Indennità di esclusività non dovuta, medico spoletino condannato - Tuttoggi.info

Indennità di esclusività non dovuta, medico spoletino condannato

Sara Fratepietro

Indennità di esclusività non dovuta, medico spoletino condannato

Il professionista aveva spiegato che l'associazione si era sostituita ad una mancanza dell'Asl, ma la sua tesi non è stata accolta
Sab, 04/06/2016 - 00:01

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Dovrà pagare oltre 95.000 euro all’Asl per la quale lavorava fino al 2013. A tanto infatti un noto medico spoletino è stato condannato dalla Corte dei conti per danno erariale nei confronti dell’azienda sanitaria. Secondo quanto sostenuto dalla magistratura contabile, dopo le indagini che erano state condotte dalla Guardia di finanza di Spoleto e che hanno portato anche ad un processo penale parallelo, il professionista, dirigente medico di una struttura assistenziale per le cure palliative del territorio, avrebbe percepito un’indennità di esclusività che non gli era dovuta.   Questo perché negli anni dal 2010 al 2012 aveva ricevuto degli emolumenti da parte di un’associazione onlus cittadina per i turni di reperibilità notturna all’interno della stessa struttura.

La difesa del medico – Emolumenti che, è stata la difesa del professionista, l’organizzazione di volontariato gli avrebbe elargito “al fine di fare fronte ad un inadempimento della Asl“, con il medico che avrebbe “agito in buona fede, al fine di organizzare al meglio le prestazioni sanitarie presso la struttura, rendendo un servizio che doveva necessariamente essere organizzato”.  Ed anche che il professionista “non ha svolto attività libero professionale, ma ha semplicemente garantito l’assistenza h24 alla struttura e si era organizzato con dei turni di reperibilità che venivano comunicati anche all’Azienda. Non si trattava di attività libero professionale, per cui non doveva essere autorizzata“.

Il caso delle colleghe – La tesi difensiva, però, è stata respinta dai magistrati, accogliendo invece quella della Procura della Corte dei conti, secondo la quale il medico prestava servizio in ospedale e poi svolgeva 18 ore di distacco nell’altra struttura. I 510 turni di reperibilità contestati erano invece fuori dall’orario e dovevano essere autorizzati. Tanto che “le altre due dottoresse che prestavano il medesimo servizio presso la struttura mandavano regolarmente la notula e venivano retribuite, mentre il convenuto si è astenuto dal farlo, perché se avesse lasciato l’esclusiva non avrebbe potuto più essere il direttore della struttura, per cui non ha scelto ed ha atteso di essere collocato in pensione“.

Aggirati i divieti – Nella sentenza viene evidenziato che il professionista spoletino “ha operato senza rispettare i divieti che erano inevitabilmente collegati al suo status di dirigente con obbligo di esclusività. Emerge chiaro dagli atti – si legge – che il medico da un lato conosceva quello che espressamente l’Azienda gli aveva consentito in relazione al suo status, cioè quante ore di lavoro doveva prestare in Ospedale, quante nella struttura e in quale giorno ed orario poteva effettuare le visite intra moenia. Sapeva anche di essere in regime di esclusività ed aveva ricevuto risposta negativa alla richiesta di riconoscimento di turni di reperibilità presso la struttura da parte dell’Azienda. Se la struttura avesse avuto bisogno di medici che coprissero i turni di reperibilità di pomeriggio notte e festivi il medico – in mancanza della prescritta autorizzazione – non avrebbe potuto prestarli lo stesso in prima persona soltanto differendone, come ha fatto, il pagamento della retribuzione ad un momento successivo al pensionamento, in quanto sapeva che senza modificare il suo status contrattuale incorreva nella violazione di un divieto”. 

C’era un’alternativa – “Avrebbe dovuto semmai coprire le esigenze della struttura – scrivono ancora i giudici – con medici che non avevano impedimenti contrattuali a prestare il descritto servizio o, volendolo fare in prima persona, doveva continuare a farlo sotto forma di volontariato nel tempo libero oppure previa richiesta e ricezione della necessaria autorizzazione. E’ pertanto evidente, a parere di questo Collegio, che il dottore ha aggirato i divieti, evitando di farsi retribuire fino al momento del pensionamento, ma prestando di fatto in tutte e tre le annualità di cui è causa, attività aggiuntiva rispetto a quella contrattualmente riconosciuta e non autorizzata dall’Azienda”. Da qui la sua condanna a restituire l’indennità di esclusività percepita indebitamente, per un totale di circa 95.000 euro.

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