Era la fine del 2005 quando nelle riviste specializzate di teatro si iniziava a parlare del progetto di Tim Robbins per un adattamento teatrale di 1984 di George Orwell. Progetto poi fu effettivamente portato a termine e messo in scena con la storica compagnia di Robbins, la Actor’s Gang già nel 2006. Il tema di 1984, il Grande Fratello ed il governo del mondo attraverso persecuzione, repressione e manipolazione, è quanto di meglio si poteva offrire ad un artista controcorrente come Robbins da sempre impegnato in campagne politiche e sociali anche molto dure e scomode.
Per Spoleto59 dunque Robbins ripropone il suo cavallo di battaglia, portato in giro per mezzo mondo quasi a voler celebrare il decennale di questo adattamento teatrale che a Spoleto, nel debutto di ieri 30 giugno, subisce qualche inevitabile ritocco. Innanzitutto la location: la Sala convegni del Chiostro di San Nicolò. Un ambiente dall’aria vagamente postindustrial, con i suoi imponenti condotti di areazione di rame e le capriate in legno, nudo oltre la decenza, che ben si presta ad una sorta di set che Robbins adatta a metà tra lo studio televisivo ed una arena di combattimenti all’ultimo sangue.
Intelligente l’idea di costruire su due lati due gradinate di piccole dimensioni per rendere più agevole ed anche più reale la partecipazione del pubblico che ha inoltre due schermi a disposizione dove si proietta la traduzione del testo recitato rigorosamente in inglese, o meglio in un conciso e fluttuante “americano”. Sugli stessi schermi, a tratti, passano indicazioni per il pubblico (il solito invito ad applaudire applause) oppure piccoli cinegiornali sulle meraviglie del governo del Grande Fratello. Un prodotto che l’Italia conosce bene dai tempi del MinCulPop.
La storia- Nell’arena invece, o platea televisiva, che altri non è che una delle prigioni del Ministero dell’Amore (quando si dice che l’Amore fa male, a volte ndr.), 6 attori. Cinque agenti di Psicopolizia, di cui uno donna, e il protagonista Winston Smith, accusato di collaborazionismo, con la sua amata Julia, nei confronti di una formazione clandestina opposta al Grande Fratello.
Nell’adattamento di Michael Gene Sullivan con la regia di Robbins assistiamo dunque all’interrogatorio di Smith e alla drammatica tortura finale della gabbia con i topi, nella famigerata Stanza 101 del Ministero. Per ingentilire la tortura (si fa per dire) Robbins non mette i topi nella gabbia infilata sulla testa del povero Smith, ma si inventa una piccola webcam che proietta sui due schermi della Plaza de Toros, il volto terrorizzato del poveretto mentre fagocitato dalla paura rinnegherà i suoi ideali e l’amore per Julia tornando così ad essere un innocuo numero tra i Citizens, i cittadini.
La regia-Robbins conosce bene i meccanismi persuasivi delle immagini e della comunicazione e crediamo non sia un caso se in questo spettacolo si è puntato molto su parola, immagini suoni e niente più. In verità è interessante anche il movimento dei 5 agenti mentre a Smith non rimane che poco spazio al centro dell’arena. Risulta poi divertente, nella sua volontà di impaurire, il modo in cui sono stati vestiti e pettinati gli agenti. Ovvero cloni perfetti del famigerato Agente Smith in Matrix, il film feticcio dei fratelli Wachowski. La vittima che si proietta nel suo persecutore fino all’eccesso di avere, in ipotesi, lo stesso nome.
Alcune dinamiche dell’interrogatorio, ossia Smith assordato da un turbinio di voci bisbiglianti e poi in crescendo dei 5 agenti che gli ripetono ossessivamente accuse o minacce, sembra invece riportare ad un altro grande cult movie, Brazil di Terry Gillian, e all’operosità ossessiva del Ministero dell’Informazione. Per curiosità Gillian voleva intitolare in origine il suo film 1984 e ½, parodiando sia Orwell che Fellini.
Su tutto, la regia invisibile della voce del Grande Fratello che spostandosi senza ordine ad ogni angolo della scena costringe tutti, agenti, Smith e pubblico, a indirizzarsi nel punto esatto in cui viene emessa proprio mentre la stessa conduce in modo “discreto” e senza strepiti l’interrogatorio.
Se si voleva dare un senso di claustrofobia carceraria e di immobilità alla platea degli spettatori, diremmo che l’esperimento è perfettamente riuscito. Pubblico incollato alle sedie e parrebbe persino molto attento. Anche se i commenti all’uscita da San Nicolò non sono stati unanimi. Ma l’empatia con la sofferenza dell’interrogatorio, sopratutto quello finale nella Stanza 101, non è proprio una passeggiata di salute. Si esce frastornati oppure sinceramente annoiati. Ma possiamo dire a buona ragione che quest’ultimi erano davvero pochi.
Lo testimoniano i caldi applausi finali ai 6 bravissimi membri della Actor’s Gang, Pierre Adeli, Brian Finney, Colin Golden, Lee Hanson, Will McFadden e Bob Turton. In sala, ieri sera, seduto tra il pubblico anche il Direttore Artistico Giorgio Ferrara.
È lo stesso Michael Gene Sullivan, autore dell’adattamento teatrale di 1984 a chiarire, in una breve nota nel programma di sala, la spinta verso questo progetto a firma Tim Robbins:
“Nel nuovo millennio siamo indotti a pensare di essere sotto costante minaccia da parte dei terroristi, degli stranieri, degli emarginati, del ragazzo nel drugstore o del bambino di colore all’angolo!
A ogni attacco suicida, Osama Bin Gangsta (all’epoca del lavoro di Sullivan, Bin Laden era ancora vivo e vegeto ndr.), il radicale, la bambinaia che compie abusi, l’ambientalista è lì fuori per farti del male, quindi ti prego non fare caso che la Nazione che i tuoi genitori hanno contribuito a fondare ti è stata rubata da sotto il naso, e stai perdendo i diritti conquistati in centinaia di anni di lotte sanguinose.
Il dubbio è tradimento, e la Paura ti distrarrà, e il messaggio che passa è: devi avere paura, molta paura.
Il Grande Fratello dice: l’Ignoranza è Forza, la Libertà è Schiavitù, la Guerra è Pace”.
Più chiaro di così!
Postilla fotografica- Per l’ennesima volta come operatori dell’informazione ci imbattiamo in una produzione (quasi sempre quelle americane votate al puro business su ogni cosa si muova intorno a loro) che vieta riprese televisive e fotografiche negando così il consolidato diritto di cronaca che prevede foto e riprese nei primi 3 minuti di spettacolo o concerto che sia.
Oramai ce ne siamo fatti una ragione ma per la centesima volta riscriviamo quello che sempre abbiamo detto in occasioni similari. Vietare ai giornalisti e agli operatori televisivi e fotografici accreditati, di espletare il loro lavoro è una frescaccia colossale oltrechè una sopraffazione stupida perchè mentre questi al massimo possono lavorare per 3 minuti su immagini ridotte all’osso, gli spettatori presenti, al contrario, utilizzano i propri cellulari come clave e foto e riprese dopo pochi secondi sono sui profili Facebook e su Youtube. Ergo, la lezione di 1984 di Orwell, al management di Actor’s Gang non è servita poi a molto. La foto del presente articolo ed anche quelle pubblicate sul sito ufficiale del Festival sono foto di scena di vecchi spettacoli che non corrispondono affatto a quello andato in scena ieri sera a Spoleto.
E così sia, nei secoli dei secoli.
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