A Umbria Jazz 16 le "memorie" di Steps Ahead e Marcus Miller - Tuttoggi.info

A Umbria Jazz 16 le “memorie” di Steps Ahead e Marcus Miller

Carlo Vantaggioli

A Umbria Jazz 16 le “memorie” di Steps Ahead e Marcus Miller

Jazz, fusion e funk i temi portanti della serata ma con la testa sempre rivolta al passato
Dom, 17/07/2016 - 10:28

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Ci sono serate a Umbria Jazz in cui il concerto in programma si trasforma in qualcosa di diverso da ciò che si sta ascoltando in quel preciso momento. Basta una nota, un attacco, un accordo particolare e si viene trasportati in un attimo nel grande mare dei ricordi, della memoria collettiva della musica dove i grandi artisti hanno lasciato impronte profonde sulle quali nessun piede “successivo” potrà mai tornare con esattezza. Accade più spesso di quello che ci immaginiamo. A Umbria Jazz in particolare, dove molti artisti che sono stati giovani promesse, magari al seguito di mostri sacri del jazz, poi tornano e raccontano la loro pagina quotidiana di musica, creando anche sonorità nuove, sempre un passo sopra gli altri tecnicamente, ma comunque con quella impronta nella memoria che orienta ogni scelta e che quasi li obbliga ad un percorso stretto.
Steps Ahead “Reunion” ha il sapore del dejavu, ma per chi negli anni ’80 se li ricorda ai Giardini del Frontone con ancora Michael Brecker in formazione, e meglio ancora ascoltava i loro dischi negli anni ’70, la qualità dell’esecuzione e il suono sono oggi come quella impronta in cui si fa fatica a mettere un piede diverso. All’Arena Santa Giuliana va in scena una formazione che qualitativamente potrebbe essere alla base di un nuovo gruppo che scrive cose nuove e forse anche rivoluzionarie. Mike Mainieri-vibrafono e Eliane Elias-piano sono i superstiti della formazione originale, a cui si aggiungono Marc Johnson-contrabbasso, Donny McCaslin-sax e Billy Kilson alla batteria. Un gruppo dalle qualità assolute sopratutto se si pensa alla carriera folgorante di Eliane Elias o alle collaborazioni stellari di Marc Johnson, alla esplosione di Donny McCaslin, anche lui sotto la Blackstar del Duca Bianco-David Bowie. Senza nulla togliere alla consueta classe di Mainieri e alle oneste bacchette di Kilson, gli Steps targati 2016 potrebbero far crollare le gradinate se solo lo volessero. E invece ieri sera hanno passeggiato qua e la, con indubitabile signorilità, ma passeggiato. Saranno gli anni di Mainieri o la voglia di suono free/rarefatto di McCuslin, o magari sarà che la Elias ha un suono tutto suo, inimitabile e assolutamente riconoscibile, che forse con gli Steps Ahead ora ha poco a che fare. Insomma sarà quel che sarà, ma il concerto tanto atteso è stato solo un momento per fischiettare il bel tempo che fu. Quando la Reunion si mette a suonare Pools, tra il pubblico passa un brivido, ma bastano le prime note del sax di McCuslin per capire che quel piede non entrerà mai perfettamente nell’impronta e che in ogni caso non ci sono novità di rilievo. Peccato davvero. Il resto del programma sono arrangiamenti quasi tutti su brani di Eliane Elias, il vero motore della macchina, che garantisce una sicura riuscita grazie anche alla solida ritmica di Marc Johnson ( il marito della Elias ndr.). E la serata “passeggia” via in scioltezza in un mare di jazz fusion di grande classe.
Quando arriva sul palco Marcus Miller, l’idea che la serata abbia preso una certa piega sonora diventa quasi una certezza. Con le dovute differenze rispetto agli Steps, Miller è un altro caso di impronta della memoria. Miller esplode come bassista nelle formazioni di Miles Davis. Per il celebre trombettista scriverà quasi tutti i brani dell’ album feticcio Tutu che è il vertice della fase del jazz elettrico di Davis.
Da sempre considerato come il massimo esponente della tecnica slap e del basso fretless, erede dei “ditoni santi” di Stanley Clarke e solo poco del siderale Jaco Pastorius, al Santa Giuliana Miller arriva in corsa dopo il forfait di Carla Blay e porta in dote il suo Afrodeezia Tour, dal titolo del suo ultimo lavoro dedicato agli schiavi africani e alla ricerca dei suoni, dei ritmi e delle melodie di quella terra d’origine.
Miller sul palco è una forza della natura, instancabile e generoso, ma tremendamente simile alle dinamiche delle band di Miles Davis. In alcuni momenti persino sembra scimmiottare la regia degli assoli in concerto, quando Davis emetteva 3-4 note (e non di più) e con quelle chiamava a se il musicista di turno per iniziare i suoi famosi botta e risposta, strumento contro strumento. Di nuovo quel maledetto piede che non si sovrappone bene all’impronta originaria. Innumerevoli i passaggi delle tastiere di Brett Williams in cui pare di riconoscere le sonorità di Tutu.
Tutto diventa più semplice quando la band decide di suonarla sul serio Tutu. Il pubblico si ricorda e Miller ci mette del suo per disorientare e far sembrare il famoso brano qualcosa di nuovo o rinnovato, ma la memoria è più forte aldilà dei funambolici assoli di basso o della tromba di Russel Gunn o del sax di Alex Bailey.
Divertente e rimarchevole la versione di Papa Was a Rolling Stone in cui tutti fanno a gara a chi la spara più forte.
Alla fine un concerto divertente, esaltante tecnicamente, ma con la testa sempre girata all’indietro. Che si debba essere matti come cavalli per avere un grande futuro “dietro alle spalle” ? Miles Davis docet!

Riproduzione riservata

Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)

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