In un clima di incertezza politica ed economica, nell’Italia in affanno l’Umbria continua a crescere ad un ritmo ancora più modesto. Lo certifica anche la Banca d’Italia, che che individua nella bassa produttività del lavoro e nel contenuto grado di innovazione delle imprese le zavorre che non consentono un reale rilancio.
Vanno bene le esportazioni (specie dei prodotti destinati ad un mercato medio-alto), ma a questo si è contrapposto l’indebolimento di consumi interni e investimenti. Sulle prospettive per il 2019 grava l’accresciuta incertezza sull’evoluzione della situazione economica italiana e internazionale.
L’Umbria – rileva la Banca d’Italia – una tra le regioni più pesantemente colpite dalla crisi economica e finanziaria, mostra difficoltà anche nella fase di ripresa. E questo perché non è riuscita a sviluppare un proprio modello industriale e produttivo.
Le imprese
La produzione industriale ha mostrato un progressivo rallentamento; vi ha influito il calo degli ordini registrato nella seconda parte del 2018, concentrato tra le piccole imprese. Il fatturato ha continuato ad aumentare seppure con un’intensità inferiore all’anno precedente (2,1 per cento, dal 3,1). L’andamento è rimasto vivace nei comparti dell’alimentare, dell’abbigliamento e della siderurgia, che hanno beneficiato dell’accelerazione delle esportazioni (+8,7 per cento nel complesso).
Ma dopo un triennio di crescita sostenuta, nel 2018 la spesa per investimenti industriali si è ridotta (-8,3 per cento); il ricorso agli incentivi fiscali, seppure in aumento, è rimasto
contenuto. Nell’edilizia sono emersi, dopo lungo tempo, lievi segnali di recupero sia nel segmento residenziale sia in quello delle opere pubbliche; vi ha contribuito, anche se in misura ridotta, l’avvio della ricostruzione postterremoto. La modesta dinamica dei consumi delle famiglie, in crescita dello 0,6 per cento, si è riflessa in un calo delle vendite commerciali (-1,2 per
cento); la flessione ha riguardato i piccoli esercizi al dettaglio, a fronte della tenuta mostrata dalla grande distribuzione.
Nel turismo il numero di pernottamenti, pur recuperando appieno la perdita registrata in seguito agli eventi sismici, è risultato pressoché invariato rispetto ai livelli di inizio anni
Duemila, segnale di una ridotta capacità della regione di intercettare la straordinaria espansione dei flussi turistici mondiali. Sullo sviluppo del settore pesano le difficoltà nel valorizzare e rendere accessibili le ricchezze del territorio, rispetto alle quali il gradimento dei turisti è comunque tra i più elevati in Italia.
La produzione agricola si è stabilizzata, dopo la flessione del biennio precedente.
La redditività delle imprese si è ulteriormente rafforzata, riportandosi su livelli prossimi a quelli pre-crisi; ne hanno beneficiato la liquidità e la capacità di autofinanziamento. Dopo un triennio di espansione i prestiti al settore produttivo sono tornati a diminuire (-0,9 per cento) anche per le minori richieste dirette a sostenere gli investimenti; il calo si è accentuato nei primi mesi del 2019. L’andamento si è confermato peggiore per le aziende più rischiose.
Il mercato del lavoro
Una situazione difficile che si ripercuote anche sull’andamento del mercato del lavoro. Alla debole fase di ripresa si sono associati livelli occupazionali ancora stazionari, a fronte dell’ulteriore crescita osservata in Italia (0,8 per cento). Le ore lavorate hanno invece continuato a crescere (+1,4 per cento), anche per la forte riduzione del ricorso alla cassa integrazione (-59,8 per cento).
Tra i lavoratori dipendenti sono tornate ad aumentare le assunzioni a tempo indeterminato, grazie all’elevato numero di trasformazioni di contratti a termine precedentemente avviati; all’aumento delle stabilizzazioni avrebbero contribuito anche gli sgravi contributivi per i giovani sotto i 35 anni di età e, nella seconda parte dell’anno, l’introduzione di limitazioni al prolungamento dei contratti a tempo determinato con il cosiddetto “Decreto Dignità”.
