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Terni, il piano strategico del sindaco, Di Girolamo: il marchio Terni per il nuovo sviluppo

Redazione

Terni, il piano strategico del sindaco, Di Girolamo: il marchio Terni per il nuovo sviluppo

Mer, 02/05/2012 - 09:20

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Terni si trova in una fase di lunga transizione tra la sua novecentesca identità industriale e la vocazione a rigenerarla puntando su nuovi fattori di sviluppo. L’evoluzione di questa transizione pone in primo luogo come urgente la necessità di rimettere al centro della discussione pubblica il tema dell’attualità del proprio marchio, ossia, la validità della percezione che gli altri hanno del nostro essere sistema e, ancor prima, quella che noi abbiamo di esso. Una operazione, questa, certamente non nuova per la città, che tuttavia, oggi, richiede un ulteriore sforzo di ripensamento e di rilancio, proprio perché si avverte che i 20 anni che sono trascorsi dall’ultimo vero grande appuntamento con una riflessione strategica collettiva, quella sul finire degli anni ’80, ha prodotto, cambiamenti sostanziali nella vita della comunità e negli assetti economici e sociali di questo territorio. Il cuore di questa riflessione è rappresentato, appunto, dalle traiettorie evolutive emergenti ascrivibili alle strutture economiche del nostro sistema territoriale, alla luce di modificazioni importanti delle condizioni di competizione (tra imprese, tra sistemi territoriali, tra sistemi cognitivi), conseguenza di trasformazioni strutturali che hanno ridisegnato poteri e gerarchie nei modelli culturali prima ancora che negli assetti materiali delle grandi Corporation o di interi Paesi.

In che modo trasformazioni di questa qualità cambiano i caratteri fondamentali dei nostri sistemi produttivi e altresì in che misura ne rimettono in discussione l’effettiva capacità di continuare a produrre valore. La risposta a questi interrogativi è un passaggio ineludibile, perché da essa dipende la radicalità del cambiamento che la Comunità è chiamata a produrre e a gestire, dovendo scegliere tra alcune possibili opzioni, quali:
una strategia di riposizionamento del marchio e del prodotto, attraverso innesco di forti processi di innovazione (non solo scientifica e tecnologica) su un sistema economico e produttivo in grado di recepirne la portata e di assecondarne la forza evolutiva ;
– una strategia di diversificazione radicale, attraverso la presa d’atto della necessità di cambiare prodotto e marchio in presenza di un declino irreversibile che richiede una rottura di modello ;
– una strategia di restyling, che ne conferma l’attualità e si limita ad introdurre politiche di rilancio attraverso l’impiego degli ordinari strumenti di governo delle trasformazioni urbane, magari adeguatamente rinnovati nella disponibilità di tecniche di analisi più sofisticate e livelli di coordinamento più alti.
La scelta più opportuna, in grado di rispondere adeguatamente agli interrogativi sopra posti, non possa che essere la prima, ovvero quella strategica del riposizionamento.
Un percorso di specializzazione. L’operazione di riposizionamento che si viene in questo modo a delineare necessita di ulteriori elementi di precisazione dal momento che l’idea motrice della sostenibilità acquista valenze diverse e produce diversi effetti nell’incontro con le specifiche vocazioni tipiche di ciascun sistema produttivo locale. Sostenibilità, nel nostro particolare contesto, fa i conti con i caratteri di una manifattura, la quale, sebbene per gran parte ancorata ai paradigmi produttivi del ‘900 ( centralità della dimensione materiale della produzione e delle conoscenze di tipo replicativo), dispone di un sistema di competenze particolarmente vocato a presidiare i nuclei forti delle tecnologie a supporto della realizzazione di sistemi sostenibili, dal momento che si è formato sui grandi e complessi processi di produzione e trasformazioni chimiche e siderurgiche, seguendone tutti i cicli evolutivi, fino alle più recenti rivoluzioni che hanno portato alla creazione di nuovi materiali grazie ai quali, oggi, l’idea di sostenibilità acquista la concretezza di applicazioni possibili.
