La Industrie Metallurgiche Spoleto e la Isotta Fraschini sono fallite. Il giudice di Spoleto, Roberto Laudenzi, ha in queste ore decretato la fine delle due storiche aziende dello spoletino che da sei anni si trovavano in amministrazione straordinaria e per le quali, nonostante numerosi tentativi, non è stato possibile trovare un acquirente.
Finisce così miseramente una storia industriale che, nel bene e nel male, ha accompagnato gli ultimi 57 anni di vita della città del festival arrivando ad occupare centinaia di lavoratori e relative famiglie.
Una sconfitta che chiama direttamente in causa anche la politica che fino a poche settimane fa si diceva ottimista in una risoluzione positiva della vertenza.
Con il decreto di fallimento sono stati nominati anche i due nuovi liquidatori che dovranno adempiere alla mole di lavoro che ora si prospetta.
Stando a quanto ha potuto apprendere Tuttoggi, in attesa di conferme ufficiali, si tratterebbe del commercialista folignate Gianni Cianetti e della collega di Spoleto Paola Nannucci.
La rabbia del sindacato
Ad anticipare la notizia è stato il segretario regionale della Fim Cisl Adolfo Pierotti che da sempre segue la delicata vertenza. Un commento durissimo il suo che chiama in causa tutti gli attori, dalla politica alle istituzioni.
“Dalla comoda poltrona della sua abitazione il giudice ha decretato la fine di una storica azienda di Spoleto che in tempi neanche tanto lontani dava lavoro a più di 500 operai” dice a Tuttoggi Pierotti “avevamo capito da tempo che la fine era scritta perché le manifestazioni di interesse pervenute ai commissari si sono rivelate dei bluff clamorosi”.
“A cui si sono aggiunte tutte le chiacchiere di chi andava sbandierando tutto il proprio impegno in favore dei lavoratori senza fare alcunché di concreto. Così oggi ci troviamo davanti a questo duplice fallimento. Ritengo che gli unici attori che si sono impegnati per tenere viva la situazione, benché maltrattati da tutti, sono stati i sindacati che sono riusciti ad ottenere tutti gli ammortizzatori sociali possibili”.
“Ora poi che sono cambiati i curatori fallimentari” continua Adolfo Pierotti “dovremo riallacciare i rapporti, cominciare un nuovo confronto. Il nostro primo obiettivo rimane quello di ottenere dal Ministero del lavoro un anno di cassa integrazione per cessazione. Non conosco ancora i nomi dei curatori, so però che sono professionisti del territorio e spero che capiscano la gravità del problema sociale che questa azione determina”.
L’obiettivo, ovviamente, è quello di scongiurare i licenziamenti di massa che riguarderebbero circa 200 dipendenti. “Sono davvero avvilito e arrabbiato perché questa azienda, per le potenzialità che ancora ha e la professionalità delle maestranze non meritava una simile fine. Speriamo che i pappagalli che in questi mesi hanno dato aria al becco, non si avventurino ancora a illudere gli operai di chissà quale miriade di compratori interessati ad acquisire l’azienda ora che è fallita” conclude il segretario generale della Fim Cisl.
L’auspicio del Comune
A confermare la notizia del decreto di fallimento è stato in serata il primo cittadino Umberto De Augustinis.
Il Sindaco, a quanto fanno sapere i bene informati, da un lato non si è detto sorpreso del fallimento, dall’altro auspica che questa nuova situazione possa portare presto qualche investitore a rilevare il sito industriale di Santo Chiodo. Probabilmente De Augustinis è in possesso di informazioni arrivate ai Commissari che hanno accompagnato in questi sei anni l’amministrazione straordinaria delle due società.
Di certo per i 200 dipendenti, che solo in questi giorni hanno ricevuto la cassa integrazione degli ultimi sei mesi, si tratta di una doccia gelata che non può che aumentare tensioni e preoccupazioni.
La storia
Era il 18 aprile 1963 quando la Fonderie e smalterie genovesi, che faceva capo alla holding Pozzi, inaugurò a Santo Chiodo lo stabilimento della ghisa malleabile.
Spoleto aveva saputo cogliere al volo l’occasione dettata dalla decisione delle Acciaierie di Terni di chiudere il reparto della ghisa, non senza una ridda di polemiche da parte dei lavoratori e sindacati del sito ternano.
Lo stabilimento nacque così su un’area di 13 ettari con oltre 1,5 miliardi di lire di investimenti e 400 posti di lavoro nuovi di zecca che diedero un qualche respiro alla grave crisi economica che attraversava la città del festival.
A condurre in porto l’operazione fu l’intesa trovata tra democristiani e comunisti: i primi rappresentati dal parlamentare del territorio Filippo De Micheli e il ministro Emilio Colombo, i secondi dall’illuminato sindaco Gianni Toscano che all’inaugurazione, pur apprezzando molto l’avvio dell’attività industriale, sottolineò come la nascita del sito non avrebbe risolto “i problemi di una crisi fortemente penalizzante per lo spoletino”.
Lo sviluppo dell’azienda arriva a contare oltre 500 dipendenti. Alla fine degli anni ’80 comincia però la crisi che sembra in qualche modo superata con l’arrivo della famiglia che controlla il Gruppo Casti-Cagiva.
Certo non mancano le iniezioni di liquidità da parte dello Stato, ma l’azienda sembra andare avanti.
Con il finire del primo decennio del nuovo millennio la situazione comincia invece a farsi sempre più nera. E’ il 10 luglio 2014 quando il Tribunale di Spoleto decide lo stato di insolvenza sia della IMS che della Isotta Fraschini. Ad ottobre l’avvio dell’amministrazione straordinaria – affidata ai Commissari Simone Manfredi, Marco Sogaro e al compianto avvocato Claudio Franceschini (sostituito nel 2017 da Elena Bernardi).
6 anni durante i quali alle speranze si sono alternate le delusioni per il mancato arrivo di un acquirente per risollevare le sorti dell’azienda. Oggi però anche le più tenui speranze hanno lasciato il passo all’ultima, definitiva delusione
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