Sono tutti preoccupati per la crisi, la maggior parte ne accusa le conseguenze sul proprio bilancio familiare, sul livello dei consumi, nello stile di vita dove taglia il “superfluo”, e sulla capacità di risparmio; temono soprattutto – come conseguenza – l’aumento delle tasse locali e il taglio dei servizi, ma soprattutto, ed inequivocabilmente, bocciano la politica, considerata non solo del tutto inadeguata a fronteggiare l’emergenza, ma anche causa principale della situazione attuale.
E’ questo il quadro sintetico che emerge dal Focus sul rapporto tra consumi e crisi economica realizzato dalla Confcommercio della provincia di Perugia in occasione del 3° Forum Economia e Società, in programma venerdì 14 ottobre alla Sala dei Notari, a partire dalle ore 9, ormai tradizionale appuntamento annuale, dedicato in questa edizione al tema: “Piccole imprese, grande risorsa, per un diverso modello di sviluppo”.
Su tutto domina il giudizio pesante rispetto alla politica in generale, nazionale e regionale, senza differenza di schieramenti: il 93% del campione casuale di 300 cittadini intervistati ritiene infatti che la politica stia fronteggiando l’emergenza economica con azioni insufficienti, addirittura per il 51% gravemente insufficienti.
Ma c’è di più: la politica non è solo considerata inadeguata ad apportare correttivi e a pilotare la nave fuori dalla tempesta, ma viene anche additata dall’80% del campione come principale responsabile del sommovimento economico, seguita dal sistema della finanza (41%), mentre il 39% boccia in toto il modello di sviluppo occidentale troppo consumistico. Responsabilità e sfiducia nelle istituzioni a parte, nessuno sfugge alla “cappa” di preoccupazione generata dalla pesante situazione economica generale.
Un po’ più articolata la situazione quando si va a vedere l’effetto sui consumi: un 25% è molto preoccupato e dichiara di aver subito un impatto forte sulla propria capacità di acquisto, mentre il 62% dichiara una influenza lieve. Un 11%, pur essendo in apprensione, continua con il consueto stile di vita, e solo l’1% non si cura per nulla di quello che sta accadendo.
Gli umbri, che hanno stretto la cinghia, hanno tagliato prima di tutto il cosiddetto “superfluo”, ovvero le vacanze, alberghi e pasti fuori casa (68%) seguiti dai beni ed i servizi ricreativi (48%) e dall’abbigliamento e calzature (47%).
Si risparmia meno sulla cura della persona (19%), su alimenti e bevande e beni e servizi per la casa (13% ciascuno), sulla mobilità e sulle comunicazioni (6% entrambi), mentre curioso fanalino di coda con un 2% è il risparmio sui tabacchi, segno che il “vizio del fumo” ha ragione anche della crisi.
Da quando gli umbri hanno cominciato a stare più attenti alla gestione del proprio portafoglio? La maggior parte degli intervistati dichiara di aver “avvertito” concretamente la crisi nei due anni “centrali” 2009 (37%) e 2010 (34%), mentre solo il 18% ha iniziato ad avere problemi nel 2011. Interessante il fatto che per un altro 11% la crisi si è manifestata in anni compresi tra il 2005 ed il 2008, quindi ben prima del periodo che per convenzione viene indicato come inizio ufficiale della stessa (autunno 2008).
A comprimere la capacità di consumo degli umbri ci sono le spese cosiddette obbligate ed incomprimibili (es. mutui, assicurazione e bollo auto, servizi elettrici e gas,etc.): per il 21% del campione incidono addirittura oltre il 50% del proprio bilancio, per un 54% comunque tra il 30% e il 50%. Questo dato si enfatizza considerando che l’82% degli intervistati ha dichiarato che le suddette spese obbligatorie sono aumentate negli ultimi tre anni, mentre solo un 18% parla di incidenza immutata e proprio nessuno dice che sono diminuite!
Se il presente non è roseo, il futuro appare ancora più nebuloso. Il 54% ha dichiarato infatti che la propria capacità di spesa diminuirà certamente, il 31% che rimarrà stabile e solo per il 15% aumenterà. Il tutto a conferma di una pressoché totale stagnazione dei consumi su valori molto lontani dal periodo pre-crisi.
In questo contesto così complicato e con margini di disponibilità così rigidi, la tenuta del sistema economico e sociale dell’Umbria è messa a dura prova: interrogati circa gli effetti provocati da una spesa urgente ed imprevista sul proprio bilancio familiare, il 73% ha affermato che riuscirebbe a farvi fronte, ma con difficoltà, a cui si aggiunge un 17% che non sarebbe in grado di affrontarla senza rinunciare a qualcosa di essenziale e ricorrere ad un aiuto esterno, ad esempio i parenti. C’è poi un 10% più fortunato per il quale un impegno economico imprevisto non creerebbe alcun problema.
Ma cosa temono gli umbri come peggiore conseguenza della crisi a livello locale, con riferimento all’incidenza che avrà sulle loro “tasche”? Innanzitutto e prevalentemente (66%) l’aumento ulteriore delle spese obbligatorie, ovvero tasse e tariffe, seguito al 48% dal timore di tagli nei servizi, soprattutto relativi a sicurezza, sanità e nettezza urbana. Seguono l’innalzamento dei ticket sanitari e la mancanza di risorse per progetti di sviluppo economico (entrambe al 39%).
Pur nell’emergenza, gli umbri non sembrano rinchiudersi nell’individualismo, ma evidenziano una significativa coscienza etica: guardando al futuro, infatti, la preoccupazione maggiore è il continuo arretramento della nazione e dell’Umbria nel suo complesso (68%). Gli aspetti strettamente personali, come perdere il lavoro ed il timore per il tenore di vita vengono molto dopo, e sono rispettivamente al 15% ed al 14%.
Sostanzialmente divisa l’opinione su cosa rappresenti questa crisi nel futuro: una maggioranza (54%) pensa che non si tornerà più alla situazione economica e sociale del pre-crisi e che tutto cambierà. Mentre il 46% pensa che, nonostante il momento difficile, le cose poi riprenderanno come prima.
L’indagine è stata effettuata su un campione di 300 intervistati: 62% donne e 38% uomini, al 90% umbri, per il 10% domiciliati in Umbria ma residenti in altra regione; per il 66% lavoratori dipendenti, il 13% lavoratori autonomi, il 6% studenti, il 7% disoccupati, il 6% pensionati, il 3% casalinghe; titolo di studio prevalente diploma di secondo grado, con il 56%, e laurea; fasce di età comprese tra i 18 e i 70 anni.