Senza quel colpo violento, sferrato da Cristian Salvatori, Emanuele Tiberi non sarebbe morto. Ma alcune condotte del giovane nursino condannato per omicidio preterintenzionale per quanto avvenuto il 29 luglio 2018 fuori dalla “Vineria” di Norcia vanno nella direzione di voler rimediare alla propria colpa e per questo il giudice gli ha riconosciuto le attenuanti generiche che comportano lo sconto di un terzo della pena.
Sono state depositate il 6 dicembre le motivazioni della sentenza che ha portato il gip Margherita Amodeo a condannare, a settembre scorso, a 5 anni e 4 mesi di reclusione Salvatori. Appena 4 giorni prima che il tribunale di Spoleto, con un altro gip, disponesse per lo stesso giovane gli arresti in carcere a Rimini. Decisione presa dopo la relazione negativa della struttura di Saludecio che lo ospitava e dove era sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora e che aveva appunto revocato la sua ospitalità.
Il contesto non litigioso e il forte pugno
Nelle 55 pagine che compongono la sentenza, il giudice ripercorre quanto accaduto quella notte a Norcia e le fasi delle indagini e processuali. Ricordando come Emanuele Tiberi era visibilmente ubriaco (come poi confermato dalle analisi, con una ‘intossicazione alcolica’ ed un tasso alcolemico di 2,9 grammi/litro). Tra i due ci sarebbe stata una sorta di condotta scherzosa, mettendo in atto una specie di gioco a darsi degli schiaffi sempre più forti. In realtà Emanuele avrebbe dato un ‘buffetto’ a Cristian, mentre quest’ultimo gli avrebbe risposto con un pugno al viso.
“La condotta del Salvatori – scrive il giudice dopo aver ripercorso varie testimonianze – sarebbe stata originata dall’intento di porre in atto con il Tiberi una sorta di gioco/sfida consistente nel darsi reciprocamente schiaffi al volto, sempre più forti, sino a che uno dei due non avesse smesso, così permettendo la vittoria dell’altro”.
Cristian, detto “Picchio”, però, non avrebbe dato uno schiaffo, come da lui stesso dichiarato, a “Fanalino” Emanuele, con cui aveva un rapporto di amicizia ma un pugno, come rilevato da tutti i testimoni. “Certamente – evidenzia il giudice – può dirsi che il Salvatori non abbia dato al Tiberi un ‘buffetto’ sulla guancia come invece quest’ultimo aveva fatto nei confronti del Salvatori fino al momento di ricevere il colpo letale“.
“Emerge chiaramente – è ancora scritto nelle motivazioni della sentenza – la sproporzione di forza fisica tra il Salvatori e il Tiberi nei rispettivi colpi reciprocamente sferrati; emerge chiaramente come il Salvatori abbia colpito il Tiberi in maniera sproporzionata rispetto a ciò che poteva essere sufficiente per condurre quel gioco in modo scherzoso“. Lo stesso Cristian Salvatori nelle sue dichiarazioni aveva parlato di colpo sferrato “con la sua forza“, “affermazione dalla quale trarre la conclusione della consapevolezza dell’imputato di aver colpito il Tiberi in modo molto più forte di quanto quest’ultimo avesse fatto con lui“.
Emanuele avrebbe infatti agito verso Cristian con “gesti di scarsa se non nulla capacità offensiva […] che non potevano costituire neanche percosse. Innanzi a ciò il Salvatori invece colpiva il Tiberi in modo tale da farlo cadere al suolo sferrando il colpo con tutta la sua forza“.
Nessun riscontro invece, da parte del giudice, c’è stato sul fatto che il pugno fosse sferrato alla nuca come era stato prospettato dalla difesa delle parti civili.
Le dichiarazioni di Salvatori inverosimili
Per il giudice non è chiaro chi abbia iniziato per primo la ‘sfida’, ma tale aspetto viene ritenuto irrilevante. Così come non vengono ritenute credibili le dichiarazioni di Cristian Salvatori che diceva che avrebbe chiesto il ‘permesso’ a Emanuele Tiberi di sferragli un colpo forte e lui avrebbe acconsentito. “Risulta evidente l’inverosimiglianza di tali dichiarazioni“. E “il Salvatori avrebbe perciò reso tali dichiarazioni allo scopo di mitigare la propria responsabilità per la condotta consistita nell’aver colpito il Tiberi con un colpo che lo faceva cadere in terra”.
I testimoni poi avrebbe sentito “Picchio” incitare “Fanalino” a dargli un pugno. “Certo è che, proprio in seguito al colpo sferrato dal Salvatori, il Tiberi (che sino a quel momento aveva dato all’imputato qualche ‘buffetto’ sulla guancia), cadeva in terra, […] potendosi pertanto far conseguire da quel colpo una diretta causalità con la perdita di equilibrio del giovane e la caduta al suolo dello stesso“.
Le cause del decesso
Nelle motivazioni si riportano poi le osservazioni tecniche dei periti medici legali incaricati dal giudice sulle cause del decesso. I medici parlano di “ruolo concausale del trauma subito nell’induzione dell’emorragia cerebrale, la cui distribuzione particolarmente diffusa sin dall’inizio fa pensare alla presenza di una condizione di predisposizione o particolare fragilità delle strutture vascolari, presumibilmente legata all’uso di sostanze tossiche che avrebbero agito da concausa. […] Va rilevato tuttavia che lo stato di intossicazione acuta da alcol e cocaina presentato dal Tiberi prima del decesso non sarebbe stato da solo sufficiente a determinare l’evento mortale, in assenza cioè del trauma diretto/indiretto all’origine del sanguinamento stesso”.
