Progetto Parco nazionale, dove come e perché | "Conseguenze" aprono vasto fronte dei "no" - Tuttoggi.info

Progetto Parco nazionale, dove come e perché | “Conseguenze” aprono vasto fronte dei “no”

Davide Baccarini

Progetto Parco nazionale, dove come e perché | “Conseguenze” aprono vasto fronte dei “no”

Il “Parco nazionale Catria, Nerone e Alpe della Luna” è al centro di un ddl risalente al 2015, Guasticchi (Pd) e Mancini (Lega) annunciano interrogazioni in Regione
Sab, 14/07/2018 - 09:37

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“Parco nazionale Catria, Nerone e Alpe della Luna”. Un progetto che, soprattutto in questi giorni, ha fatto eco in molte stanze istituzionali, soprattutto in quelle dove regnano forti perplessità su di esso.

Il progetto

L’idea, in realtà, esiste dal 15 aprile 2015, quando 29 deputati (24 di “Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia e Libertà-Possibile”, 3 del Movimento 5 Stelle e 2 del Partito Democratico) depositarono alla Camera una vera e propria proposta di legge su un Parco Nazionale interregionale di oltre 35mila ettari, che coinvolgerebbe 20 Comuni, 4 Province e 3 Regioni. Solo oggi il tema è prepotentemente tornato in auge, sostenuto con forza dal comitato omonimo ma avversato da più parti.

L’area appenninica Catria, Nerone e Alpe della Luna presenta un patrimonio ambientale e storico-culturale di grande potenziale – si legge nel ddl del 2015 – Attualmente, nonostante le tante attrattive, l’offerta turistica è gestita in modo frammentario e attività come agricoltura e artigianato sono in grande difficoltà. Da qui l’esigenza di innescare un circuito di sviluppo ecosostenibile, nell’ambito di un processo di tutela e piena salvaguardia di un’area importantissima dal punto di vista botanico e faunistico (specie rarissime di piante e animali), geologico, storico (con la presenza di diversi eremi e monasteri) e della biodiversità”.

Le aree interessate

Nel dettaglio le aree geografiche interessate sarebbero 4: Massiccio calcareo del Monte Catria, nei Comuni marchigiani di Cagli, Cantiano, Frontone, Sassoferrato e Serra S. Abbondio e in quelli umbri di Scheggia e Pascelupo; Massiccio calcareo del Monte Nerone, nei Comuni marchigiani di Apecchio, Cagli, Piobbico, Urbania e Sant’Angelo in Vado; Catena delle Serre e Foresta demaniale di Pietralunga-Bocca Serriola (in larga parte nei Comuni umbri di Città di Castello, San Giustino, Pietralunga, Montone e Gubbio); Massiccio arenaceo dell’Alpe della Luna, nei Comuni marchigiani di Borgo Pace e Mercatello sul Metauro e in quelli toscani di Badia Tedalda, Pieve Santo Stefano e Sansepolcro.

Gli obiettivi del Comitato Pro Parco

Tra gli obiettivi principali del Comitato per il Parco Nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna, stilati nel sito ufficiale dell’associazione, troviamo “la promozione del progetto, la divulgazione di informazioni che concorrono a formarne la proposta, studi e ricerche per realizzare proposte concrete di perimetrazione, organizzazione e gestione, confronto, dialogo e collaborazione con istituzioni e organizzazioni del territorio direttamente interessate dal progetto”. L’idea successiva è quella di istituire un “Ente Parco“, costituito da presidenti di Regioni e Province, sindaci di Comuni e presidenti delle Unioni Montane nei cui territori sono ricomprese le aree del parco, oltre ad un presidente, un Consiglio direttivo e un direttore del parco. L’Ente, una volta costituitosi (tramite elezioni interne), dovrà poi elaborare un Piano, suddividendo il territorio in base al diverso grado di protezione, con specifiche riserve (integrali; con divieto di nuove costruzioni; aree dove sono consentite attività agro-silvo-pastorali, di pesca e raccolta di prodotti naturali; riserve dove sono incoraggiate produzioni artigianali di qualità e di promozione economica e sociale).

Le “conseguenze” del Parco

Le maggiori perplessità arrivano quindi dalle “conseguenze” a cui tutto ciò può portare, soprattutto a cambiamenti e limitazioni per quanto riguarda l’agricoltura, raccolta funghi/tartufi e caccia/pesca. Come succede attualmente nelle Foreste Casentinesi, ad esempio, le nuove attività agricole sarebbero autorizzate solo se ispirate a criteri biologici e sostenibili mentre fitofarmaci e fertilizzanti sarebbero consentiti in accordo coi dosaggi minimi UE. Per non parlare del divieto Ogm. Per quanto riguarda i funghi la raccolta sarebbe gratuita per i soli residenti del Parco (per gli altri è previsto un tariffario a salire), mentre per il tartufo si parlerebbe di numero predefinito di autorizzazioni ai residenti che conseguano un corso formativo valido 2 anni (e registrazione giornate di raccolta). Nella pesca, gratuita anch’essa per i residenti, con licenza e tesserino, verrebbero imposti limiti anche su orari, date e numero di esemplari da pescare. Ma a preoccupare più di tutti è la caccia, dove all’interno dei Parchi Nazionali vige il divieto assoluto. Solo in casi particolari sarebbe prevista l’adozione di programmi di contenimento di specie alloctone e prelievo selettivo del cinghiale.

