Ed anche questa è fatta. Lady Gaga e Tony Bennett sono passati da qui, con tutto lo strascico di entusiasmi, un tanto al chilo, di osanna o feroci stroncature nei social, perchè Bennett “non canta mica più come una volta…” e perchè Lady Gaga “non è nel suo mondo…”. Per capirci, questo è solo un succinto accenno della babilonia vista e sentita ieri all’Arena Santa Giuliana per il passaggio del ciclone Gaga-Bennett.
Non c’è molto da dire sul prodotto proposto, perchè in questi casi gli americani le cose le fanno bene. Metti un set di ottimi sideman che tengono in piedi l’ambaradan, e poi aggiungi stelle mediatiche a profusione, ottenendo uno dei migliori cocktail musicali possibili. Se ci aggiungi poi la monumentale storia personale di Tony Bennett, ottuagenario crooner, di quelli che nella vita hanno contato e molto nel periodo in cui imperava il Rat Pack (Frank Sinatra, Dean Martin, Sammy Davis Jr., Peter Lawford e Joey Bishop), il gioco è fatto. Roba forte, di ugole sempre bagnate dal bourbon e dal gin, mafia di Las Vegas, donne, qualche quintale di polvere miracolosa “per il raffreddore”, direbbe lo zio di Johnny Stecchino.
Tant’è che lo spettacolo inizia proprio con una registrazione d’epoca della voce di Frank Sinatra che introduce in chissà quale spettacolo, forse degli anni ’60, proprio il Tony Bennett che tutti adorano. Si attacca con Anything goes e poi Cheek to Cheek ( che da il titolo al tour mondiale dei due), They all Laughed e poi sempre più su verso l’empireo di quegli autori che hanno fatto la storia della canzone e della musica americana dagli anni ’40 in poi, Porter, Berlin, Gershwin, Kern, ed anche Chaplin.
Lo show è una dosata architettura di duetti Gaga-Bennett dove il sornione Tony si limita a non mettere a disagio l’ugola della stella del pop, e di singole interpretazioni, sullo stile appunto dei grandi spettacoli che si vedevano nei casinò di Las Vegas con gli artisti che dialogano e cantano tentando di raccontare una storia o facendo solo battute.
Sia chiaro farlo a Perugia, ad Umbria Jazz, ha un limite intrinseco che sta nel nome della manifestazione. E’ infatti proprio sulle capacità canore che si appuntano le maggiori delusioni di una parte del pubblico. Tony Bennett è al limite del plausibile ormai, dovendo ricorrere ad un campionario di mossette e trucchi con il microfono e di chiusure strozzate della voce per mascherare il bel tempo che fu e che ora non è. E tuttavia tutto gli viene perdonato, come quando affronta una malandata ‘O sole mio di cui a metà strada dimentica le parole. Del resto stiamo parlando di un elegante signore di 88 anni (classe 1926) che andrebbe curato managerialmente molto più di così e non sfinendolo in massacranti tour mondiali al fianco di una amazzone di soli 29 anni.
Il mito Lady Gaga in questo show vampirizza tutto il possibile e l’immaginabile. A Perugia il fenomeno mediatico di questa giovane star, fagocita l’attenzione dei media su cene, abiti, gite e comparsate veloci in palestra per una seduta di pilates. Tutto meno che sulla capacità canora che stranamente viene data per scontata.
Ora, consapevoli che ci attireremo una selva di fischi e di “buu”, oltre a rischiare la galera per lesa maestà, ci sentiamo di dire (e non lo diciamo solo noi…) che nello show di Perugia i limiti interpretativi di Lady Gaga Germanotta sono stati evidenti in alcuni pezzi. Parliamo di tonalità riprese per i capelli, solo grazie alla prontezza della band, di una voce molto nasale sui registri alti, che tende all’urlo e quindi molto virata al genere Pop, dove in realtà Gaga non ha rivali. Non è un caso che la migliore interpretazione della serata della star è la ormai consumata Bang Bang, che non ha una costruzione complessa, musicalmente parlando e permette di fare bella figura nel registro basso con un quasi dialogato e nel registro alto con l’ugola in fiamme che a Lady Gaga sappiamo, non manca. In Nature Boy di Nat King Cole, invece, se la cava per buona parte del pezzo con una sorta di falsettismo, appena stemperato dalla generosissima trasparenza delle terga che manda in visibilio i fans coprendo tutto il resto. Un vero Barbatrucco.
L’impressione è che l’incursione di Lady Germanotta nello sterminato songbook americano, sia un modo di legittimare una capacità tecnica della cantante che, dopo i successi pop e mediatici legati alle sue stravaganze stilistiche, cerca ora nuova linfa per proseguire senza intoppi verso nuove mete. Come sempre nello showbiz americano, questo è possibile con un prodotto costruito a tavolino fin nei minimi dettagli e possibilmente con un mentore al fianco che legittima, appunto. Il Gatto e la Volpe.
Un pubblico oceanico (sicuramente intorno ai 6mila), si sbraccia nella sua maggioranza, gridando e osannando i protagonisti al grido di “Tony, Tony, Tony…” o di “We love you”, diretto a Lady Gaga ogni volta che la cantante rientrerà in scena dopo il cambio d’abito. Alla fine saranno 8 in tutto, tutti molto applauditi, tutti sul genere vamp anni ’60 simil Jessica Rabbitt, con copiosi nudelook, chiappe al vento e capezzoli censurati. E senza contare che per ognuno di questi cambi, c’è anche il trucco e parrucco fatto di cofane biondo cenere, alte almeno 3 piani di morbidezza, e le immancabili sopracciglie acciaiose.
L’unico che si frega le mani è il clan di UJ, che sa bene che il bilancio non quadra senza eventi come questo o quello già visto dei Subsonica. Facciamocene una ragione, tanto da stasera si torna a ragionare seriamente con Robert Glasper e la meravigliosa Cassandra Wilson. Se a qualcuno venisse voglia di venire a sentire la differenza della Wilson con il ciclone Gaga appena passato, chissà, magari si ricrede sull’efficacia delle previsioni metereologiche.
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(Ha collaborato Alessia Chiriatti)
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