Dopo la perdita del controllo della Banca popolare di Spoleto, la cooperativa Spoleto Credito e Servizi ha di fatto cessato le sue attività, senza quindi possibilità di una continuità aziendale. E’ per questo che il Tribunale ha revocato la procedura di concordato e, conseguentemente, dichiarato il fallimento della Scs.
E’ in sostanza quello che emerge dalle due ordinanze emesse in data 29 dicembre 2017 da due diversi collegi civili del Tribunale di Spoleto, che hanno di fatto sancito la fine di un pezzo di storia della città. Storia a cui sono legati circa 20mila soci, umbri e non solo, che ora rimangono con con nulla in mano, anche se già da tempo avevano perso quasi tutte le speranze.
Ruolo centrale in questa vicenda lo ha assunto il commissario giudiziale, Eros Faina, nominato dal tribunale circa due anni fa quando la Scs era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo. A lui è spettato redigere la relazione (depositata il 12 dicembre 2016) sulla scorta della quale un anno dopo è stato revocato il concordato. Ed è lui che, con un altro ruolo, quello di curatore fallimentare della Scs Gestioni Immobiliari (partecipata dalla Spoleto Credito e Servizi e dichiarata fallita a fine 2015), ha presentato istanza di fallimento per 75mila euro. Proprio Faina, infine, insieme a Paolo Sambuchi, è stato nominato curatore fallimentare della stessa Scs. Ovviamente si tratta di incarichi tecnici di diversa valenza, che seppur sullo stesso ‘caso’, non sono legalmente incompatibili l’uno con l’altro.
Spoleto Credito e servizi, Tribunale dichiara fallimento
La revoca del concordato
Il concordato preventivo, avviato davanti al Tribunale di Spoleto dall’ex presidente Massimo Marcucci con l’obiettivo di bloccare i creditori ed evitare proprio il fallimento, rilanciando la Scs, prevedeva la messa a disposizione dei creditori delle attività immobiliari della società, “costituite da fabbricati del valore comunicato di 4.803.000 euro, oltre che del complesso delle attività mobiliari detenute e costituite, nel limite di 20.079.000 euro, da partecipazioni societarie di vario tipo, nel limite di 1.464.000 euro, da arredi di prestigio e opere d’arte figurativa e non, nel limite di 3.277.980 euro, da ragioni creditorie, queste ultime tutte già esigibili, conservate nei confronti vuoi di privati, vuoi dell’erario, oltre che da disponibilità finanziarie per un valore complessivo di 260.291 euro”. Insomma, a tutela dei creditori, principalmente ci sarebbero state le partecipazioni in altre società, oltre ad un importante patrimonio, fatto di edifici ma anche di preziosissime opere d’arte. Ma secondo i magistrati (il collegio civile era composto dal dottor Roberto Laudenzi, presidente relatore, e dai giudici Simone Salcerini e Francesco Salerno) “la componente dell’attivo concordatario riconducibile a partecipazioni societarie” sarebbe indefinita, anche per il rischio di un “ordinario giudizio di cognizione civile“.
Non solo. Secondo il piano, l’attività di impresa della Scs sarebbe quello di “assistenza resa a terzi per l’ottenimento di agevolazioni connesse a bandi europei, per attività di formazione in materia bancaria, per attività di formazione dei giovani destinate a favorirne l’inserimento nel mondo del lavoro”. Attività che secondo le stime avrebbe dovuto portare in 5 anni 641mila euro. Ma di fatto, la sua reale funzione, secondo il tribunale, sarebbe riconducibile soltanto alla percezione di dividenti (quelli della Banca Popolare di Spoleto in particolare) e l’incasso di canoni di locazione, che però da soli non rappresenterebbero una continuità dell’attività d’impresa. Né “nessuna prova della effettiva conservazione delle attività di assistenza ai soci sia stata dalla società debitrice assicurata“, ed anzi in altri documenti presentati al giudice si evidenziava proprio l’interruzione dei servizi che la Scs offriva precedentemente.