A partire da questo incontro virtuoso ricco di opportunità (tra sostenibilità e nuovi materiali) il percorso di riposizionamento trova la sua più chiara esemplificazione in un’identità che evolve con il passaggio di Terni da città dell’acciaio a città dei nuovi materiali.
L'elemento distintivo. Dietro questa esemplificazione c’è un lavoro complesso di costruzione del percorso che è, per gran parte, ancora da fare. L’essenza di questo lavoro sta, per una parte, nel selezionare e consolidare quel patrimonio di competenze scientifiche, tecnologiche, di gestione dei cicli di produzione, di mercato che costituiscono la base cognitiva sulla quale prende forma la città dei nuovi materiali e, per l’altra parte, nello spingere per l’emergere di nuovi modelli di business legati all’idea di sostenibilità e farne l’elemento trainante dei processi di riqualificazione e reindustrializzazione dell’area. Si tratta, in sostanza, di elevare questa combinazione tra sostenibilità e nuovi materiali, a elemento distintivo e qualificante del nostro sistema produttivo, fortemente ancorato ad una nostra specifica vocazione e a business agganciati ad un più sofisticato sistema di valori, con caratteri di originalità e di non replicabilità tali da rendere, tale elemento, come un fattore fortemente attrattivo per gli altri.
Il nostro percorso di riposizionamento richiede, dunque, un processo di specializzazione che sarebbe riduttivo ed inefficace se pensassimo di limitarne gli effetti solo ad un particolare ambito della vita della nostra comunità. La stessa possibilità di successo dei nuovi business legati a questa idea è fortemente connessa con lo sviluppo di una filiera di tipo circolare che va oltre, cioè, il tradizionale sviluppo lineare di trasformazione che parte dalla materia prima e si conclude con il prodotto finito. La filiera circolare è una filiera che coinvolge un intero sistema dove gli attori non sono solo i produttori ma anche i consumatori, i cittadini, le associazioni, le Istituzioni, le organizzazioni culturali, etc.. (si pensi solo al tema delle plastiche bio – degradabili o del riciclaggio dei materiali). C’è in sostanza un intero sistema da specializzare. Questa è un’indicazione che ci viene dalla stessa Unione Europea, la quale, con la scelta della Smart Specialization ha inteso spingere le regioni d’Europa verso la massima valorizzazione delle proprie vocazioni, nella logica che ognuno fa al meglio quello che sa fare. La strada della specializzazione, quindi, implica la disponibilità del sistema territoriale, in primo luogo, i suoi decisori, ad assumersi la responsabilità di riconoscere alcune priorità sulla base delle quali effettuare una selezione delle scelte e concentrare su queste la parte maggiore delle risorse disponibili intese, non solo come risorse finanziarie, ma anche, scientifiche, professionali, organizzative, in una rinnovata tensione creativa diffusa nell’intero sistema.
Un’azione di sistema come quella delineata, volta a ridisegnare una visione strategica e un percorso di riposizionamento, poggia su presupposti metodologici che assumono una assoluta rilevanza nella determinazione del successo dell’azione stessa. Tali presupposti sono: a) il rafforzamento del principio di partenariato: il forum economico cittadino. b) L’approccio bottom up nella definizione delle condizioni di partenza e nella pianificazione delle iniziative.

Gli strumenti. La naturale esigenza di affermare una stretta coerenza tra i termini del processo delineato (visione strategica-riposizionamento-specializzazione-metodologia) implica di conseguenza la necessità di adattare gli strumenti di intervento. Non vi possono essere disallineamenti tra i pezzi di un unico filo logico che, altrimenti, perderebbe di senso. Relativamente alla qualità o alle caratteristiche, la coerenza richiede di disporre di strumenti che siano: a) flessibili. La logica del vestito su misura necessita di una procedura di tipo negoziale non sopportando la rigidità del bando così come lo abbiamo sperimentato in questi anni. La flessibilità non si applica solo agli strumenti di sostegno economico diretto (agevolazioni) ma anche a quelli più squisitamente finanziari, alle procedure burocratiche, ai percorsi di formazione, etc ; b) focalizzati. Nel senso di concentrare i propri effetti nella misura massima su pochi obiettivi selezionati, funzionali alla realizzazione delle opzioni strategiche effettuate a monte. c) coordinati. La gamma degli strumenti esistenti è ampia e fa capo a una pluralità di soggetti, istituzionali e non. Affinchè questi agiscano in sinergia e si limiti l’effetto dispersione, è necessario che vi sia una unità di intenti tra i titolari delle diverse competenze che può essere assicurata dall’azione di coordinamento affidata ad un tavolo di concertazione.