Arci Caccia sul piede di guerra

Un punto, quest’ultimo, che ha scatenato i comitati federativi Arci Caccia delle tre Regioni coinvolte che, considerando l’idea del Parco “pura utopia e “una proposta avanzata da una manciata di passeggiatori della domenica”, hanno invitato agricoltori, cacciatori e cittadini a tranquillizzarsi: “La Politica di ogni colore lo ha già capito e per questo nulla si farà – hanno detto i presidenti regionali Arci Caccia Gabriele Sperandio (Marche), Sirio Bussolotti (Toscana) ed Emanuele Bennati (Umbria) – I promotori del Parco, abili a raccontare solamente i residuali aspetti positivi di un’area protetta di grande estensione, non si soffermano, vuoi per carenza di competenze, vuoi per comodo, sui non pochi aspetti negativi. È sufficiente analizzare cosa stia accadendo nel Parco delle Foreste Casentinesi, dove si decise di chiudere una vastissima area a protezione di non si sa che cosa. Assoluta assenza di specie faunistiche e vegetali di particolare interesse, alte densità di aree boschive artificiali, spesso costituite da specie arboree alloctone, importante presenza di aziende agricole, alcune basate sull’allevamento, altre sulle attività silvicole“.

Il lupo e gli ungulati (soprattutto cervi, daini e cinghiali) già largamente problematici in gran parte del territorio nazionale, aumenteranno esponenzialmente e, come sta accadendo in diversi Parchi, andranno ad assorbire gran parte delle risorse umane ed economiche destinate alla gestione dell’area protetta, risorse inizialmente “vendute” dai promotori del Parco come ricchezza per le comunità locali, ma che andrà solamente a pochi a discapito dei tanti, soprattutto agricoltori e allevatori

Il fronte dei “No”

Un “No” all’istituzione del Parco nazionale del Catria, Nerone e Alpe della Luna viene anche da entrambi i vicepresidenti dell’Assemblea Legislativa dell’Umbria, Marco Vinicio Guasticchi (Pd) e Valerio Mancini (Lega), che hanno comunicato di aver depositato le rispettive interrogazioni sul tema alla giunta di Palazzo Donini. Secondo Guasticchi si è davanti ad “un percorso anomalo, svoltosi in maniera speculativa per raggiungere un obiettivo che interessa pochi e danneggia molti. L’iniziativa è partita da parlamentari sconosciuti ai più, a cui si sono aggregati vari ambientalisti locali, escludendo gran parte degli operatori dei settori interessati”.

E’ stata esclusa soprattutto la Regione Umbria il cui parere, come molti dovrebbero sapere, diventa determinante per la nascita di questo ennesimo parco nazionale. Tra l’altro la Regione non è stata interpellata neanche come proprietario delle centinaia di ettari di demanio regionale che viene direttamente interessato dalla nascita dell’area protetta

Non è assolutamente vero – aggiunge Guasticchi – che la Regione è favorevole, anzi, da sempre l’ente si è dimostrato critico nei confronti della gestione che limita le attività dei residenti. L’atteggiamento costantemente ostile al mondo venatorio e della pesca sportiva in queste aree protette crea soltanto disequilibri ambientali, dove specie come cinghiali, caprioli e volpi determinano condizioni critiche nel mondo agricolo e faunistico. Già ora queste aree sono tutelate da vari vincoli ambientali che salvaguardano l’integrità del paesaggio e del mondo agricolo, miscelando sapientemente attività venatoria e pesca con attività agricole e di raccolta di tartufi e funghi: il parco andrebbe soltanto a complicare la vita e le attività economiche del territorio interessato”.

Per Mancini un “parco nazionale a cavallo tra Umbria Marche e Toscana è inutile, l’ennesimo carrozzone pensato per creare poltrone lautamente pagate. Si tratta di un progetto che ingesserà il nostro Appennino, produrrà vincoli e bloccherà lo sviluppo di un territorio enorme, con evidenti ricadute sui territori circostanti. E per questo numerose associazioni venatorie, imprenditori e agricoltori sono molto preoccupati“.

Diciamo ‘No’ a diventare delle riserve. Per questo sottoporrò il progetto ai parlamentari della Lega. Si pensi, piuttosto, a remunerare il lavoro dei nostri agricoltori e dei nostri boscaioli che preservano un territorio bellissimo senza l’assistenza di blasonati seggioloni da Parco

Anche il tifernate Luca Secondi, responsabile regionale umbro del dipartimento Agricoltura del Pd, ha  manifestato una serie di perplessità: Risulta anomala la procedura che non vede coinvolte le istituzioni regionali responsabili del demanio. Sia nella forma che nella sostanza la prassi seguita non risulta idonea. Anzi si scavalca il livello regionale per andare direttamente a una proposta parlamentare. Anche il merito della proposta risulta molto fumoso e, soprattutto, le criticità potenzialmente connesse destano preoccupazione”.

Le politiche di valorizzazione ambientale, turistica e paesaggistica sono sicuramente un fattore di sviluppo importante ma vanno conformate alle esigenze dei territori, con un profondo iter partecipativo, di analisi, costi e benefici. Mettono forti dubbi tutta una serie di vincoli e limitazioni che una scelta del genere comporta di conseguenza. Vincoli che potrebbero incidere pesantemente su molte aziende agricole di quei territori, il cui fatturato è legato alla gestione del bosco, alla rotazione colturale e alla zootecnia

Pertanto – conclude Secondi – si ritiene di fermarsi nell’iter parlamentare intrapreso per permettere una valutazione più approfondita, un’analisi veramente tecnica, con una maggiore partecipazione dei territori e dei portatori d’interesse che vi insistono, e con la regione che deve esprimere un parere per legge”.

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