Due periti nominati dal Gip D’Andria entreranno in carcere per valutare lo stato di salute mentale di Francesco Rosi. Le perizie che si svolgeranno con la formula dell’incidente probatorio avranno lo scopo di cristallizzare le relazioni prodotte e costituiranno prova in sede processuale per il marito reo confesso dell’omicidio della moglie, Raffaella Presta.
Il primo incontro è già fissato a lunedì 7 aprile e il termine indicato dal Gip per la relazione, che avverrà come detto in sede di incidente probatorio alla presenza delle parti è fissato al 26 di luglio.
Ma questa mattina, come spiegato dal legale di Rosi, Luca Maori, il giudice ha stabilito anche la nomina di un altro perito, quello che dovrà valutare la compatibilità delle condizioni dell’agente immobiliare 43enne con la sua permanenza in carcere. Avrebbe già tentato due volte di togliersi la vita Rosi, e per questo oggi è guardato a vista dagli agenti della polizia penitenziaria.
Le sbarre che ora lo confinano in stato di isolamento, si sono chiuse per lui nella tarda serata di mercoledì 25 novembre, dopo la confessione al telefono dell’omicidio della moglie Raffaella e il ritmo incalzante degli eventi che si sono susseguiti. Il 43enne è passato, nel tempo che impiega il lampo di due spari, da uomo libero a reo confesso di un tremendo uxoricidio. Un gesto commesso e poi reiterato con il secondo colpo. Adesso l’agente di commercio perugino è considerato un detenuto ad alto rischio, è sorvegliato a vista, come nei casi in cui si teme che un detenuto possa cercare di farsi del male. E su di lui ora le accuse pesano come un macigno e sono quelle di omicidio volontario commesso con l’aggravante dei futili motivi, della crudeltà e dei maltrattamenti familiari.
Un inferno, quello che Raffaella ha vissuto nel suo ultimo mese di vita. Così il quadro restituito dalle carte dell’inchiesta per l’avvocato, madre di un bimbo di sei anni, secondo i togati “testimone diretto del delitto”, picchiata più volte regolarmente dalla metà del 2014, da quando era emersa la sua relazione con un altro uomo. Lo stesso che racconta agli inquirenti di sapere che Rosi “viveva di notte” perchè frequentava sale da giochi e che aveva detto a Raffaella di aver “ingaggiato alcuni investigatori privati (pagati una montagna di soldi)” e che aveva raggiunto la prova certa del tradimento perchè “era entrato in possesso dei messaggi whatsapp suoi e della Presta e di filmati di incontri che avvenivano tra i due amanti”. E che da fine ottobre Raffella aveva maturato la certezza che l’unione con il marito avrebbe avuto un epilogo drammatico. Tanto da lasciare alle amiche una sorta di testamento, di “ultime volontà”, scrivono i giudici, riguardanti il piccolo: “la consapevolezza di poter essere ammazzata era oramai talmente forte”, scrive il Riesame raccontando quel colloquio con le uniche confidenti, per cui Raffaella aveva disposto che, “in caso di morte, il figlio venisse affidato alla sua famiglia di origine”. E dal giorno seguente l’omicidio il piccolo è appunto affidato alle cure della sorella gemella di Raffaella e si è trasferito in Puglia nella città di origine della madre. Lontano da Perugia. Lontano dall’orrore vissuto.