Nel caso ternano tre tipologie di strumenti, tra le altre, assumono particolare rilevanza per le implicazioni di sistema che ne discendono: 1) le azioni e gli strumenti a sostegno delle politiche di localizzazione di nuove imprese.
Tali azioni sono riconducibili all’interno della funzione più generale di marketing territoriale (in Umbria è svolta dall’Agenzia Regionale Sviluppumbria) che agisce contemporaneamente ed in modo integrato, sia sul versante della qualificazione dell’offerta, sia su quello della domanda (attrazione di risorse esogene). La funzione di marketing territoriale è, per sua natura, una funzione di sistema perché l’offerta è costituita dalla molteplicità delle componenti (economiche, ambientali, culturali, istituzionali, etc..) che definiscono le caratteristiche di un territorio. Perciò, per risultare efficace, il marketing territoriale deve poter far leva su una chiara visione strategica, su una precisa individuazione dell’ offerta, su una politica di prodotto ben definita in relazione ai segmenti di domanda che intende incrociare, ma, soprattutto, su un’efficace ed efficiente coordinamento degli attori locali che sono parte integrante dell’offerta. Tutti questi elementi rimandano alle considerazioni di cui ai punti precedenti che possono, per questo, essere parte integrante di un piano di marketing territoriale, rimane, forse da ribadire con più chiarezza che: la localizzazione di una nuova impresa sul territorio è il risultato di un innesco su un sistema di competenze distintive ed esclusive già localizzate che costituiscono il fondamentale fattore di attrazione per chi ha bisogno di quelle competenze per sviluppare il proprio business. Tutto il resto rappresenta condizioni di contorno (infrastrutture, agevolazioni economiche, costo del lavoro, procedure burocratiche, etc..) di cui è bene disporre ma inutili in assenza del fattore determinate (conoscenza originale ed esclusiva); proprio perché la partita non si gioca sui fattori di costo, ma sui cosiddetti intangible assets, quando si parla di attrazione e localizzazione bisogna intendere l’espressione nel senso più ampio, per questo è più opportuno parlare di attrazione e localizzazione di risorse, intendendo non solo investimenti Greenfield o operazioni di tipo finanziario ma risorse cognitive, nuove competenze, centri di produzione di nuova conoscenza, etc.. ; seguendo questo tipo di impostazione ciò che rimane determinante è la possibilità di disporre di canali specializzati che consentano un’alta frequenza di scambi, quelli dai quali possono prendere forma nuovi progetti, collaborazioni, partnership, joint ventures che, se anche non si traducono immediatamente nella localizzazione di una nuova fabbrica, contribuiscono a creare nuovo valore, parte del quale rimane sul territorio; dunque è importante investire in infrastrutture tecnologiche, in sistemi di connessione avanzati, in strutture vocate allo scambio su scala globale, tutto quanto, insomma, contribuisce ad allargare e specializzare i sistemi relazionali attraverso i quali il territorio si vede garantito l’accesso nel mondo;
– la reindustrializzazione del sito ex Polymer costituisce un buon banco di prova per sperimentare l’efficacia delle nostre politiche di localizzazione e degli strumenti a loro supporto, proprio perché, lì, ritroviamo concentrati i temi che siamo venuti trattando, a partire dalla possibilità che si realizzi una riconversione coerente con la Vision che siamo venuti delineando.
