Microspie negli uffici dei vertici dell’Azienda ospedaliera di Perugia. Gianpiero Bocci (un anno fa ancora sottosegretario dell’Interno) li aveva avvertiti, tentando così di “eludere le investigazioni“, scrive il gip nell’ordinanza con cui ne ha disposto gli arresti domiciliari. Le microspie erano state messe negli uffici dell’ospedale utilizzando come copertura un intervento dei vigili del fuoco relativo alla possibile presenza di antrace, la polvere venefica. E allora, lavoro per una ditta specializzata, incaricata di individuarle quelle microspie: 1.342 euro la spesa, messa sul conto, tra l’altro, dell’ospedale (da qui anche l’ipotesi di reato di peculato).
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“Ma le microspie non sono state rimosse” assicura il responsabile della ditta specializzata (la Sis Servizi Investigativi di Sicurezza), ai microfoni della Tgr dell’Umbria. Era il 19 luglio 2018 e l’ispezione confermò la soffiata: negli uffici del direttore generale dell’Azienda ospedaliera c’erano le microspie. Fatte piazzare – come emerso in questi giorni – dalla Procura perugina che dalla fine del 2017 indagava su presunte irregolarità nei concorsi pubblici per l’assunzione di personale.
In pressing sui finanzieri
Del resto, evidenziano i magistrati, in una prima fase nel corso delle intercettazioni in più casi gli indagati esprimono timori circa il fatto che i loro telefonini possano essere stati messi sotto controllo. E invece negli uffici dialogano “con una certa tranquillità“. Atteggiamento che cambia dal giugno 2018, quando evidentemente sono stati avvertiti dell’indagine in corso. E allora si attivano “con i loro canali” per acquisire notizie più precise.
Duca contatta Potito D’Errico, ex primario di Ortopedia in pensione, che tramite l’aiuto di un finanziare in congedo, Oreste Riocci, fornisce alcune informazioni. Altre le forniscono Bocci appunto, e Pasquale Coreno, generale dei carabinieri in pensione, che aveva prestato servizio nei Nas. “Per ora” va “tutto bene” assicura D’Errico il 14 giugno.
C’è anche chi tra le Fiamme gialle, di fronte alle insistenze di Riocci per avere informazioni sull’inchiesta, presenta una relazione ai propri superiori. Domenico Oristanio avrebbe invece ceduto alle pressioni e dato delle informazioni (“Oristanio, e m’ha detto: ma io glielo avevo fatto capire” dice D’Errico).
La denuncia ai carabinieri
Quando la ditta Sis trova le microspie negli uffici dell’Azienda ospedaliera, Duca, Pacchiarini e Valorosi presentano una denuncia alla stazione dei carabinieri di Castel del Piano circa la presenza di strumenti per le intercettazioni nei loro uffici.
Ma sono preoccupati. Coreno consiglia allora a Duca e Valorosi di cambiare i telefoni cellulari.
Il cavallo di Trojan
Ma il direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Perugia, Emilio Duca, non sapeva che i pm titolari dell’inchiesta sulla Concorsopoli nella sanità umbra, condotta dai pm Paolo Abbritti e Mario Formisano sotto la diretta supervisione del procuratore Luigi De Ficchy, avevano fatto installare un virus, il Trojan, nel suo cellulare. In pratica, il cellulare di Duca era diventato l’occhio e l’orecchio della Procura all’interno delle stanze del potere.
Uno strumento di cui la riforma varata dal Governo di centrosinistra nel 2017 aveva limitato l’uso, ma che con la Spazzacorrotti recentemente approvata può essere utilizzato anche per i delitti contro la pubblica amministrazione punibili con una pena superiore a cinque anni si reclusione.
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E’ così che il giudizioso Duca, pronto a correre dai potenti da cui, come si lamenta lui stesso, era assediato per soddisfare le tante raccomandazioni, portava inconsapevolmente nelle loro stanze, tramite il suo cellulare, l’antenna in grado di far sentire ai magistrati ciò che doveva continuare a restare segreto.