Che cos’è il paradosso di Soren Kierkegaard pensato dal filosofo danese analizzando il Don Giovanni di W.A. Mozart? Ebbene sostiene Kierkegaard che “Don Giovanni non dev’essere visto, ma ascoltato!”.
Vederlo presupporrebbe infatti una sua dimensione fisica e temporale. Ma ciò significherebbe tradire l’essenza di Don Giovanni, che non si lascia ridurre a nessuna descrizione o determinazione spazio-temporale. E infatti Don Giovanni non seduce per la sua bellezza o in virtù di un qualche suo attributo fisico. Egli seduce piuttosto in virtù del suo spirito, ossia in virtù del suo stesso desiderare. Il contenitore perfetto, seduttore psichico o seduttore geniale che tutto muove per desiderio sensuale.
E cos’è l’opera Don Giovanni di Mozart, se non una grande abbuffata di desideri, di sensi, di cibo, di donne, di maschere cambiate vertiginosamente per essere “altro dal se” alla ricerca del proprio “io”, di contenuto insomma che va a riempire il contenitore perfetto?
Don Giovanni demonio sensuale che fugge l’estetica temporale e si nutre di solo desiderio al fine di raggiungere quella assoluta, lui dunque il solo e unico contenitore perfetto che riassume in se tutto ciò che gli ruota intorno.
Se così non fosse stato non ci sarebbe stata nell’opera mozartiana nemmeno la famosa aria del Catalago che lo stesso Kierkegaard considera fondamentale per la corsa di Don Giovanni verso l’assoluto.
“Madamina, il catalogo è questo…”, canta Leporello a Donna Elvira per spiegare che il “padron mio…”, “Non si picca se sia ricca, Se sia brutta, se sia bella. Purché porti la gonnella,Voi sapete quel che fa.”
Ma sopratutto, se il Don Giovanni mozartiano avesse a cuore la sola vile materia, se solo tenesse in conto l’opprimente senso del peccato, non avrebbe mai accettato l’invito del Commendatore, il convitato di pietra, per la ferale cena agli inferi. Quella si che è una sfida seducente come nessun’altra. E il fuoco si sa, come piace agli alchimisti, ricrea e compie l’opera. E allora, che si vada fino in fondo.
E’ di questo fascino, di questa narrazione, che ieri sera, 30 giugno, era ricco il Don Giovanni di Mozart andato in scena per la Prima della 60^ edizione del Festival dei Due Mondi al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto.
Una inaugurazione che, complice la pioggia, ha consentito alla sostanza (la musica) di avere il sopravvento sul rituale dell’ingresso a teatro.
Un Teatro Nuovo pieno come non mai in cui i tempi rigidi scanditi dalla diretta di Rai5, hanno consentito di concentrarsi sull’opera che pur scritta per due atti ha una durata complessiva che sfiora le 4 ore e che mette a dura prova gli interpreti, l’orchestra e naturalmente anche il pubblico.
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L’opera
L’edizione dell’opera andata in scena a Spoleto è quella integrale, la cosidetta “praghese”, riferendosi alla prima esecuzione di Praga del 1787, in cui le arie finali del secondo atto non vengono tagliate come nella versione viennese dell’anno successivo.
Un maquillage volto più a non infastidire il pubblico austriaco con il pistolotto morale finale che tanto piaceva agli autori dell’epoca. Due atti di una trama fitta e caleidoscopica, direttamente ispirata al librettista Lorenzo Da Ponte da “Il seduttore di Siviglia e il convitato di pietra” di Tirso De Molina che narra del burlador de Sevilla.
A Spoleto60 Il Don Giovanni è affidato alla regia di Giorgio Ferrara, le scene da Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, i costumi da Maurizio Galante, il disegno delle luci di Fiammetta Baldisseri. La musica eseguita dall’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini e l’International Opera Choir di Gea Garatti diretti da James Conlon.