2) il rilancio del Distretto Tecnologico (DT). Il DT è lo strumento che il territorio si da per sostenere i processi di modernizzazione del tessuto produttivo attraverso l’attuazione di politiche di specializzazione che facciano leva sulle vocazioni consolidate dello stesso. Obiettivo specifico del DT è quello di porsi come interfaccia nella filiera della conoscenza per aggregare risorse e fare massa critica, per ammodernare le infrastrutture e le piattaforme tecnologiche, per concentrare le risorse su obiettivi e progetti ritenuti strategici. Riteniamo che i materiali innovativi per applicazioni eco–sostenibili possono ben rappresentare l’area di specializzazione sulla quale il territorio dovrà investire per alimentare il proprio potenziale competitivo e sostenere la propria strategia di riposizionamento.
Tuttavia, al fine di superare i limiti che in passato hanno caratterizzato l’esperienza del DT in Umbria occorre fissare alcuni punti fermi, dai quali partire in vista del rilancio di questo strumento:
– la delimitazione dell’area di specializzazione (in passato erano 4 aree). Parlare oggi di materiali per applicazioni eco–sostenibili significa concentrare l’attenzione su segmenti specifici come: bio–plastiche, materiali per il recupero di efficienza energetica e applicazioni per energia da fonti rinnovabili (materiali compositi e polimerici), materiali per la bio–edilizia; la delimitazione dell’area geografica. Il Dt va ridisegnato in funzione delle specificità dell’area Terni–Narni mettendo al centro gli ambiti di specializzazione sui quali questo territorio intende investire per il suo rilancio. Ciò non deve significare chiudersi nell’enclave dell’autosufficienza, al contrario, il Dt deve essere, prima di tutto, uno dei canali attraverso i quali il sistema produttivo locale e i centri di produzione di conoscenza accedono agli scambi che viaggiano attraverso reti a dimensione globale. Quello che deve interessare non è impedire il coinvolgimento di soggetti non localizzati in quest’area, che anzi è auspicabile, ma il fatto che tale coinvolgimento sia utile al potenziamento dei sistemi di produzione di conoscenza e di specializzazione del nostro territorio. Perciò non è dirimente la questione della denominazione del DT (dell’Umbria, piuttosto che di Terni), quanto la centralità della domanda di sviluppo locale nelle politiche del DT;
– la governance. Nel senso che deve essere qualificata e riconoscibile anche sul piano giuridico, dotata di una propria autonomia e capacità decisionale. I soggetti costitutivi della governance devono avere i requisiti della competenza tecnica e della capacità di rappresentanza, le cui aree devono intendersi circoscritte alle Istituzioni, alla ricerca, alle imprese, al credito.
Il ruolo di “interfaccia” del DT, sopra richiamato, rimanda inevitabilmente al tema particolarmente problematico del rapporto tra filiere e ricerca applicata. Il DT è chiamato a colmare la distanza esistente tra ricerca e produzione industriale, lavorando alla creazione di un contesto ambientale capace di favorire i necessari processi di integrazione tra questi due poli ed altresì il superamento di una visione assai proiettata al proprio interno da parte di entrambi i protagonisti. La conoscenza per essere messa a valore deve circolare, deve continuamente arricchirsi attraverso la contaminazione con nuove idee, nuove possibili soluzioni, diverse possibili applicazioni, non può essere trattenuta dentro i confini dei laboratori, siano essi delle aziende o delle Università. Per questo serve un soggetto terzo (il DT) che aiuti a far emergere un approccio alla gestione dei processi di innovazione basato su logiche cooperative piuttosto che competitive. I pacchetti pre–confezionati da “trasferire” nel processo industriale raramente sono applicabili e le soluzioni stesse pensate per specifiche applicazioni spesso risultano utilizzabili anche per altre. Ma per scoprirlo le imprese devono scambiare esperienze e conoscenze, stabilire indispensabili legami di collaborazione, con ciò pervenendo al superamento di quel modello molto italiano dell’innovazione senza ricerca”: l’innovazione, cioè, che riadatta in modo originale e creativo, invenzioni già esistenti. L’idea di filiera dunque è quella che meglio accoglie questa trama di rapporti che hanno bisogno di un forte coordinamento per raggiungere adeguati livelli di efficienza e di efficacia (è il compito del DT). La ricerca (in particolare l’Università) non può chiamarsi fuori da questa trama, deve essere un pezzo importante della filiera, stare dentro i processi, assumersi l’onere di progettare insieme agli altri lo sviluppo del sistema. Tuttavia sarebbe sbagliato assegnare ad essa un ruolo che vada oltre il proprio specifico poiché manca di quell’elemento di terzietà e di quella visione d’insieme che è essenziale per governare un sistema così complesso.
