"Io, infermiera perugina positiva al Coronavirus, vi dico: la fine ci sarà!"

“Io, infermiera perugina positiva al Coronavirus, vi dico: la fine ci sarà!”

Redazione

“Io, infermiera perugina positiva al Coronavirus, vi dico: la fine ci sarà!”

La testimonianza della 31enne Sara Calzuola, infermiera - paziente a Reggio Emilia
Lun, 13/04/2020 - 11:14

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In questi giorni di una strana Pasqua marchiata dal Coronavirus è arrivata la toccante testimonianza di Sara Calzuola, giovane infermiera perugina che lavora all’ospedale di Reggio Emilia, dove è stata ricoverata per una polmonite da Coronavirus.

Sara si è ritrovata “dall’altra parte della trincea, della prima linea“, costretta costretta ad abbandonare tuta e visiera per pigiama e occhialini per l’ossigeno. “Ebbene sì – scrive sul suo profilo Facebook – sono anche io nelle statistiche della Protezione Civile delle 18 tra i positivi per COVID19 ancora non guariti. Diagnosi polmonite COVID19″.

“Fa strano”

Sara racconta la sua storia. Che diventa un monito per tutti noi, di fronte alle misure per fronteggiare il virus.

Sara racconta, innanzi tutto, la malattia. “Fa strano, molto strano – scrive – perché difficilmente mi ammalo (neanche il raffreddore), fa strano perché se sento ora un campanello suonare vorrei alzarmi ed andare a rispondere ma non posso farlo. Fa strano farsi fare dai tuoi colleghi, con cui hai lavoro fino a una settimana fa, l’emoganalisi arteriosa (vi dico che non è poi così divertente). Fa strano perché hai 31anni, nessuna patologia cronica ed ora ti ritrovi a prendere più farmaci di tua nonna che ha quasi 90anni. Fa strano perché a volte senza ossigeno non respiro poi così tanto bene“.

Una malattia che spesso viene sottovalutata, giudicata letale solo per gli anziani o chi ha patologie. E che invece può costringere in ospedale una persona giovane, sana, professionalmente preparata ad affrontare le malattie.

L’infezione

Sara racconta il modo in cui il virus le è entrato dentro, nonostante le precauzioni al lavoro: “Ecco fa strano trovarsi per un gioco del destino un po’ beffardo dall’altra parte del corridoio. È tutto imprevedibile, veloce. Vai al lavoro, ti disinfetti tutta, ti vesti e ti svesti con attenzione ma forse non lo sei stata al 101% ed alcuni giorni dopo inizi ad accusare i primi sintomi lievi. Arriva la febbre e la tosse, dolori diffusi e poi scompaiono odori e sapori, perdi l’appetito e ti affatichi con poco. I tuoi colleghi ti tengono sotto controllo da casa e ti vietano i minimi sforzi e tu dici ‘cavolo già sono in isolamento domiciliare neanche libertà di fare quello che voglio’ ma non c’è problema perché ora per come sono messa non riuscirei a fare quello che voglio. Loro sono preoccupati perché a casa sei sola e non saprebbero come aiutarti se ne avessi bisogno. Allora non ti rimane che dare ascolto ai loro consigli. Li fai contenti e soprattutto tranquilli“.

Come una nuova famiglia

Perché quei colleghi sono ora la sua nuova famiglia più vicina. “Quella di sangue – ricorda – ti segue dalle video chiamate a 300km di distanza con un po’ di apprensione (un po’ = molta apprensione …io non sono madre e quindi non posso capire, così mi hanno detto)“.

Il ricovero

Quindi, le condizioni che peggiorano, fino al ricovero in ospedale.

Seppur tu sia diligente, ascolti e non ti sforzi – prosegue il suo racconto Sara – arriva il giorno che respiri peggio e tu lo sai cosa vuol dire. Conosci quei valori che compaiono sul saturimetro. Li hai studiati e li hai visti sui monitor dei tuoi pazienti in questi giorni. Inizi a pensare che forse da sola non riesci più e come tutti i giorni invii il bollettino medico alla tua amica dottoressa che ti segue come una sorella maggiore e ti dice che c’è poca scelta, il tempo di lasciare i bimbi con qualcuno e verrà a prederti per accompagnarti in PS (pronto soccorso, ndr). Avevamo fatto un patto in settimana, se i valori sarebbero scesi rispetto alla norma non potevo dire nulla ma avrei accettato tutto e così è stato“.

L’infermiera – paziente

Sara, in ospedale, si ritrova nelle mani dei colleghi. “Arrivo in PS, al triage riconosco l’infermiere, ci guardiamo, lui ha già capito, controlla subito gli atti respiratori che faccio in 1minuto… non sono pochi, misura la febbre ma per fortuna quella è scesa. Mi dice ‘ora ti prendo una carrozzina e ti accompagno io dentro’ ed io ‘no no nessuna carrozzina, fatemi almeno camminare sono un’infermiera, riesco a camminare vi prego’.
‘Non adesso, ora non sei un’infermiera o meglio sei un’infermiera paziente”
Tranquilli “paziente” sta come sostantivo non come aggettivo…
SBAM!!! Ecco la verità! Ecco gli eroi che fine fanno!
“.

