C’è modo e modo! Si può affrontare una regia d’opera avendo ben chiara la struttura compositiva originale, oppure la si può “affettare” e spargerne i brandelli sul palcoscenico in attesa che qualche predatore se li mangi. Più volte ci è capitato di scrivere che la lezione di Carmelo Bene, della scrittura di scena che supera il testo a monte, era la più affascinante. Ma nell’Opera Lirica il concetto di riscrittura deve fare i conti con la partitura musicale che ha una sua struttura immodificabile e che in ogni caso implica, o meglio evoca, sensibilità e sentimenti che possono essere guidati, in qualche misura, ma non fatti a brandelli.
Ne Il Barbiere di Siviglia messo in scena ieri sera a Spoleto, 21 settembre, con la regia di Paolo Rossi, il modo giusto è stato scritto senza troppa difficoltà. Merito anche della profonda conoscenza di Rossi della commedia dell’arte e del suo diploma di Perito Chimico. Lui stesso se ne fa vanto, con la consueta vena comica, durante la tradizionale conferenza stampa di presentazione prima del debutto. Una esperienza sul campo che riesce a individuare senza troppa difficoltà e senza troppe elugubrazioni intellettuali, le chiavi di lettura dell’Opera.
Quando si apre il sipario al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, la mente torna subito al Flauto Magico con la regia di Graham Vick (2018), allo sferisterio di Macerata. Qualcuno in quel caso scrisse “Tradire per tramandare”, sostenendo la possibile coabitazione di una musica come quella di Mozart con elementi di riscrittura scenica come ruspe, scioperanti, transenne, venditori di pollo fritto (Papageno, l’uccellatore), finti grattacieli e protagoniste in lurex e tacchi a spillo.
Nel caso Spoletino, invece, ci troviamo al cospetto di una situazione cantieristica in cui il tema principale è la precarietà nelle professioni teatrali, box degli attrezzi e trabattelli su cui pendono i cartelli della protesta, come quello dei Clavicenbalisti in rivolta, che in gesto estremo, occupano un palco del boccascena e poichè si presume la faccenda duri da qualche tempo, fissano in bella vista sul golfo mistico uno stendino dei panni da cui penzolano una coppia di tristissimi calzini, corti per giunta.
Quale la differenza dunque? A Macerata si tradiva volutamente, con l’intento di offrire una nuova simbologia attraverso il testo e con la complicità della musica. A Spoleto invece tutti mentono sapendo di mentire e rendendo l’operazione talmente evidente da suscitare una comprensione ilare che potrebbe essere probabilmente la stessa di quando il Barbiere andò in scena per la prima volta nel 1816.
Paolo Rossi più che un regista, è un demiurgo che lavora a teatro “con quello che c’è”, e ripetendolo in conferenza stampa mette in luce l’operazione principale compiuta a Spoleto, ovvero la trasformazione dei personaggi principali, attraverso la memoria recente del pubblico.
E dunque il Conte D’Almaviva è un impresario (si presume teatrale) in occhiali da sole e rotolo dei soldi in tasca, Figaro (il Factotum) è una specie di Fonzie ispanico con le nappine sul giubbotto di pelle, Don Bartolo una sorta di Don Chisciotte della Mancia, Rosina una mistress in guepiere e frustino. Risate incontenibili all’apparire di un Don Basilio-Don Matteo, che arriva con l’immancabile bicicletta e berretto e appena svestito si scopre che ha fattezze e tonaca alla Rasputin. Del resto da chi canta “La calunnia è un venticello…”, non ci si può aspettare altro.
Ma per Paolo Rossi la scena non è tale se non c’è anche un mimo che sottolinea e suggerisce ogni passaggio dell’opera. A Spoleto c’è per la bisogna uno straordinario Jacopo Spampanato, spilungone allucinato dotato di gobba, semovente, alla Quasimodo.
L’Opera, i cantanti, l’Orchestra
Ma nonostante i travestimenti voluti o di scrittura, nel libretto originale di Cesare Sterbini, i personaggi-cantanti non tradiscono la musica di Rossini e sfoderano prestazioni canore di grande pregio esecutivo, con tanto di calorosi applausi a scena aperta.
Milos Bulajic-Conte D’Almaviva, è un tenore leggero che fa la sua parte e supera l’improbabile prova del travestimento in un effeminato Don Alonso, maestro di canto e ballo, inguainato in una tremenda tutina stretch. Voce sicura, con tutte le estensioni di rito, ma dalla timbrica leggermente “chioccia”.
Ferruccio Finetti-Don Bartolo, ottimo basso dal carattere buffo, caratterizza il personaggio come meglio non potrebbe, grazie anche all’aiuto del fisico marcato ed atletico su cui il regista Rossi costruisce una sorta di lottatore sociale, niente affatto intimorito dall’autorità.