3) il polo d’innovazione dei materiali. Nel quadro delineato, un ruolo importante può essere giocato dal Polo di innovazione dei materiali, uno dei quattro Poli di innovazione voluti dalla Regione dell’Umbria per supportare in maniera più focalizzata lo sforzo delle imprese impegnate nei processi di innovazione. Quello dei materiali, pur nella sua dimensione regionale, trova a Terni la propria collocazione fisica e la migliore rispondenza con una vocazione che è peculiare di questo territorio. Onde evitare pericolose sovrapposizioni è bene chiarire che il ruolo che deve giocare il Polo di innovazione, nella partita più complessiva della riqualificazione della base produttiva, è quello di organizzare la domanda di innovazione delle imprese seguendo, in ogni caso, un percorso di specializzazione. Se il DT è chiamato a svolgere la funzione di interfaccia tra le diverse componenti che concorrono alla promozione e alla realizzazione dei processi di innovazione a livello di sistema, il “Polo di innovazione” presidia una di queste componenti, ossia le imprese, ed è deputato a svolgere una preziosa attività di messa a sistema delle stesse.

Le intese con le multinazionali. Le imprese multinazionali costituiscono gli attori principali di quella parte del modello di sviluppo legato ai grandi poli industriali. Il dialogo tra imprese multinazionali, università, governi locali e altri stakeholder sembra richiedere un livello di strutturazione più complesso. La recente pubblicazione di importanti rapporti di ricerca ha rappresentato l’occasione per una necessaria analisi sullo stato di fatto e ha consentito l’avvio di un proficuo scambio di informazioni con imprenditori e manager. Un’esigenza conoscitiva dimostratasi indispensabile in seguito alla crisi della AST Thyssenkrupp nel 2005 e alla costante situazione di incertezza che continua a registrarsi nel polo chimico. L’obiettivo cui tende il territorio è quello di un’adesione ai principi della responsabilità sociale di impresa da parte delle multinazionali localizzate nell’area ternana, un’adesione che investe una serie di ambiti quali l’ambiente, le relazioni industriali, il lavoro, i progetti di sviluppo per il territorio. In particolare è opportuno seguire la messa in opera delle linee guida per le imprese multinazionali aggiornate nel 2011 dall’OECD. Lo scenario ideale è rappresentato dal funzionamento di una governance del territorio in cui le imprese siano disposte a concorrere al progresso dell’area ternana. Lo strumento da sottoporre al processo di condivisione del piano strategico è quello dei “protocolli di reciproco interesse” o “patti per lo sviluppo” nei quali emergano le diverse azioni da attuare congiuntamente: supporto alle filiere manifatturiere, sinergie tra internazionalizzazione attiva e passiva, partenariati per la ricerca e lo sviluppo, formazione professionale avanzata, miglioramento degli standard di sicurezza, governo dell’impatto ambientale. Nella stessa logica si potrà dunque sviluppare l’interlocuzione tra tutti gli stakeholder locali e i nuovi assetti proprietari del polo siderurgico della città, tenendo conto del fatto che anche per Outokumpu la responsabilità dell’impresa si estende oltre le dimensioni strettamente economiche anche agli aspetti sociali e ambientali, coinvolgendo quindi gli interessi curati dai governi locali come anche dalle organizzazioni sociali che si occupano di questioni di interesse generale, oltre che naturalmente degli interessi degli azionisti, dei clienti, dei fornitori e di tutti coloro che lavorano nelle attività produttive del sito.


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