monty Alexander, un bravissimo pianista e compositore che da 50anni e con oltre 60 lavori alle spalle (anche lui, con 70 primavere compiute, non è di primo pelo) scalda platee in giro per il mondo con una combinazione originale di jazz e reagge.
Monty Alexander, nato nel 1944 in Giamaica, inizia a suonare il piano a 6 anni e nel 1961 si trasferisce negli Stati Uniti, dando inizio ad una ricerca musicale che lo ha portato alla fusione di diversi mondi musicali: il jazz statunitense, la musica popolare e il reggae della sua nazione d’origine, creando un combo musicale originale e apprezzato da un pubblico molto eterogeneo.
Numerosissime, eclettiche e di livello le sue collaborazioni: Dizzy Gillepsie  Sonny Rollins, Frank Sinatra, Tony Bennett, Bobby McFerrin, fino alla colonna sonora di “Bird”, il capolavoro di Clint Eastwood dedicato a Charlie Parker.
In Harlem Kingston Express vol. 2: The River Rolls On in uscita nel 2014 celebra il suo settantesimo compleanno e fonde le sue due culture di ispirazione, la musica giamaicana e il jazz americano: un superbo lavoro che rappresenta al meglio la storia artistica di Alexander.
Sul palco di Umbria Jazz hanno suonato ieri sera, Hassan Shakur, contrabbasso, Obed Calvaire, batteria, Andy Bassford, chitarra, Leon Duncan, basso elettrico , Karl Wright, batteria e percussioni. Musicisti che la sanno lunga di palcoscenico e che sanno coinvolgere il pubblico che trova un motivo per “riscaldarsi” dopo essere stati cucinati e raffreddati con l’azoto liquido di Hancock-Shorter.

Sonorità orecchiabili a volte riconoscibilissime e furbette, come quando Hassan Shakur strimpella nel suo assolo almeno 4-5 pezzi di fama internazionale tra cui uno dei Beatles, o i due batteristi si sfidano in una vera e propria drum battle.

Insomma un easy listening che chiude in allegria la serata del 16 luglio. Per come si era messa all’inizio meglio così.

Riproduzione riservata

(Video: Nicola Palumbo- Foto: Tuttoggi.info)


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