Carlo Ceraso
“Giancarlo Menotti è un mediocre compositore del Novecento interessato più alla vita mondana con titolate e miliardarie che alla musica. Il suo catalogo è scarso e fatto di acqua fresca. Va ricordato tuttavia perché ebbe l’idea di fondare nel borgo medioevale di Spoleto, raccolto attorno a una piazza ove campeggia un maestoso Duomo, il Festival dei due Mondi”. La frase, copyright di Paolo Isotta per il Corriere della Sera (ammesso che ci sia qualcuno disposto a “rubargliela”), apre l’ultima recensione che il critico ha dedicato all’opera inaugurale del Festival dei Due Mondi, edizione n. 54.
Che Isotta abbia sempre mal digerito Menotti è risaputo (appartiene a quel movimento che ruotava intorno alla Scala di Milano e che ha sempre snobbato, quando non fatto la guerra al compositore di Cadegliano, specie dopo il varo della kermesse Spoleto Festival), ma nessuno si sarebbe aspettato un simile ‘servizietto’, specie con il compianto Maestro che ormai da quattro anni guarda le sue amatissime ginestre dalla parte della radice.
Salvo riconoscergli il merito, ovviamente in punta di forchetta, per non smentirsi, di aver creato un Festival unico al mondo. Chissà quanto gli deve esser costato ammettere questo risonocimento.
E’ fatto così Isotta, se c’è un occasione per mettersi in mostra al grande pubblico non la perde. Lo fece all’indomani della morte di Pavarotti (quando il Corsera di Paolo Mieli fu inondato di lettere di protesta), ci rifà cavallo oggi. Non a caso un grande critico qual era Beniamino Placido, in un articolo su Repubblica del ‘91, lo aveva ribattezzato don Paolo Isotta de Corsera y Vistacorta.
Definire mediocre un compositore equivale a dare dei mediocri anche a quanti producono ancora le sue opere, le suonano, le mettono in scena, e pagano per sentirle e vederle rappresentate. E sono un bel po’, più all’estero che in Italia, è vero, ma sempre un bel pò. La sparata di don Paolo (copyright, questo sì, dell’indimenticato Placido) ha sollevato e continua a sollevare forti critiche. Anche ieri il sindaco Daniele Benedetti ha detto che “l’opera di Menotti resta universale, nonostante qualcuno continui a lavorare per cacciarlo nell’oblio”. Chiaro il riferimento alla penna del Corsera che, pur citando la prima messa in scena dell’Amelia al ballo del 1937, dimentica di dire che quella è l’Opera Prima del giovin Menotti (la scrisse a 23 anni).
Se forse non vale ricordare le opere del Duca di Spoleto, come neanche i successi e i riconoscimenti internazionali, può servire passare allo scanner la musica di Menotti con il Maestro Francesco Corrias che di musica, a dispetto dei 41 anni, ne ha mangiata di certo più di Isotta. A gran voce è stato chiamato alla direzione artistica degli eventi per l’Anno menottiano che avranno il loro momento più alto nel Concerto di Piazza Duomo del 7 luglio prossimo diretto dal celebre Steven Mercurio.
M° Corrias come commenta la recensione apparsa sul Corsera? “Aprire un articolo di critica sul Festival dei Due Mondi e sulla sua opera inaugurale, nel centenario della nascita del compositore e ideatore della manifestazione, affermando che questi è un mediocre tout court, senza peraltro specificarne le motivazioni, ha certamente il sapore della provocazione. Ma come tutte le provocazioni, ci spinge positivamente ad un esame dell'opera di Menotti, scevra da motivi affettivi e sentimentali. Esame che sarà oggetto della attesa due giorni del 6 e 7 luglio prossimo a Spoleto tra convegni, visioni, testimonianze e concerti dedicati a Menotti. Fatta questa premessa credo che le opere di Menotti non abbiamo bisogno che alcuno, tanto meno il sottoscritto, si senta in dovere di fare da difensore d'ufficio, visto che esse sono tuttora assai rappresentate ed amate in tutto il mondo. Certamente, la disparità di pareri sul Menotti compositore nasce dalla estrema frammentazione e divisione che ha caratterizzato il panorama musicale e non solo del nostro Novecento, ergo della critica musicale. Se, ad esempio, nell'Ottocento ogni compositore, pur in una propria peculiarità di stile, parlava comunque una lingua comune (il linguaggio tonale), nel Novecento si è arrivati a scegliere la lingua medesima, che addirittura può essere varia anche nella produzione di un medesimo compositore”.