Interpreti: Don Giovanni- Dimitris Tiliakos, Il commendatore -Antonio Di Matteo, Donna Anna- Lucia Cesaroni, Don Ottavio- Brian Michael Moore, Donna Elvira- Davinia Rodriguez, Leporello- Andrea Concetti, Zerlina- Arianna Vendittelli, Masetto- Daniel Giulianini.
Giorgio Ferrara e Soren Kierkegaard.
Quando nella conferenza stampa del 30 giugno in occasione della inaugurazione degli eventi del Comune di Spoleto, Giorgio Ferrara ha anticipato di essersi ispirato al testo del filosofo danese Soren Kierkegaard (CLICCA QUI) per la regia del Don Giovanni, nella platea dei presenti c’è stato un momento di disorientamento. Il Direttore Ferrara non è nuovo ai colpi ad effetto, ma lo è altrettanto per la stretta ortodossia, a tratti “monacale”, con la quale disegna le regie delle opere, in special modo queste della triologia Mozart-Da Ponte che hanno aperto gli ultimi 3 anni di Festival.
Con esiti diversi nei casi precedenti, tuttavia la regia del Don Govanni a Spoleto60 segna un passo distintivo rispetto alle altre ed è che l’interpretazione kierkegaardiana guida lo spettatore di Spoleto dall’inizio fino alla fine. Un percorso delineato, una sorta di spiegone, messo in atto grazie alla trovata di un fondale su cui vengono proiettati durante l’Overture e all’intervallo dei due atti interi brani del testo di Kierkegaard, ora sulla interpretazione musicale, ora sulla figura di Don Giovanni mentre un curioso personaggio in costume che rappresenta lo stesso Kierkagaard, passeggia avanti e dietro sul palcoscenico. Unico neo, a nostro modesto parere, il tipo di carattere scelto per il testo proiettato, un corsivo di non facile decifrazione per chi ha diottrie ballerine.
E se la premessa per questo Don Giovanni spoletino, è proprio il paradosso di Kierkegaard, ecco allora evitato qualsiasi pericoloso funambolismo scenico degli interpreti, che invece cantano le loro arie e i loro duetti in perfetta comodità, quasi fissi in una posizione o con piccoli movimenti di contesto. Ovviamente se la maliarda Zerlina canta “Batti, batti oh bel Masetto”, spingendo l’innamorato semitradito Masetto a picchiarla per le sue derive sentimentali pur di tornare insieme, è di prassi che i due si rotolino un pò per terra e si struscino in qualche maniera. Diversamente la fissità assoluta avrebbe richiesto un Tso.
Altra particolarità, i protagonisti, sono sempre tutti in scena e quando non cantano fungono da spettatori silenziosi a volte velati e nella scena finale in cui il Commendatore appare in tutta la sua maestà al cospetto di Don Giovanni, invece della tradizionale statua, entra da una quinta un faccione enorme. L’amore per il paradossale non ha mai fine.
Si conferma insomma, semmai ce ne fosse stato bisogno, che a Giorgio Ferrara il superfluo infastidisce e che lui c’è, come regista, ma non si vede. Conta la musica e il canto. Amen!
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Scene, luci e Costumi
Il duo Ferretti-Lo Schiavo questa volta si fa perdonare qualche rarefazione di troppo vista le volte scorse. Una scena quella del Don Giovanni, anticipata ad arte qualche mese fa per far capire dove si andava a parare. Ma non del tutto. In effetti la dimensione scenica e la modularità degli spazi disegnati da Dante Ferretti e arricchiti di dettagli da Francesca Lo Schiavo ha positivamente impressionato il pubblico, che abbiamo sentito commentare con attenzione e curiosità. Indubbio il richiamo all’architettura delle cattedrali, le imponenti colonne poste a triangolo al centro della scena, su spazi osservati da statue funerarie. Tombe e sacelli che diventano ampi e comodi spazi per sedersi e dare sfogo agli intrighi. Giardini delle feste sul cui sfondo campeggiano lapidi cimiteriali e imponenti candelieri da altare che rischiarano e arricchiscono di ombre i luoghi della vicenda del seduttore psichico.
