Carlo Ceraso
“Un bagno di sangue”, così un antoniniano di ferro commentava in serata la sentenza del Tar Lazio che spazza via le poche speranze che l’ex board della Spoleto Credito e Servizi aveva di ritornare in sella alla controllante di Popolare Spoleto. Una vicenda su cui, inutile dirlo, pesava indirettamente anche l’inchiesta avviata dalla procura di Roma che il 22 luglio scorso aveva messo agli arresti domiciliari l’ex dominus Giovannino Antonini accusato di corruzione in atti giudiziari per aver tentato di ‘comprare’ un giudice del Tar Lazio. Forse la pubblicazione della sentenza odierna, che per opportunità è stata affidata ad collegio diverso rispetto a quello originario, potrà accelerare le pratiche per la scarcerazione dell’ex presidente dal momento che vengono meno le ipotesi di reiterazione del reato. Il collegio giudicante della III sezione del Tar era composto dal presidente Carlo Taglienti e dai consiglieri Pierina Biancofiore (estensore) e Francesco Brandileone.
L’esercito di avvocati – come si ricorderà il ricorso era stato presentato dai 9 ex membri del board della cooperativa (Claudio Caparvi, Leodino Galli, Giovannino Antonini, Massimo Morelli, Rodolfo Valentini, Pasquale Coreno, Cesare Cattuto, Gianfranco Binazzi, Marco Bellingacci) difesi dagli avvocati professor Federico Tedeschini e Raffaele Titomanlio. Al loro si era aggiunto quello di alcuni amici e dipendenti dell’ex padre padrone che si erano affidati all’avvocato Carlo Rienzi del Codacons (Marco Mazzalupi, Valentino Giacomelli, Simona Del Frate, Daniela Panetti, Francesco Bellingacci, Mauro Belloni, Fabrizio Crispoldi, Carlo Ugolini, Tommaso Tardocchi, Fabio Romani, Federica Taburni, Alessandro Gatti, Giancarlo Gatti, Carlo Latini, Rosa Maria Leone e Elio Pambianco). Anche per loro il dispositivo risulta una vera e propria doccia gelata, se si pensa che appena lo scorso 9 giugno l’avvocato Tedeschini e Antonini avevano provato a tranquillizzare gli animi sostenendo che “il traguardo era vicino”. Più che un traguardo, a leggere la sentenza, si è trattato di una tranvata.
A difendersi dalle accuse c’era il Ministero dell’Economia e delle Finanze assistito dall’Avvocatura generale dello Stato, Bankitalia, difesa dagli avvocati Olina Capolino, Domenico De Falco e Michele Cossa, la Clitumnus s.r.l. difesa dagli avvocati Massimo Tesei, Rocco Santarelli e Marco Romanelli e i legali che rappresentavano i Commissari straordinari inviati da palazzo Koch alla Spoleto (Gianluca Brancadoro, Nicola Stabile e Giovanni Boccolini) e i membri del Comitato di sorveglianza (Silvano Corbella, Giovanni Domenichini e Giuliana Scognamiglio). Ma veniamo alla sentenza.
Ma quale incompetenza? – Fra i motivi principali del ricorso di Antonini & Co. c’era quello sull’incompetenza di Mef e palazzo Koch in merito al provvedimento di commissariamento nei confronti della Scs, dal momento che la stessa non può essere qualificata quale ‘capogruppo’ non essendo iscritta nell’albo delle banche né in quello delle società finanziarie. Inoltre per l’avvocato Tedeschini si ravvisava l’incompetenza del vice direttore generale di Bankit nel nominare i tre commissari. Per i giudici il ricorso non può essere accolto sia perché Scs detiene il 51,2% del pacchetto azionario di Bps, sia perché, in base ai patti parasociali a suo tempo siglati con Rocca Salimbeni, alla stessa spettava la designazione di ben 9 dei 14 consiglieri di amministrazione “tra cui il presidente…detenendo quindi il controllo di fatto (e di diritto) della Banca Popolare di Spoleto”. E ne controllo, incalzano i giudici, “la cooperativa è pure rimasta da sola, atteso che il Monte dei Paschi di Siena, a luglio 2012, a causa delle divergenze crescenti emerse nella conduzione della banca rispetto all’azionista di maggioranza, ha comunicato di avere disdettato i patti parasociali e di voler fuoriuscire dalla proprietà della Popolare di Spoleto”. Come pure viene respinta la motivazione circa l’incompetenza del vice dg di Bankit, dal momento che alla nomina dei Commissari straordinari che hanno messo in sicurezza piazza Pianciani “ha provveduto il Direttorio di Banca d’Italia come risulta dal verbale n. 6/2013” – così si legge nella sentenza – nel rispetto di quanto fissato “dall’art. 21 dello Statuto di Bankitalia approvato con dPR del 12 dicembre 2006”.
