Nina, 39 anni, insicura, ansiosa, con una strana ossessione per il numero tre, vive a Terni la sua tormentata, ma ironica, ricerca di autenticità. Sono questi gli elementi che compongono il romanzo “Nina, storia autoironica di una testa affollata” scritto da Chiara Lollo (edito da Morphema), docente originaria di Terni e residente a Milano.
Affreschi di vita
Rubando dalla sua vita, da quella del clan-gineceo delle sue amiche, dalla vita di Terni e da quella di Milano l’autrice ha restituito unicità all’esperienza del vissuto di una donna alle prese con gli archetipi dell’uomo ideale e i goffi tentativi di cercare sempre una ‘giusta collocazione’ nel mondo.
Romanzo scritto durante il lockdown imposto dal Covid
“L’idea di scrivere questo romanzo è nata durante il lockdown, che io ho vissuto rinchiusa con il mio compagno nel nostro striminzito monolocale. L’esperienza della chiusura forzata in uno spazio piccolissimo per mesi è stata fortissima. Siamo comunque stati fortunati, abbiamo entrambi potuto lavorare da casa, ma con tutte le difficoltà di organizzarsi in trenta metri quadrati” – così chiara Lollo racconta a TO come è nata l’idea di scrivere questo romanzo che graffia con ironia sulla condizioni di Nina, sempre sospesa tra la ricerca di una vita autentica e il bisogno di sentirsi integrata nei vari contesti della vita.
Il libro è ambientato a Terni
Proprio in questa frattura si insinuano i maldestri tentativi di sembrare adeguata alla vita, una sorta di diario di Bridget Jones dove il gruppo di amici è complice di situazioni surreali e, a volte, grottesche che si svolgono a Terni: “Il libro è ovviamente ambientato a Terni, visto che benché io viva a Milano rimango un’orgogliosa amante della mia città, e molti sono i posti riconoscibili, dalla giornata di rafting sotto la cascata delle Marmore, agli aperitivi al Go pub o alle battute sul nostro antico teatro tenda”.
La letteratura come terapia
“Io sono un’insegnante e facevo le mie lezioni ogni giorno sul letto soppalcato – spiega ancora Chiara – e il mio compagno al piano di sotto, in call perenne, con le reciproche conversazioni che entravano nel microfono dell’altro e si soprapponevano, generando confusione e frustrazione. Tutto questo poi vivendo a Milano, proprio in quella Lombardia che tutti sappiamo essere stata devastata da migliaia di casi di Covid, asserragliati nell’assordante silenzio della nostra via, normalmente chiassosa e piena di persone. I primi tempi gli unici rumori che sentivamo erano solo quelli delle sirene, che lì passavano in continuazione e ti facevano sentire smarrito, solo, atterrito”.
Il romanzo è dunque diventato una specie di ‘terapia’ così come lo è per la protagonista del romanzo, Nina, che nella scrittura cerca punti fermi e risposte alle fragilità e insicurezze croniche.
“Nina, una donna insicura e fragile”
“In questa cornice di indeterminatezza e paura – racconta ancora Chiara – siamo riusciti a non impazzire ognuno coltivando le sue passioni: lui è un saxofonista e ogni tanto si rinchiudeva in bagno per non disturbare i vicini suonando con la sordina qualche pezzo e io, a gambe incrociate sul letto, scrivevo. E sentivo l’esigenza di scrivere qualcosa che mi divertisse e mi facesse viaggiare lontano da quel presente asfittico. Così è nata la mia protagonista, una donna insicura e fragile, che si riconosce mille difetti, ma che sa anche ridere su tutto ed è in grado di vedere e di godere della bellezza che la circonda. Ho iniziato a scrivere perciò, e ho iniziato anche a ridere di lei e con lei, a immaginare tutta una serie di situazioni rocambolesche da farle vivere, e sentivo ogni giorno di amare un po’ più questo personaggio così buffo e fallibile, eppure così straordinariamente umano”.
L’esperienza del lockdown ha coinvolto tutto il singolare’ gineceo’, il clan delle amicizie dell’autrice, alla ‘gestazione’ e alla pubblicazione dell’opera, trasformando così le restrizioni della quarantena forzata in un’opportunità di condivisione e apertura.
Amici e famigliari coinvolti
“Da lì, dopo i primi capitoli – conclude Chiara Lollo – ho iniziato a coinvolgere in questa mia esperienza tutte le persone per me importanti, mia sorella, una nipote, molti amici. Inviavo ogni sera quello che avevo scritto e visto che, ovviamente, erano a loro volta rinchiuse, l’idea di farle ridere era bellissimo, il pensiero di riuscire a donargli un po’ di allegria in quei giorni di paura era un valore straordinario. E allora scrivevo, giocavo, ascoltavo le loro opinioni, mi inorgoglivo nell’ascoltare gli audio che mi mandavano mentre ridevano dopo aver letto i capitoli, rubavo a piene mani dalla mia vita e dalle loro, per creare un mondo immaginario pieno di amore e allegria. Di questo passo in due mesi circa ho finito tutto, e il mio “clan” mi ha spinto poi a inviare il testo alla Morphema editrice, che nel giro di pochi giorni ha deciso di pubblicarlo”.