L’accusa di omicidio preterintenzionale
Il giudice parla di “assenza di elementi probatori atti a qualificare la fattispecie concreta nel senso di omicidio volontario“. Mentre per quanto riguarda l’accusa di omicidio preterintenzionale, è evidente il “nesso di causalità materiale tra condotta ed evento“, cioè la morte della vittima, “malgrado l’intenzione dell’autore del reato non sia diretta a cagiornarla, compiendo atti diretti a percuotere la vittima o a cagionarle lesioni personali“.
“Nel caso che ci occupa, la riconducibilità dell’evento-morte alla serie causale innescata dal colpo sferrato dall’imputato alla vittima e l’assenza di altre ipotetiche cause del decesso è stata affermata dalla perizia“. “Deve pertanto affermarsi che non vi è dubbio che l’azione dell’imputato abbia innescato un meccanismo ‘potenzialmente idoneo’ a provocare, alla luce del preesistente stato di alterazione psico-fisica dovuto all’ingestione di sostanze alcoliche da parte del Tiberi, il decesso di quest’ultimo. D’altronde la difesa dell’imputato non ha offerto spiegazioni alternative della morte del giovane“.
Smontata la tesi difensiva
La sentenza smonta la tesi della difesa, secondo la quale il “contesto di gioco” in cui sarebbe avvenuta la morte di Tiberi porterebbe a non rendere configurabile l’omicidio preterintenzionale, “mancando l’intenzione dell’imputato di tenere una condotta di aggressione nei confronti della vittima”.
Per il giudice, però, la tesi difensiva non è condivisibile, “sia per motivi di ordine fattuale, vale a dire relativamente a quanto emerge dalla ricostruzione dei fatti sopra esposta, che per motivi di ricostruzione dogmatica dell’istituto dell’omicidio preterintenzionale“. Anche nel contesto della sfida, dunque, il giudice evidenzia che “quell’aggressione fisica che la difesa dell’imputato asserisce come insussistente vi sia, invece, stata: […] le percosse sono proprio ciò che caratterizza e ciò in cui consiste il gioco in questione“. E ancora: “l’aggressione fisica è l’essenza di quel gioco“.
Non rispettate le regole del gioco
Non è detto, insomma, secondo il giudice, che per definire un omicidio preterintenzionale siano necessarie situazioni conflittuali. “A quanto sinora detto – scrive ancora il giudice – si aggiunga che il Salvatori, nel contesto del gioco, ne travalicava i limiti, sferrando un pugno, ovvero, comunque, un colpo sproporzionato a quelli da lui ricevuti (non già uno schiaffo previsto dalle regole) che faceva cadere in terra il giovane e sviluppare, in concomitanza con lo stato di intossicazione acuta da alcol rilevata dai periti e già prima dai consulenti di parte, l’ESA bilaterale diffusa che lo conduceva al decesso“.
Non è tutto, il giudice evidenzia anche come, pur se si trattava effettivamente di una sfida, “Salvatori non si atteneva alle regole del gioco stesso, in base alle quali avrebbe dovuto colpire il Tiberi con schiaffi al volto, ma gli sferrava un pugno in pieno viso“. “In secondo luogo, la volontà del Salvatori nel porre in essere una aggressione fisica mediante il colpo sferrato al Tiberi è comprovata dal suo incitamento verso il ragazzo nel farsi dare lui stesso un pugno, come testimoniato dai presenti, al fine di avere il pretesto per poterlo dare a sua volta e così dimostrare la propria forza fisica, superiore a quella del Tiberi”.
“Emerge in definitiva che la condotta dell’imputato (il colpo sferrato al volto del Tiberi) è stata una condicio sine qua non dell’evento mortale”.
La concessione delle attenuanti generiche
Il giudice ha comunque concesso a Cristian Salvatori le attenuanti generiche nella determinazione della pena.
Sul punto, viene ricordato il tentativo di suicidio posto in essere da Salvatori all’interno del carcere di Spoleto il 10 ottobre 2018, dopo il quale gli erano stati concessi gli arresti domiciliari in una struttura riabilitativa. Proprio la condotta corretta all’interno della comunità a cui era stato affidato viene notata dal giudice.
“Infine, di non poco rilievo è l‘offerta risarcitoria formulata dal Salvatori a mezzo dei propri difensori, ai familiari di Emanuele Tiberi, nel settembre 2018, offerta che – sebbene non abbia incontrato il consenso della famiglia del giovane deceduto – deve ritenersi seria e concreta”.
“Tutte le circostanze ora esposte costituiscono indici rivelatori della presa di coscienza della gravità del fatto commesso, della volontà di riparazione delle conseguenze del reato, nonché della possibilità di emenda dal delitto e di crescita personale attraverso l’inserimento in una struttura a formazione comunitaria che fornisca quantomeno lo spunto per una riflessione sulla propria condotta e sul proprio modus vivendi precedenti al percorso intrapreso. Esse forniscono pertanto fondamento alla concessione delle circostanze attenuanti generiche”.
Difesa e pm potranno ora presentare ricorso
La pena, dunque, indicata in 12 anni di reclusione (il minimo per questo reato è 10, il massimo 18), “stante la riconducibilità dell’evento mortale ad un concorso di cause concorrenti“, è stata ridotta di un terzo stante il rito abbreviato scelto dall’imputato e di un altro terzo per la concessione delle attenuanti generiche: da qui la condanna a 5 anni e 4 mesi di reclusione.
Con il deposito delle motivazioni, le parti (sia la Procura che la difesa) potranno ora decidere o meno di presentare ricorso in appello contro la sentenza.