Dopo ben 14 anni dalla storica vincita al Superenalotto del 22 settembre 2011 – 65 milioni piovuti sulla città di Gubbio – la Corte d’appello di Perugia ha confermato la sentenza di primo grado relativa alla vicenda del vincitore “mancato”, rimasto escluso dal gruppo dei quasi 100 partecipanti al sistema fortunato per una circostanza alquanto singolare.
Il ricorso, presentato dagli eredi dell’uomo – che ha sempre reclamato la sua parte (circa 650mila euro) – è stato infatti respinto per insufficienza di prove, condannando perfino i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La vicenda ha avuto origine quando un sistema da 100 quote da 4 euro ciascuna, giocato al bar Europa di via Matteotti, centrò il jackpot multimilionario, una delle vincite più grandi di sempre in Umbria e in Italia. L’eugubino, ritenendosi parte della giocata vincente, sostenne di aver versato 10 euro alla cassiera la sera prima dell’estrazione (senza ricevere alcuna ricevuta). Tuttavia il denaro consegnato sarebbe stato interpretato dalla donna come “pagamento di una consumazione“.
Dopo il rifiuto del tribunale civile di Perugia di riconoscergli una quota della vincita, gli eredi dell’uomo – nel frattempo deceduto – hanno impugnato la decisione, contestando un errore nell’interpretazione delle prove. Essi hanno infatti ribadito che il versamento della somma alla cassiera fosse destinato all’acquisto della quota e che alcuni testimoni avrebbero pure confermato questa tesi.
La Corte d’Appello, però, ha ritenuto che le prove non fossero sufficienti a dimostrare in modo inequivocabile la partecipazione alla giocata vincente. Non essendoci documentazione o ricevute che attestassero l’acquisto della quota, il giudice ha quindi stabilito che il semplice versamento di denaro non bastasse ad avere il diritto alla vincita.
Inoltre, nel bar erano attivi due distinti sistemi di gioco, “rosso” e “blu”. L’impossibilità di stabilire con certezza a quale dei due fosse destinata la presunta quota, ha ulteriormente indebolito la posizione del ricorrente. I giudici hanno evidenziato che, in casi come questo, le presunzioni devono essere gravi, precise e concordanti, requisiti non soddisfatti in questa vicenda. Gli eredi del giocatore, dunque, si vedono definitivamente esclusi dalla suddivisione del montepremi.