Un presidio dei sindacati davanti alla Umbria Olii, l'azienda di Campello sul Clitunno che attualmente vede una trentina di dipendenti e che fu teatro dell'esplosione che il 25 novembre 2006 costò la vita a quattro lavoratori di una ditta esterna di manutenzioni. E' quello organizzato da Cgil, Cisl e Uil per sabato 5 luglio alle ore 10.30 “per dire no alla richiesta di risarcimento fatta ai lavoratori dall'azienda”.
La richiesta di risarcimento per oltre 35 milioni di euro chiesti dal legale rappresentante della Umbria Olii, Giorgio Del Papa, ai familiari delle vittime dell'esplosione ed all'unico superstite della tragedia non ha creato scalpore soltanto tra le organizzazioni sindacali. Ad intervenire, quest'oggi, anche la presidente della Regione Umbria Maria Rita Lorenzetti, insieme ai sindaci dei Comuni in cui risievedevano alcune delle vittime ed a quello di Campello.
“È davvero sconcertante la richiesta di risarcimento danni nei confronti dei familiari delle vittime e dell'unico superstite del tragico incidente sul lavoro di Campello sul Clitunno”. Comincia così il documento divulgato dalla governatrice Lorenzetti, dal sindaco di Campello, Paolo Pacifici, e dai sindaci di Terni e Narni, Paolo Raffaelli e Stefano Bigaroni.”Siamo sconcertati e indignati da questa scellerata linea difensiva – dichiarano – ispirata esclusivamente dal tentativo di trovare, in una perversa logica di difesa, una qualsiasi via d'uscita in sede giudiziaria dalle gravissime responsabilità già ipotizzate nella fase inquirente. Per il raggiungimento di questo obiettivo, la difesa non esita a spargere offensive ipotesi di responsabilità addirittura delle stesse vittime innocenti. Per ciascun cittadino – proseguono la presidente della Regione e i tre sindaci – è sacrosanto il diritto alla difesa, ma altrettanto sacrosanto è il rispetto della dignità della persona. In questo caso viene calpestata e offesa la memoria delle quattro vittime, sacrificata ad un misero e miserevole interesse di parte. E fa ancor più impressione questo comportamento nel giorno in cui la ThyssenKrupp sceglie, per la tragedia di Torino, la strada dell'indennizzo dei familiari delle vittime”. Nel rinnovare “la solidarietà e la vicinanza alle famiglie”, presidente della Regione e sindaci confermano il loro pieno sostegno: “Ci siamo costituiti parte civile – ricordano – e in sede di giudizio faremo valere le ragioni delle istituzioni”.
In serata, inoltre, è arrivato anche un altro lungo comunicato, a firma del sindaco di Campello Pacifici, che riportiamo integralmente:
“Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. […] Art. 2.La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo […] Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione […]. Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.Non importa andare oltre nella lettura della Costituzione per poter affermare con certezza che non esista alcun articolo che parli di dovere di morte, dovere di umiliazione, dovere di violenza della dignità, dei sentimenti, dovere di infangare il nome di chi muore innocente.Eppure, un'impresa oggi viola i diritti fondamentali dei cittadini italiani o di chi come loro vive e lavora in Italia, calpesta le loro famiglie distrutte e il loro nome.
Fiorella vive in una casa piccola piccola, al centro di Amelia in provincia di Terni. Quando ti apre il portoncino ti trovi davanti una fila di scalette ripide che portano direttamente in cucina, sulle pareti le foto sue e di suo marito a cavalcioni della moto. Morena abita poco lontano, alla periferia di Narni, in una casa nuova vicino ad una distesa di grossi capannoni industriali. Con lei c'è Yuri, suo figlio, compirà 18 anni tra pochi mesi ed il go-kart è la sua passione. Poi c'è Anila, 35 anni, sta a Terni con le sue bimbe: Sagma che ha già 9 anni e Branjola. Anila è arrivata dall'Albania da qualche anno per amore: doveva raggiungere il marito, Vladimir, che stava in Italia già da un po'. A Massa Martana, aperta campagna in provincia di Perugia, infine, vivono Catia e sua figlia Enrica, diciannovenne.Sette donne ed un ragazzo, tutti accomunati da un unico destino, che il 25 novembre del 2006 cambiò la loro vita.Quel sabato mattina Giuseppe, Maurizio, Vladimir e Tullio si erano trovati presto per fare colazione. Raggiunsero il piazzale del grande stabilimento e salirono in cima al silo, tutto d'acciaio, lucido e freddo, ricoperto dal sottile strato della brina di novembre. In cima a quell'oggetto incombente, gelido ed immenso potevi ammirare la valle che Francesco di Assisi, mille anni prima, descrisse come quanto di più meraviglioso al mondo avesse mai visto. Mentre loro lavoravano lì sopra, Fiorella a casa stava preparando l'impasto per la pizza. Yuri aspettava l'autobus. Sagma e Branjola, per mano, tornavano da scuola. Enrica sbuffava camminando sola per strada.Fu in quel momento esatto che quel mostro d'acciaio, con un rumore lugubre, sordo ed oscuro si proiettò verso il cielo, scagliando in aria i quattro uomini.