Il tasso di disoccupazione è sceso al 9,2 per cento (dal 10,5 del 2017), per la minore offerta di lavoro connessa anche con un’accresciuta partecipazione dei giovani ad attività di studio e formazione. Tra i disoccupati la quota di coloro che percepiscono un sussidio è aumentata e risulta superiore alla media nazionale.
Le famiglie
La valutazione delle famiglie umbre sulla propria situazione economica è migliorata. Il reddito disponibile si è lievemente incrementato (+0,7 per cento). L’incidenza delle situazioni di povertà assoluta è rimasta elevata (9,3 per cento delle famiglie; 6,9 la media nazionale); la distribuzione del reddito da lavoro si mantiene tuttavia più equilibrata rispetto all’Italia. I finanziamenti alle famiglie hanno continuato a crescere (+3,1 per cento), soprattutto per il credito al consumo.
Anche la domanda di mutui per l’acquisto di abitazioni si è ripresa, beneficiando di tassi di interesse in ulteriore calo. Il livello storicamente ridotto di questi ha stimolato negli ultimi anni un ampio ricorso a operazioni di surroga e di sostituzione realizzate soprattutto dagli intermediari di maggiori dimensioni.
Il mercato del credito
Il ridimensionamento della rete territoriale delle banche presenti in regione è proseguito; vi è corrisposto lo sviluppo dei canali innovativi di contatto con la clientela e degli strumenti di pagamento alternativi al contante, la cui diffusione in Umbria è comunque inferiore rispetto al resto del Paese.
La crescita dei prestiti erogati in regione ha rallentato fino ad annullarsi nei primi mesi dell’anno corrente. I criteri di offerta adottati dagli intermediari si sono mantenuti nel complesso favorevoli pur evidenziando primi segnali di irrigidimento.
La qualità del credito è ulteriormente migliorata: il flusso di nuovi prestiti deteriorati è sceso al 2,7 per cento, un valore però ancora superiore di circa un punto alla media
nazionale; l’incidenza dello stock di partite anomale ha continuato a diminuire a ritmi sostenuti per l’intensificarsi delle operazioni di cessione delle sofferenze.
La crescita dei depositi bancari di imprese e famiglie umbre, in corso da oltre un quinquennio, si è pressoché arrestata. Anche gli investimenti in fondi comuni sono tornati a diminuire; tra questi i PIR, specializzati nell’investimento in strumenti finanziari emessi dal settore produttivo, hanno conosciuto nel primo biennio di collocamento un forte
sviluppo.
La finanza pubblica
Nel 2018 la spesa corrente degli enti territoriali è cresciuta dell’1,8 per cento. Oltre ai costi per l’acquisto di beni e servizi sono aumentati quelli per il personale dipendente (+2,8 per cento), anche a seguito dei rinnovi contrattuali.
Nel settore sanitario tale incremento segue una lunga fase di stabilità; in prospettiva l’elevata età media e l’applicazione dei recenti provvedimenti legislativi in materia pensionistica (“quota 100”) potrebbero riflettersi negativamente sulla dotazione di personale. La spesa in conto capitale è aumentata dell’8,4 per cento; vi ha contribuito la forte
accelerazione nell’attuazione dei programmi comunitari, il cui stato di avanzamento rimane tuttavia inferiore a quello del resto del Paese e ai
livelli raggiunti nel precedente ciclo di programmazione.
Gli investimenti degli enti territoriali hanno invece continuato a diminuire. Le entrate correnti sono cresciute del 4,5 per cento; il calo dei proventi tributari è stato compensato dai
maggiori trasferimenti. È proseguita la riduzione del debito delle amministrazioni locali (-5,1 per cento; -2,1 la media del Paese).