Al Tribunale di Firenze ricreata con l'intelligenza artificiale la scena del crimine dell'omicidio del 24enne assisano Davide Piampiano
Il metaverso come “guida” a casi di cronaca nera. Non è fantascienza, ma la realtà, come riporta Civiltà delle Macchine, rivista trimestrale della Fondazione Leonardo, visto che è stato infatti utilizzato già in un caso di cronaca che riguarda l’Umbria, la tragica morte di Davide Piampiano, permettendo ai giudici e alle parti civili – grazie all’uso di visori per la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata – di “immergersi” per capire come si è svolta la scena del crimine, non solo immaginandola ma anche “vivendola”. Al momento questo tipo di prove non è ammesso in ambito di giudizio e quindi, nel caso dovesse essere ammesso, il processo per omicidio colposo sulla morte del giovane di Assisi, davanti al tribunale di Firenze, sarebbe il primo ad usare questo tipo di supporto in via sperimentale.
“Negli ultimi mesi, presso il Tribunale penale di Firenze, si sono svolte le indagini del primo caso di giustizia immersiva al mondo. E qui – scrive la rivista – davvero non si tratta di un gioco. Piuttosto di un omicidio, avvenuto lo scorso anno tra le colline di Assisi, forse un incidente di caccia“. Si tratta del caso di cronaca che ha purtroppo avuto come vittima il 25enne Davide Piampiano; quello che sulle prime sembrava un colpo autoinferto si è in realtà scoperto essere – anche grazie a un video della GoPro che il giovane portava con sé – un colpo partito dall’arma di Piero Fabbri, 56enne concittadino, amico di famiglia e della vittima, ora accusato di omicidio colposo.
Se fino a oggi ogni giudice, “alla luce di prove, testimonianze e perizie, si è sempre figurato mentalmente la scena del crimine, adesso può entrarci. E puoi entrarci anche tu”. La ricostruzione è infatti visibile a questo link. Il ricreare scene del crimine con la realtà immersiva – spiega sempre “La civiltà delle macchine” – avverrà grazie a Massimiliano Nicolini e alla Olitec (Olivetti tecnologia). Il protocollo operativo OPM (Olimaint Proximity Management) che ha generato questa simulazione utilizza un incrocio di tecnologie non incasellabile nella mera virtualità.
La ricostruzione è effettuata mediante il LIDAR (Light Detection and Ranging), un sistema di rilevamento che sostanzialmente sfrutta il principio del laser: quando la luce colpisce un oggetto, una parte di essa viene riflessa indietro verso un sensore, che può dunque calcolare il tempo di andata e ritorno e produrre un’immagine grezza, una “nuvola di punti”, di ciò che accade intorno al dispositivo. Sia in tempo reale, sia retrospettivamente, a posteriori. Una volta raccolti i dati ci si affida all’intelligenza artificiale, che “incrocia le rilevazioni della scientifica, le perizie effettuate, e poi la simulazione del corretto movimento del fogliame, la riproduzione dei rumori di fondo, l’analisi dei parametri relativi a temperatura, umidità, velocità del vento, inclinazione e pendenza del territorio, morfologia della zona, situazione meteorologica, analisi satellitare del cambiamento di questi parametri dal momento dell’evento delittuoso al momento della ricostruzione. A questo punto appare il visore: può indossarlo il giudice, e può indossarlo l’imputato. E qui – conclude la rivista – la macchina del tempo si trasforma in macchina della verità: i suoi dati biometrici ci diranno se sta davvero rivivendo il momento del delitto”.