Il giovane tifernate tra gli "ignoti" del programma di Amadeus su Rai 1, è tra gli eredi del noto mulino della Madonna del Latte, riattivato lo scorso maggio dopo 22 anni
“Sì sono io che ho un mulino del 600!“. Nicola Serafini di Città di Castello, nella puntata di stasera (6 novembre), ha svelato così la sua identità a “I Soliti Ignoti“, preserale di Rai 1 condotto da Amadeus.
Il tifernate, forse anche per la sua giovane età e l’accostamento della bizzarra “professione” (“Ha un mulino del ‘600”), non è stato riconosciuto subito dalla coppia di concorrenti, che per indagare hanno anche utilizzato l’aiuto della “fotona” (Nicola era seduto su una poltrona con uno stile “antico”), ritenendolo addirittura un “insegnante di decoupage”.
Il 33enne in realtà, come tutti i tifernati sanno, è il nipote di Maurizio Serafini, erede del mulino del ‘600 passato di mano, negli ultimi secoli, dal trisavolo Girolamo al bisnonno Annibale, dal nonno Domenico al babbo Renato.
Il mulino è tornato in funzione a macinare grano e far fuoriuscire ottima farina lo scorso maggio – a ben 22 anni dall’ultima attivazione – e a disposizione della comunità per dimostrazioni e visite scolastiche. Si tratta di un vero e proprio gioiello di ingegneria rinascimentale, incastonato fra le case del quartiere Madonna del Latte, a Città di Castello. Una struttura suggestiva che, dopo la Seconda guerra mondiale, ha “sfamato” la città e che, al termine della guerra, era rimasta l’unica funzionante, con gli altri mulini tutti distrutti dalle bombe.
Il mulino si salvò dai bombardamenti proprio per le sue caratteristiche strutturali, che nascondevano la Pala Pelton (solitamente collocata all’esterno degli stabili) sotto l’abitazione: essa rimaneva infatti non visibile alle contraeree. Il mulino ad acqua, nel dopoguerra, dovendo sopperire alla funzionalità degli altri abbattuti, funzionava notte e giorno con gli ingranaggi a coppia conica di invenzione e disegno di Leonardo Da Vinci, che consentono il trasferimento dell’energia da orizzontale a verticale e viceversa, generando la rotazione della macina e la fuoriuscita della farina.
Questo mulino è rimasto in funzione a pieno ritmo fino alla fine degli anni ‘50 poi, con l’avvento dell’elettricità, si è trasferito operativamente presso la zona Ponte del Tevere, nell’attuale collocazione dei locali dell’impresa “Agricola Umbra”. Da quel momento è rimasto funzionante solo per usi didattici e rimesso in funzione solo occasionalmente, agli inizi degli anni ‘80 e nel 2000. La struttura, l’unica attualmente funzionante in Altotevere, viene messa in funzione raramente, perché eventuali guasti renderebbero complessa e costosa la riparazione.