Quale fu la scelta musicale del fondatore del Festival? “Menotti, fin dal principio, ossia fin da questa simpatica Amelia al ballo, che non dimentichiamo fu scritta all'età di 22/23 anni, fa una scelta precisa, che è quella di voler mantenere un contatto con il pubblico. Se il Novecento ha cercato l'oggettività, spesso l'asetticità, il rifiuto del sentimentalismo “borghese” ottocentesco avanzando in un'avanguardia che ha completamente trascurato le esigenze estetiche dello spettatore avviluppandosi il più delle volte su stessa, Menotti si è posto fin dall'inizio sulla scia di un epigonismo pucciniano rivissuto a mio avviso in maniera originale ed eclettica, contaminato con alcune vive tendenze della musica del XX secolo. Proprio nell'Amelia al ballo vista questi giorni al Festival una battuta fulminante del marito ad Amelia recita “Sei noiosa e dissonante come la musica moderna!”, seguita dagli sberleffi dell'orchestra: a dire il rapporto di Menotti con le avanguardie musicali. Si tratta di punti di vista: se diamo valore a una certa idea di Novecento piuttosto che ad un'altra, allora le opere di Menotti si collocheranno in un certo ambito piuttosto che in un altro”
Isotta traccia una figura del Maestro più interessata alla vita mondana che alla musica “Mi sento sicuramente di dissentire su questa affermazione, ciò non escludendo che a Spoleto l'aspetto mondano sia stato indubbiamente un elemento fondamentale nel ricco carnet di ingredienti che hanno reso il Festival qualcosa di unico. Spoleto è stata altro, qualcosa di grande. Forse l'opera più bella di Menotti. E' stato il tentativo di un artista di non sentirsi la “mentina del dopo cena della società”, come reputava fossero considerati i musicisti Samuel Barber, compagno di una vita di Menotti, ma al contrario di sentirsi necessario ad un comunità, tanto da influenzarne la vita economica e culturale. Spoleto come una “repubblica delle arti”, secondo la sua definizione. Quanto vi sia riuscito o meno non sta a me giudicarlo. Sicuramente Spoleto ha sottratto a Menotti tante energie che avrebbe potuto indirizzare alla sua attività compositiva, tanto che egli stesso, giunto alla fine dei suoi giorni, si rammaricava per non aver avuto il tempo e le forze per rifinire talvolta i suoi lavori, di averli lasciati tal altra bisognosi di migliorie”.
E’ davvero mediocre la sua musica? “Menotti non è stato un mediocre compositore, perché ha creato un proprio linguaggio, andando controcorrente in un mondo quale quello dell'avanguardia musicale che guardava ad altro. E di questo si assunse la responsabilità e più di qualche critica. Ha scelto il proprio linguaggio, come si diceva ha rifiutato di “chiudere le porte al pubblico”, ha cercato di far presa sui sentimenti quando ciò era un punto di sfavore per un compositore. Conservatore o bastian contrario? Una inventiva melodica di facile comunicabilità, la sua. Non tutto naturalmente è dello stesso livello. Così Goya non ha certamente la statura del Console. Questo è inevitabile, per tutti i compositori. Il giudizio estetico è cosa diversa dall'analisi di un'opera. Si può amare sovranamente Beethoven pur riconoscendo che non tutto ciò che ha composto è bello. Personalmente trovo particolarmente felice la vena di Menotti sulle “corte distanze”, sulle opere e sulle operine, mentre noto che sul lungo qualche giro a vuoto si ritrova. Ma ciò non mi fa amare di meno l'ascolto di un'opera a mio avviso bellissima come La santa di Bleecker Street, in cui il compositore pure introduce momenti apertamente atonali accanto a un lirismo trascinante. E trovo moderni i temi da lui trattati: l'incomunicabilità e il rapporto con le tecnologie ne Il telefono, il mondo della maghe e dei creduloni nella Medium, la dittatura ne Il console, ecc., in una parola, soggetti generalmente legati all'attualità. Per non citare le opere destinate solo alla televisione, intuendo già negli anni Cinquanta le potenzialità dei nuovi media.
Fortunatamente Isotta salva il Menotti regista. “Mi trovo perfettamente d'accordo con Isotta sulle perfette regie di Menotti” dice Corrias “che tuttavia non sono cosa diversa dalla sua attività di compositore e autore del libretto allo stesso tempo, in quanto nascono proprio da tale esperienza. Con spirito davvero moderno Menotti sente inscindibili i due ruoli del creatore del testo e della musica, come già fece Richard Wagner. La regia delle opere di Menotti? Beh, una bella questione. Egli crea dei congegni teatrali che sono a mio avviso perfetti, conosce bene i tempi e cosa attende il pubblico, come soddisfarlo e ammaliarlo. In sintesi, ha una conoscenza magistrale dei meccanismi del mestiere teatrale. Il regista può solo assecondarlo, a meno di negarlo e cadere fuori dal seminato”.
Cosa c’è stato dopo Menotti? “Di fatto Gian Carlo Menotti e Benjamin Britten rimangono a mio avviso, e non solo mio, gli ultimi campioni del teatro musicale del XX secolo, coloro oltre i quali è difficile riconoscere una linea univoca di sviluppo, se così si può dire. Una tappa imprescindibile prima del salto in un vuoto che un giorno saremo in grado di storicizzare. Sicuramente gli ultimi ad aver parlato direttamente e in maniera comprensibile al cuore degli spettatori, che tuttora li amano e li seguono sui palcoscenici di tutto il mondo”.
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Foto tratta dal libro “Ritratto di un’amicizia”, dF Archivio fotografico Mariano e Rosella De Furia©, in vendita a Spoleto presso Il libro, Belushi, Casa Menotti, Mondadori Spoleto e tramite il sito www.umbriadaleggere.com