“Ritenuto quindi – concludono i giudici – come nessuna continuità possa oramai ipotizzarsi con riferimento a ogni attività d’impresa dalla Spoleto Credito e Servizi scarl già condotta e come ciò comporti il venir meno delle ragioni che hanno prodotto l’ammissione della medesima Scs alla procedura di concordato preventivo da essa richiesta” con la sentenza viene revocata l’ammissione al concordato.
La sentenza di fallimento, il ruolo di Bps e partecipate
Alle 9 pagine della sentenza di revoca del concordato, fa seguito quella fallimentare (la 38esima del 2017), emessa dal collegio civile composto dal presidente e relatore Simone Salcerini e dai giudici Francesco Salerno e Tommaso Sdogati. Procedimento che fa riferimento a due istanze di fallimento: una, come già evidenziato, presentata dal curatore fallimentare della Spoleto Credito e Servizi Gestioni immobiliari srl in liquidazione, Eros Faina, a cui è stato riunito quello proposto dal procuratore della Repubblica di Spoleto; un’altra dai membri del vecchio cda, guidato da Massimo Marcucci (oltre a lui Pier Francesco Graniti, Sandro Martinelli, Daniele Betti, Francesco Zeppadoro, Cecilia Venturi e Angelo Mariani). Questi ultimi in realtà avevano visto nelle ultime settimane saldate le loro spettanze.
Ma stante la revoca del concordato, al collegio civile non è rimasto che dichiarare il fallimento della Scs evidenziando “una sostanziosa esposizione debitoria, in ordine alla quale la società medesima accusa, ben oltre la soglia dell’insolvenza, quella di una vera e propria insolvibilità, comunicando – con la formulazione della proposta concordataria – la possibilità della soddisfazione di ciascun credito chirografaro in valore percentuale non superiore a quaranta punti e cinquantacinque centesimi“. Scrivono poi i giudici: “Non è revocabile in dubbio che la ‘perdita della posizione di controllo’ di Bps spa e ‘le gravissime perdite subite dalle società controllate’ costituiscano situazioni di fatto irreversibili, mentre la ‘grave perdita’ di valore del pacchetto di partecipazioni nella Banca Popolare di Spoleto sia un fenomeno non suscettibile di evoluzione positiva, almeno nell’immediato futuro“.
Adunanza dei creditori a maggio, le ripercussioni per i soci
Il tribunale, oltre a nominare il giudice delegato (il dottor Roberto Laudenzi) ed i curatori fallimentari (i commercialisti Eros Faina e Paolo Sambuchi), ha fissato l’adunanza dei creditori per il 3 maggio 2018 alle ore 10 per l’esame dello stato passivo. I creditori dovranno costituirsi entro il 31esimo giorno dalla prima dell’udienza. Non è chiaro se potranno farlo anche i circa 20mila soci della cooperativa. La normativa non sembrerebbe contemplarlo. Di sicuro per loro conseguenze economiche dopo il fallimento della Scs ce ne sono, non in ordine alle responsabilità nell’ambito del fallimento, ma per le ovvie perdite di quanto investito negli anni.
Ricapitalizzazione prevista per il 13 gennaio e ipotesi ricorso
Il Cda guidato da Giorgio Heller e in carica fino al fallimento, però, sta valutando varie azioni legali contro la sentenza. Perché era pronta una ricapitalizzazione dal valore di 20 milioni di euro, che sarebbe dovuta passare al vaglio dell’assemblea dei soci prevista per il 13 gennaio. Il Tribunale, tuttavia, non ha aspettato nonostante – a sentire quanto sostengono i vertici della Credito e servizi – i giudici fossero stati portati a conoscenza del provvedimento in arrivo, che avrebbe cambiato completamente le carte in tavola. All’udienza del 15 novembre era stato chiesto tempo ed il collegio sembrava averlo accordato. Poi l’improvvisa sentenza. Probabilmente, quindi, ora verrà presentato un ricorso davanti alla Corte d’appello, chiedendo l’annullamento del fallimento. Per la Scs, insomma, forse non tutto è perduto.