La solitudine targata Covid19

E da infermiera – paziente Sara può spiegare e raccontare quello che si prova, anche da un altro punto di vista. “Mi ritrovo in una stanza isolata da tutti gli altri presenti in PS non perché ho ricevuto un trattamento di favore ma solo perché io ero già positiva cconclamata e gli altri erano solo sospetti. Sono queste le procedure. Inizia così la mia solitudine targata COVID19“.

Col signor Luciano

Passa solo gente bardata – prosegue – da testa a piedi. Lavorano veloce, da un paziente all’altro ma hanno anche il tempo per fare qualche battuta all’anziano che sta litigando con la mascherina. Eh sì non gli piaceva proprio al signor Luciano“.

Il letto 24

Tocca a me. Mi portano in un ambulatorio – prosegue il racconto di Sara – mi accomodo sul lettino ed inizio a rispondere alle domande del medico. Si avvicina l’infermiere e dalla mascherina mi dice “Quindi siamo colleghi? Mi dispiace ma devo farti il prelievo” ed io da vera paziente modello indico la vena da pungere. Eh si i pazienti rompi**** lo fanno! Che nervoso! Ed io non vorrei essere da meno“.

Poi è il turno della tac: “Polmonite ti ricoveriamo’ Medicina Cardiovascolare letto 24. Mi accolgono le mie colleghe, mi mancavano troppo e quindi mi sono trovata una buona scusa per venirle a trovare. Ora con l’ossigeno va meglio. L’emogasanalisi questo dice ed io mi fido di lui…soprattutto dopo il dolore per farlo ci mancherebbe se non mi fidassi. Certo i passi che faccio sono pochi, solo all’interno della stanza, meglio se con l’ossigeno, proseguo la terapia con le mie compresse colorate e il sorriso delle mie colleghe e delle mie dottoresse“.

Infermiera, una scelta di vita

E’ in questo momento, in un giorno di festa che altrimenti avrebbe trascorso al lavoro, che Sara ricorda i tanti sacrifici per arrivare fin qui: “Oggi se non ci fosse stata questa pandemia avrei forse lavorato, sarei stata di turno come lo sono stata per Natale e la notte del 31 dicembre. Noi non conosciamo giorno o notte, domeniche o giorni feriali. A volte può essere un peso, ma l’ho scelto io. È stata la mia scelta di vita e per ottenere ciò che ho oggi ho fatto sacrifici. Ho studiato, mi sono impegnata, ho lasciato la mia famiglia, la mia città e mi sono trasferita a 300km di distanza, ho girato l’Italia per il posto fisso. Ho festeggiato quando ho messo la firma della vita un anno fa“.

Né eroi, né fannulloni

Non siamo eroi, e non eravamo fannulloni prima. Siamo persone, uomini e donne, professionisti – ricorda Sara – che rischiamo 365gg l’anno. Rischiamo di ammalarci sempre, di essere aggrediti sempre. Non solo oggi. Ma continuiamo per la nostra strada. Arriveremo alla fine perché tutto andrà bene. Noi ne usciremo provati e a pezzi. I segni sul volto delle mascherine o le lesioni sul naso guariranno ma la nostra mente, i nostri occhi e il nostro cuore non cancelleranno mai cosa hanno visto e provato. Oggi è Pasqua ancora per poco tempo. È risurrezione. È rinascita. Ci faremo trovare pronti anche noi alla fine di tutto ciò“.

“State a casa, non è una punizione”

Dal letto numero 24 Sara manda un messaggio a chi è fuori: “Però vi chiedo solo di continuare a portare pazienza anche se non siete pazienti come me, di continuare a fare qualche sacrificio (alcuni di noi fanno sacrifici non paragonabili sappiatelo). Il #iorestoacasa non è una punizione ma è ciò che vi salva, ora“.

Non pensate – prosegue – che se i dati migliorano siamo salvi, non corriamo il rischio di buttare nel cesso tutto quello fatto fino ad ora solo per festeggiare Pasquetta al mare o con gli amici di una vita. Arriverà anche quel momento se saremo capaci ora di rispettare le regole. Tutti! I pochi che le rispettano non possono avere il peso di salvare tutti! Ognuno faccia la sua parte. Non fate glibstronzi!“.

“La fine ci sarà!”


Sara, la paziente del letto n. 24 chiude il suo messaggio da infermiera. E da donna caparbia qual è: “I miei colleghi e i miei dottori lo stanno facendo. Io spero di tornarla a fare il prima possibile. Da un letto di ospedale è ancora più difficile stare con le mani in mano. Sarà bello festeggiare tutti insieme alla fine. La fine ci sarà! Deve esserci!
Auguri di buona Pasqua
Un abbraccio

Auguri anche a te, Sara. Perugia ti abbraccia.

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