Leonardo Perini (*)
“Oscurate tre articoli di Tuttoggi”. E’ in sintesi l’ordinanza emessa dal Tribunale di Spoleto che ha disposto il sequestro preventivo degli articoli sulle intercettazioni relative all’inchiesta che ha travolto l’ex board e buona parte del management della Banca Popolare di Spoleto, l’istituto messo in sicurezza lo scorso febbraio da Bankitalia. Ad innescare la decisione, la denuncia dell’ex dominus Giovannino Antonini presentata nei confronti del nostro Carlo Ceraso e del collega Massimo Sbardella del Giornale dell’Umbria che aveva collaborato all’inchiesta giornalistica. L’ipotesi accusatoria è quella di “pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”. Alla quale sta già lavorando il nostro legale, l’avvocato Salvatore Francesco Donzelli.
Rispettosi dei principi che regolano l’obbligatorietà dell’azione penale e determinati a difenderci nel processo e non al di fuori di questo, sentiamo di doverne dar conto ai nostri lettori non solo perché l’ordinanza ci sembra abnorme ma, soprattutto, perché siamo convinti della correttezza del nostro operato dal momento che le intercettazioni non erano più coperte da segreto e l’avviso di conclusione indagini era stato notificato già dallo scorso mese di maggio ai 34 indagati, ben tre mesi prima dei nostri articoli.
Il dispositivo non sembra avere precedenti nella storia del giornalismo italiano (almeno a cercare approfonditamente nel web), anzi esso stesso rischia di creare un precedente. Tralasciando per il momento ogni opinione sulle motivazioni del sequestro, appare evidente che la vicenda Bps-Scs è degna della massima attenzione, insomma di interesse pubblico: l’inchiesta, e ancor più gli scandali che l’hanno travolta nell’ultimo triennio, hanno interessato e interessano, direttamente, non meno di 18mila soci della Scs che controlla il pacchetto Bps; indirettamente, qualche milione fra azionisti Mps e soci Coop Centro Italia, le due società che partecipano al capitale della banca umbra.
La denuncia presentata contro Tuttoggi.info rischia così di minare il giornalismo d’inchiesta: cosa sarebbe stato di scandali come Parmalat, Antonveneta o del latte cinese, solo per citarne alcune, se le notizie non fossero venute alla ribalta? Sulle vicende della Spoleto pensavamo di aver pagato già un amaro prezzo fatto di minacce, calunnie, diffamazioni, persino di una indagine avviata dalla Consob (attivata dall’ex board Bps?) dalla quale siamo usciti immacolati.
Solo per aver fatto il nostro dovere, incluso l’aver consegnato prima alla Procura della Repubblica di Spoleto (e solo in un secondo momento pubblicato su queste colonne) il video della ormai tristemente nota “Assemblea della vergogna”, l’adunanza che rimise in sella Antonini con un colpo di spugna e per la quale ci sono 9 indagati per vari reati. Per questo modo di intendere il giornalismo, al servizio dei lettori e della giustizia, non ci siamo mai aspettati un trattamento di favore, ci mancherebbe altro, ma è indubbio che il provvedimento in corso ci lascia a dir poco sorpresi. Come è certo che non cambieremo di una virgola il nostro modo di fare informazione, non indietreggeremo di un millimetro.
L’andazzo è ormai noto anche in Umbria dove chi ha forza e risorse ricorre in modo strumentale, eccessivo, a volte palesemente intimidatorio, alle querele e richieste di risarcimento danni per limitare l’attività dei giornalisti. Sono state ribattezzate “querele temerarie”, una sorta di intimidatorio ostruzionismo, con crismi di legalità, all’azione di verità che persegue il cronista quando decide di avviare e seguire un’inchiesta. Lo denunciano da anni l’Ordine dei giornalisti, Anso, Articolo21, Fnsi, Ossigeno per l’informazione, Change.org, e Libera Informazione che anche recentemente hanno chiesto un intervento del legislatore (lo scorso aprile ben 120mila firme sono state consegnate alla Presidente della Camera Laura Boldrini). Oggi lo denunciamo anche noi.
(*) Direttore editoriale
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