Insomma un contesto che fa felici coloro che sostengono che il Don Giovanni, lungi dall’essere un dramma giocoso, è invece l’opera più lugubre di Mozart. Nella messa in scena festivaliera invece, riteniamo si sia voluto giocare un po’ di più sull’apparente assurdità della coesistenza tra la morale di tipo religioso e la sfrenatezza libertina dell’epoca. Qualcosa di simile alla doppia morale dei film di Pedro Almodovar. Del resto sempre in Spagna ci troviamo.
Fiammetta Baldisseri ci mette poi la firma. Il suo disegno delle luci è molto interessante, sopratutto nel primo atto dell’opera in cui il gioco delle colonne in scena avrebbe potuto creare più di una difficoltà. Epico il finale “infernale” dell’opera in cui Don Giovanni sparisce dalla scena passando per la platea mentre tutto il teatro Nuovo diventa rosso fuoco, porta dell’inferno per il seduttore geniale che accetta la sfida del Commendatore.
Ma anche in questa opera, i costumi di Maurizio Galante diventano essi stessi attori in scena. Lungi dall’essere appariscenti o stravaganti, filologicamente corretti, pieni di dettagli fascinosi, e qualitativamente “mostruosi”, ancora una volta, con loro Galante interpreta in maniera perfetta il senso dell’opera mozartiana. L’uso delle velette nere o bianche, la scelta dei colori diversi per ogni interprete, quasi a sottolineare l’aspetto principale del carattere, ma sopratutto gli insuperabili scarpini di raso lucidi, in tinta con le calze ed il vestito, di Don Giovanni, Leporello e Don Ottavio sono l’apoteosi di un costumista (e creatore) bravissimo che tanto per non tradire l’indirizzo “colorato” dello scorso anno (Galante indossava per la prima del Figaro una giacca nera e dei pantaloni verde fluo), si è presentato alla ribalta del Nuovo vestito come un seguace di Sai Baba, tutto in arancione più o meno squillante.
James Conlon, il cast e l’orchestra Cherubini
James Conlon è un magnifico direttore d’orchestra. Lo sa il pubblico spoletino che gli ha tributato calorosissimi applausi e lo sa bene anche Giorgio Ferrara che si è fidato ciecamente di lui e dell’Orchestra Cherubini per la realizzazione della trilogia mozartiana.
Tuttavia il M° Conlon non è, quello che si dice, un centometrista e nella direzione del Don Giovanni a tratti abbiamo sentito una certa rilassatezza, un accenno all’andar lento che non sembrava essere la giusta misura. Può essere una sola questione di gusti e di fatti non se ne può fare una questione di critica. Tutt’al più di scelta interpretativa e su questo ubi maior…
Come sempre granitici i ragazzi dell’Orchestra Cherubini e quelli dell’International Opera Choir di Gea Garatti. Il Cast dei cantanti encomiabile. Don Giovanni non è un’opera facile e non tanto per i virtuosisimi vocali che in questo caso non sono impossibili, ma sopratutto per la lunghezza e la costante presenza in scena di alcune figure, due su tutti, Leporello e Don Giovanni.
Graditissimo il ritorno di Davinia Rodriguez una Donna Elvira energica e niente affatto vittima di Don Giovanni e di Lucia Cesaroni, una Donna Anna fantastica con una voce modulata su tutti i registri del personaggio. Un ritorno a Spoleto anche per Arianna Vendittelli, una Zerlina così piena di fascino maliziosetto, e dalla voce squillante che fa venire voglia di corteggiarla a sipario chiuso.
