Jac. Bru.
Sono ore decisive per il futuro della Ims-Isotta Fraschini di Spoleto. La speranza è che l’incontro in calendario stamani tra vertici aziendali e rappresentanti sindacali a Bologna (la proprietà ha quindi deciso di accettare le condizioni dei sindacati di un incontro a metà strada) possa chiarire gli aspetti ancora oscuri della vicenda, e ridare qualche speranza, oltre che gli stipendi fermi da luglio, ai circa 300 lavoratori dello stabilimento di Santo Chiodo.
Di certo, non è più tra i punti oscuri l’istanza di concordato preventivo, definito da Angelo Loretoni in consiglio comunale “l’anticamera del fallimento”. Sebbene sia venuta alla luce solo pochi giorni fa, la richiesta è stata presentata al Tribunale di Spoleto il 19 settembre scorso, dopo essere stata deliberata dal Cda dell’azienda due giorni prima. Nel verbale di quella seduta si precisa che “la richiesta di concordato preventivo e del relativo piano saranno basati sulla dismissione dell’intero attivo della società, al fine di assicurare ai creditori il maggior soddisfacimento ipotizzabile”. Inoltre, nel documento non si esclude che “per l’intera azienda o, quantomeno, per singoli rami della stessa, l’alienazione assuma le forme della cessione in blocco”.
L’istituto del concordato, quindi, potrebbe preludere alla vendita dello stabilimento, o ancor peggio al fallimento e ad una conseguente chiusura. Ma non è escluso che la proprietà tenti di rilanciare l’azienda presentando una “domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debito”, ex articolo 182 bis della legge fallimentare, unita ad un eventuale nuovo piano industriale.
L’azienda avrà a disposizione 60 giorni per stilare la lista completa dei creditori, indicare l’ammontare del debito e definire un piano di pagamento. Nel frattempo, l’istanza di concordato preventivo dovrebbe servire a bloccare i decreti ingiuntivi dei creditori, molti dei quali si sarebbero già fatti avanti. Spetterà poi al tribunale, carte alla mano, decidere se l’accordo di ristrutturazione potrà essere raggiunto o se il baratro del fallimento non potrà più essere evitato. In ogni caso c’è da fare presto: da troppo tempo ormai 300 lavoratori vivono senza la benché minima certezza sul proprio futuro e su quello delle loro famiglie.
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