Commissariamento giusto – l’ex board poi lamentava la violazione dell’art. 97 della Costituzione sulla violazione dei principi del giusto procedimento (nella causa è stata invocata anche la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) sostenendo che Bankit avrebbe omesso di comunicare i risultati delle ispezioni al fine di consentire a Bps e Scs di verificare la legittimità delle operazioni contestate dagli ispettori. Per la Corte, ironia della sorte, la questione è smentita dal le stesse carte prodotte dall’ex Cda nel ricorso: fra queste c’è la “nota 141/2012 del 2 agosto 2012 di risposta alle osservazioni e richiesta di chiarimenti di Bankit, risposta con la quale la cooperativa mostra di avere ben chiare quali fossero le questioni sollevate, negando che sussistessero i contestati “profili di stretto raccordo operativo gestionale” tra la Spoleto Credito e Servizi società cooperativa e la Banca Popolare di Spoleto e chiarendo che anzi “Il controllo sulla partecipata B.P.S. è attualmente esercitato da S.C.S. in via congiunta con la Banca Monte dei Paschi di Siena, per effetto ed in puntuale adempimento dei vigenti Patti Parasociali…”. Né si può invocare la legge sulla trasparenza della Pubblica amministrazione, la 241/90, per la mancata comunicazione preventiva circa lo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo: alla luce del decreto legislativo 385/1993 il provvedimento è comunicato “non prima dell’insediamento” così da evitare che la “diffusione della relativa notizia” possa provocare “panico nei risparmiatori e negli investitori, con conseguente corsa al ritiro dei depositi o alla chiusura dei rapporti con l’intermediario, determinando una turbativa dei mercati”.
Nessun complotto MPS – la tesi del presunto complotto orchestrato da Monte dei Paschi ai danni di Bps non ha convinto per nulla i giudici che hanno ribadito come Scs avesse un controllo di fatto e di diritto sulla controllata. Infatti, scrive il Tar Lazio, “quando i Patti Parasociali sono venuti meno per divergenze di MPS nei confronti della gestione di SCS, come si è verificato nel caso della adozione di delibere di carattere centrale adottate con il disaccordo di MPS, la clausola statutaria che inibisce a SCS l’esercizio della direzione e coordinamento si è svuotata di significato, perché di fatto SCS ha iniziato a esercitare le proprie prerogative di gruppo di controllo, compresa la ricerca di un nuovo socio, poi rivelatasi non fondata su solide prospettive a causa della mancanza di idonee garanzie”.
Il gioco al massacro – ma il dispositivo amministrativo dice di più e chiama in causa la gestione condotta dal board dei due istituti: “A parte il grave gioco al massacro innescatosi tra le cariche, gli organi e gli uffici della Banca Popolare di Spoleto, del socio di maggioranza Spoleto Crediti e Servizi e del Monte dei Paschi di Siena, sostanzialmente condotto ai fini della attribuzione della responsabilità del provvedimento di commissariamento adottato dall’Autorità di Vigilanza, ciò che nella fattispecie ha rilievo sono gli addebiti che a partire dalla ispezione della Banca d’Italia del periodo 1° febbraio 2010 – 1° giugno 2010 sono stati effettuati nei confronti di Banca Popolare di Spoleto e che oggettivamente fondano il presupposto della relazione del 2012, come sopra solo parzialmente riportata, ed a fronte della quale vi è stato soltanto uno scaricabarile di responsabilità, rilevante nei rapporti interni delle persone giuridiche coinvolte, mentre, all’esterno, ciò che ha rilievo è che, a fronte di scelte aziendali che non si sono rivelate all’altezza delle aspettative di chi le ha attivate, vi è stata l’assenza di risposte del Presidente della Banca Popolare di Spoleto e della cooperativa SCS al deficit strutturale innescato da quest’ultima, per il tramite della propria maggioritaria partecipazione negli organi sociali che l’ha portata ad esautorare la componente di Monte dei Paschi di Siena, quando questo ha iniziato ad intravedere la violazione dei Patti Parasociali, nel persistere in tali scelte. Questo è il nucleo fondante dei provvedimenti attualmente impugnati, che quindi vanno trovati completamente scevri dalle dedotte censure”.
La condanna – Insomma la sentenza ha fatto a spezzatino i ricorsi degli avvocati Tedeschini e Rienzi. Il dispositivo si chiude con la condanna per “i ricorrenti al pagamento di 15mila euro per spese di giudizio e onorari e giudizio ed onorari, di cui € 5.000,00 a favore di Ministero Economia e Finanze, di € 5.000,00 a favore della Banca d’Italia e di € 5.000,00 a favore della Clitumnus s.r.l.”.
Non è finita – la sentenza di oggi chiude definitivamente i giochi degli ex Scs, ma non ancora quelli di alcuni ex membri del cda Bps (una parte minoritaria) che, più o meno sulla base delle stesse motivazioni, hanno impugnato il provvedimento di commissariamento. L’udienza, a quanto è dato sapere, si terrà il prossimo 22 gennaio. Inutile dire che per loro “il traguardo”, a partire da oggi, sembra essersi allontanato di un bel po’.
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