Quattro operai come tanti, con famiglie come tante, in continua lotta per una vita dignitosa, per garantire ai figli quelle poche garanzie che il sistema del lavoro oggi permette di avere.Perché non è mica facile mantenere due bimbe piccole. E nemmeno garantire un quotidiano sereno ad un giovane uomo o ad una giovane donna.Che si sia italiani o stranieri poco conta. Bisogna lavorare. Anche il sabato. Avere molta o poca esperienza non fa differenza. Chi costa meno vince, comunque.
E di sabato Giuseppe, Maurizio, Vladimir e Tullio volarono in cielo sopra all'enorme silos. Probabilmente avranno guardato la valle da là. La valle così bella che hai la tentazione di credere in Dio.Un bello spettacolo davvero, doveva essere. Ma non abbastanza bello da essere l'ultimo. Non abbastanza da poter prendere il posto dello sguardo forte e pieno d'amore di una donna che saluta il tuo rientro, o di quello pieno d'adrenalina di un figlio appena uomo sul go-kart o, ancora, di quello irrinunciabile di una figlia: che abbia nove o diciannove anni non importa. Un giorno l'hai presa tra le braccia e, per te, lei non ha più cambiato sguardo.Un bello spettacolo, la Valle, ma non abbastanza per morire.Una bella Costituzione la nostra, ma non abbastanza per essere rispettata.Una bella storia quella di San Francesco ma non abbastanza per ripetersi.Questo è ciò che accadde a Campello sul Clitunno, in provincia di Perugia, meno di due anni fa, all'interno di una azienda di raffinazione di olio di oliva.Ho sempre, sinceramente, creduto nella magistratura. Non in tutti i magistrati che sono uomini e donne capaci di sbagliare, ma nell'Istituzione che la nostra Costituzione repubblicana definisce meravigliosamente nel titolo IV.Verità e giustizia. Scoprire la verità, accertare le responsabilità di un reato, individuare e perseguire i colpevoli sono presupposti essenziali per garantire la convivenza civile di una comunità. Al tempo dicemmo che, dopo quello che accadde quel giorno, andavano verificate le compatibilità di quell'azienda e del processo produttivo messo in atto al suo interno con il nostro territorio. Grazie al lavoro della magistratura e dei tecnici di cui ci si è avvalsi, grazie alle indagini dei procuratori ed alle valutazioni dei giudici volevamo capire, a garanzia di tutti, cosa fosse realmente successo e come quel sistema di produzione potesse impattare sul nostro ambiente e sulla nostra terra.Ora non ha più senso attendere che queste valutazioni emergano e che questi approfondimenti vengano effettuati. Oggi i titolari di quella impresa vorrebbero individuare come responsabili civili dell'accaduto i morti e quindi i loro eredi: due bambine di meno di dieci anni, una ragazzo neppure maggiorenne ed una ragazza di meno di venti anni che hanno perso per sempre il padre, quattro donne che hanno perso il proprio marito.Oggi la vergogna per tale richiesta uccide di nuovo la dignità di ogni lavoratore e di ogni famiglia. La dignità di Fiorella, Morena, Anila, Catia, Yuri, Sagma, Branjola, Enrica.Dopo la surreale richiesta di risarcimento dei danni ai familiari delle vittime (trentacinque milioni di euro) la valutazione da fare è un'altra: quella dell'assoluta incompatibilità umana e sociale di chi ha fatto tale richiesta con la nostra civile comunità”.
(modificato alle 0.11 del 2 luglio)
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