Bravissimo e molto applaudito, assolutamente nella parte Antonio Di Matteo– Il Commendatore. Efficace, con qualche sbavatura nelle sue arie, Brian Michael Moore-Don Ottavio. Daniel Giulianini-Masetto, assolutamente convincente e dalla voce limpida, con una dizione precisa e chiara ed una presenza scenica efficace. Ed infine i due compari di scorribande Andrea Concetti-Leporello e Dimitris Tiliakos-Don Giovanni.
Entrambi esperti e dalla voce decisa e tecnicamente irreprensibile, Tiliakos e Concetti danno forza alla versione spoletina del Don Giovanni. Lo impongono la natura dei personaggi ma anche la capacità di non “gareggiare” come a volta accade tra i due. Una coppia ideale che riscuote gli applausi convinti del Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti.
Al termine 10 minuti di applausi, che potevano essere davvero molti di più se il pubblico non fosse stato provato dal caldo e dalla lunghezza dell’Opera. Nel Foyer, letteralmente svaligiato il distributore di bottigliette d’acqua.
Vip e Autorità
A rappresentare il Mibact ieri sera c’era il sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni. “Sarà sicuramente un’edizione molto affascinante – ha evidenziato al suo arrivo a Spoleto – questa è una manifestazione che riesce a coniugare l’altissima qualità, la sperimentazione ed anche eventi di tutti i tipi, che possono attirare un pubblico giovane, un pubblico che vuole confrontarsi sulle idee, un pubblico interessato agli spettacoli, alla musica. Penso che Ferrara proseguirà in questa strada, un percorso di continuità che si rinnova continuamente; la strada che lui ha imbroccato è quella che ha salvato un Festival che avrebbe potuto morire ed invece è diventato ancora più un grande Festival italiano”. A fare gli onori di casa fuori dal Teatro Nuovo, oltre al direttore artistico Giorgio Ferrara, c’era il sindaco, nonché presidente della Fondazione Festival dei Due Mondi, Fabrizio Cardarelli. Per la Regione Umbria erano invece presenti la presidente Catiuscia Marini, l’assessore regionale alla Cultura Fernanda Cecchini e la presidente dell’Assemblea legislativa dell’Umbria Donatella Porzi.
Molti gli ospiti arrivati appositamente da Roma, ma anche vari stranieri, sudamericani e statunitensi in primis. Immancabile Gianni Letta con la moglie Maddalen, così come il manager Franco Tatò con l’autrice e conduttrice Sonia Raule. Presenti a Spoleto Anna, Alda, Franca e Paola Fendi, che hanno voluto così evidenziare la loro vicinanza al Festival dei Due Mondi dopo la scomparsa della sorella Carla, avvenuta la scorsa settimana.
Attimi di commozione per le parole di ringraziamento a Carla Fendi pronunciate in platea da Giorgio Ferrara in compagnia di Maria Teresa Venturini Fendi, che ha commentato, “Carla è con noi stasera”
Il mondo della moda era rappresentato anche dallo stilista Renato Balestra. Presente come ogni anno Giuliano Ferrara, al fianco del fratello Giorgio. C’era poi la costumista, premio Oscar nel 1994, Gabriella Pescucci, oltre agli scenografi pluripremiati (e protagonisti nel “Don Giovanni”) Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo. Immancabili Corrado Augias, Ernesto Galli Della Loggia, Claudia Spadazzi, René de Ceccatty. Folta la presenza anche dei rappresentanti istituzionali e militari dell’Umbria, a partire dal comandante della Legione Carabinieri dell’Umbria, generale Francesco Benedetto, dal prefetto di Perugia Raffaele Cannizzaro, dal questore di Perugia Francesco Messina e dal procuratore capo di Perugia Fausto Cardella. Abitué del Festival anche l’ex prefetto di Perugia Vincenzo Cardellicchio. Ovviamente presenti poi il presidente del Tribunale di Spoleto, Emilia Bellina, ed il procuratore capo Alessandro Cannevale.