Secondo la Procura, Armeni ha sparato per uccidere. Quando gli inquirenti hanno chiesto al Gip di emettere l’ordinanza di custodia cautelare in carcere hanno scritto nero su bianco che oltre al dato balistico sull’impossibilità che l’M12 S2 abbia sparato per sbaglio, tra gli indizi colpevolezza vi era da ascrivere anche l’“intero copione recitato” da Armeni, e quelle parole, ormai note, pronunciate all’uscita dal funerale del collega e intercettate dagli inquirenti e tutto il suo comportamento negli istanti seguenti il ferimento e la morte di Lucentini.
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“Dopo lo sparo, Armeni non grida aiuto e non soccorre Lucentini” – E nella stessa giornata in cui il Tribunale del riesame ha deciso che il carabiniere, collega della vittima, deve rimanere in carcere (la difesa annuncia già un possibile ricorso in Cassazione), nuovi elementi arrivano ad aggiungere pezzi a un puzzle ancora non completo. Secondo la Procura il fatto che Armeni abbia sparato volontariamente al collega carabiniere “è confermato dal comportamento assunto dall’indagato subito dopo l’esplosione del colpo: nessuno lo sente urlare o gridare aiuto dal piazzale della caserma. Non si avvicina al corpo di Lucentini per soccorrerlo o anche solo per sincerarsi delle condizioni del collega che in quel momento è ancora vivo. Tutto quello che fa è poggiare la pistola a terra e avviarsi camminando verso l’interno della caserma. L’unica spiegazione plausibile del comportamento tenuto è che Armeni sapesse bene di aver sparato alla testa di Lucentini e che il collega, ferito così gravemente, non sarebbe sopravvissuto”. Un quadro agghiacciante dove il collega che continua a dichiararsi innocente non si china nemmeno sul corpo del carabiniere per prestargli soccorso, ma che manca ancora del movente.
Cosa aveva scoperto Lucentini? E allora “Le indagini si rendono necessarie per verificare se la causale dell’omicidio sia legata a precedenti condotte di rilievo penale (dell’indagato, ndr) delle quali la vittima fosse venuta a conoscenza”. Le ipotesi di omicidio, si apprende adesso, erano già nella mente degli inquirenti 12 ore dopo la morte di Lucentini. Così poco, se fosse, avrebbe retto “il copione” recitato dal carabiniere indagato. E due sono sempre state le ipotesi di moventi, cioè quelle legate a “vicende personali”. La stessa vedova di Lucentini ha spiegato che più volte il marito le aveva confidato di avere difficoltà con quel collega carabiniere “che andava troppo forte in macchina” e che doveva spesso rimproverare, ma di Armeni emerge, come spiegato dall’avvocato della famiglia della vittima Giuseppe Berellini, “il ritratto di un militare sopra le righe, da indiscrezioni risulterebbe anche la conferma di atteggiamenti spavaldi nel maneggiare le armi, da parte di alcuni colleghi, sentiti anche dal magistrato”.
“Io resetto”. Un “atteggiamento mascolino, rude, fortemente difensivo e guardingo” che mostra “freddezza e inibizione e superficialità e incapacità di accesso alla propria emotività”, così il medico dell’Arma descrive Armeni, che di sè stesso invece parla come di “un guerriero”, “un lupo braccato” e che sotto intercettazione dice al collega carabiniere che al telefono gli parla della messa di commemorazione del collega, “Che messa?” e a chi gli ricorda che è trascorso un mese dalla morte del carabiniere dice: “Ah ma che cazzo ne so io, io resetto subito… da vero guerriero, purtroppo è così la mia pratica è quella, istruita da vero guerriero ed il guerriero è fino alla fine… tanto che devo fa?”. E nelle motivazioni per cui chiedono la carcerazione di Armeni i magistrati spiegano che sussiste il pericolo di fuga dai domiciliari e anche il rischio che una volta apprese le dichiarazioni dei colleghi, l’indagato potrebbe commettere “vendette o ritorsioni”.
Sopralluogo in caserma. E lunedì gli avvocati Berellini e Belluccini hanno ottenuto il consenso di recarsi con i periti Farneti (balistica) e Scalise (medico legale) nella caserma dei carabinieri teatro dell’omicidio, per confrontare gli elementi del fascicolo a cui hanno avuto accesso (foto e registrazioni del corpo e dei luoghi) per ottenere i riscontri visivi necessari.
Si cercano impronte sui 2000 euro di Lucentini. Oppure il movente è da ricercarsi in quel denaro trovato nella disponibilità della vittima? Questioni “tutte da chiarire alla base del rinvenimento nell’auto di Lucentini della somma di 2mila euro in contanti suddivisa in più tranches nascoste in varie borse e portadocumenti”. E proprio sul quel denaro adesso gli inquirenti vogliono vederci chiaro. Tanto per cominciare se ne occuperà il Ris già nei prossimi giorni per verificare la presenza di impronte digitali. Chi ha maneggiato quei soldi, e soprattutto perchè la vittima aveva con se tutto quel contante? Secondo gli avvocati Berellini e Belluccini il tutto è più che dimostrabile: “Lucentini doveva effettuare degli acquisti per il mezzo agricolo di famiglia”. Secondo la Procura invece questo aspetto va chiarito. E si comincerà proprio con le impronte alla ricerca di un movente per la morte del carabiniere scelto Emanuele Lucentini.