Paolo Ciavarelli-Figaro il factotum, è una realtà incontrovertibile del Lirico e della scena teatrale operistica. Baritono dalla voce anche troppo squillante ed esuberante (in un paio di passaggi della cavatina Largo al Factotum, ha superato di molto anche l’orchestra in buca), Ciavarelli è talmente sicuro, e a ragione, dei propri mezzi attoriali e canori che deve ora fare grande attenzione a contenere la sua mattatorialità e incanalarla in una sequenza di scelte interpretative che non lo rendano macchietta. In questo momento non ci sono cantanti al suo pari.
Noemi Umani-Rosina è un delizioso soprano, niente affatto leggero, applaudito con convinzione dagli spettatori di Spoleto. Regge magnificamente la parte, sfoderando una buonissima capacità nei recitativi e nelle arie più difficili come la famosa cavatina “Una voce poco fa”, in cui lascia tutti a bocca aperta quando intonando “Ma se mì toccano dov’è il mio debole…”, lascia apparire la guepiere nerissima, mulinando il frustino intorno a se. E chi vuol capire, capisca!
Giordano Farina-Don Basilio, ed anche un pò Rasputin e Don Matteo, è un basso già conosciuto dalle parti del Lirico Sperimentale. Voce profonda, ma non tanto da cantare il Boris Godunov, si disimpegna egregiamente nella famosissima aria “La calunnia è un venticello…”. Penalizzato, ingiustamente, dal pubblico nella intensità degli applausi, Farina ha eseguito in maniera impeccabile la parte del “prenditore” ecumenico di denari a tutti i costi che gli ha cucito addosso Paolo Rossi.
Bravi e gradevolissimi anche tutti gli altri comprimari, Maurizio Cascianelli-Fiorello e Un ufficiale, Ivano Granci-Ambrogio e Miryam Marcone-Berta (splendida la sua “Il vecchiotto cerca moglie…”).
Seppure in formato ridotto, ma grazie anche alla perfetta acustica del Nuovo, risulta efficacissima l’esecuzione dell’Orchestra O.T.Li.S. nella conduzione del Direttore, Salvatore Percacciolo.
E’ suo merito se alcuni momenti della partitura in cui il fraseggio musicale si fa davvero impervio, diventano invece chiaramente il segno della modernità di un opera innovativa come Il Barbiere di Siviglia. E’ lo stesso Percacciolo, in conferenza stampa, ad accennare alla vicinanza di alcuni passaggi de Il Barbiere con la scrittura musicale più contemporanea come il Rap.
Nel complesso una esecuzione limpida e nella tradizione, senza troppa enfasi e con le giuste accelerazioni, privilegiando il cantato.
Applausi anche al complesso del coro del Lirico guidato dall’ottimo M° Mauro Presazzi.
Se il teatro si fa, come dice Paolo Rossi, “con quello che c’è”, un plauso convinto va anche ad altri due artefici del successo di questo Barbiere, ovvero Andrea Stanisci, scenografo e Clelia De Angelis, per i costumi. Stanisci si inventa questa sorta di teatro occupato in cui tutto è al suo posto, nel disordine generale, mentre Clelia De Angelis non rinuncia anche stavolta al suo tocco estroso quando al povero mimo, Jacopo Spampanato, nelle veci di un notaro viene infilata sulla testa una bocculuta parrucca settecentesca fatta di tubi di cartone, di quelli su cui si avvolge la carta igienica.
Il destino del Lirico Sperimentale
Nell’anno delle difficoltà dovute ai tagli dei fondi regionali per la cultura, e nella precarietà generale nel mondo dello spettacolo denunciata anche da Paolo Rossi, va sottolineata (e ringraziata) ancora una volta la grande capacità ed il grande senso di responsabilità di tutte le maestranze del Lirico che non hanno fatto mancare nulla perchè la 73^ Stagione riuscisse egregiamente come sempre è accaduto.
Tuttavia non si può che prendere atto di come i tempi cambiano e come l’operazione Barbiere di Siviglia, con la regia di una grande artista come Paolo Rossi, renda molto più in termini di comunicazione di qualunque altra iniziativa di dialogo con il pubblico. E meno male che Rossi è un vero artista, uno di quelli a cui la piacioneria, tanto in voga nel mondo dello spettacolo, non provoca nessun interesse, tanto da non dover solleticare nessun istinto attuale.
Ne è la prova evidente il piccolo video che alleghiamo all’articolo dove Rossi e il mimo Spampanato intrattengono un pubblico di bambini delle medie e delle elementari, spiegando loro l’opera e suscitai sperando più di una risata, oltre una attenzione insperata.
La conoscenza è l’unica che ci può salvare.
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Foto, Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)