Non solo mascherine, dispositivi di protezione individuale e respiratori. L’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova gli operatori sanitari anche per trovare le migliori soluzioni per la più efficace somministrazione di terapie e per la nutrizione ai pazienti Covid ricoverati nei reparti di terapia intensiva e sub intensiva.
È quanto emerge dai documenti appena emanati dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) su ‘Approccio vascolare al Paziente COVID-19 positivo’, dal GAVeCeLT – ‘Gruppo Aperto di Studio su ‘Gli Accessi Venosi Centrali a Lungo Termine’, e dal documento della Società Italiana Accessi Vascolari (Ivas) – ‘L’Accesso Vascolare nel paziente COVID-19’ -.
I dispositivi di accesso venoso presenti negli ospedali
I documenti fanno luce sulla necessità di riesaminare i criteri di scelta dei dispositivi di accesso venoso attualmente presenti nei nostri ospedali. “Il paziente Covid è un paziente complesso, di difficile gestione e, fino a questo momento, completamente sconosciuto. Gli operatori, gli intensivisti e tutti quelli che lavorano nelle terapie intensive stanno affrontando problematiche mai emerse fino a questo momento a cui è giusto dare una risposta a tutela del paziente e dell’operatore sanitario stesso“, dichiara Alfonso Papa, Siaarti.
“L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando in questi mesi ha comportato una serie di drammatiche modifiche nella routine della nostra pratica clinica, imponendo la revisione di protocolli e procedure. Le nostre raccomandazioni evidenziano quanto sia fondamentale un approccio proattivo anche in ambito di accessi vascolari per evitare complicanze importanti come l’interruzione della terapia o il deterioramento dei vasi sanguigni, per ridurre il più possibile la possibilità di interferire con i dispositivi per la somministrazione del supporto ventilatorio (maschera, casco, intubazione, etc.) e ridurre il rischio di sviluppare ulteriori infezioni“, afferma Luca Brazzi, Siaarti.
Somministrazione terapie e nutrizione
Somministrazione terapie e nutrizione del paziente Covid. Quali sono i principali problemi? L’assistenza ad un paziente Covid-19 prevede necessariamente il ricorso ad un accesso vascolare, un piccolo catetere fisso per l’infusione di farmaci o per la nutrizione, sostanze che sono spesso molto concentrate e date in maniera continuativa.
Molto frequentemente il paziente Covid si trova in condizioni fisiche che impediscono il reperimento di un adeguato accesso venoso: provenendo da giorni di sintomi (quali febbre e diarrea) ed inadeguata nutrizione, il paziente è sempre disidratato e quando già ricoverato in terapia intensiva, è soggetto a intubazione e ripetute movimentazioni per raggiungere la posizione prona e migliorare la ventilazione, oppure è in condizioni di allettamento prolungato (spesso su barelle in Pronto Soccorso).
“L’emergenza COVID-19 mette a dura prova gli operatori sanitari. La scelta del dispositivo di accesso vascolare più duraturo e più scevro di complicanze procedurali, in questi pazienti, è la chiave per ottenere la massima qualità di trattamento con il minimo rischio per gli operatori. Il PICC (catetere venoso centrale ad inserimento periferico) e le nuove tecnologie di impianto (ecografi di ultima generazione e visualizzazione del decorso del catetere all’interno del paziente senza utilizzo di RX) rispondono a questa esigenza.
Non si conoscono effetti a lungo termine del Coronavirus
Bisogna inoltre porre l’accento su due criticità che stanno fortemente emergendo in questi giorni: la prima è che sempre più spesso abbiamo negli stessi ospedali pazienti infetti e pazienti invece fragili che necessitano di assistenza (post trapianto, oncologici, ematologici), pertanto è fondamentale prevedere percorsi differenziati che tutelino entrambi; la seconda è l’assoluta non conoscenza degli esiti a lungo termine dell’infezione virale, per esempio sulla funzionalità respiratoria o cardiaca, e quindi sulla possibilità di avere un incremento nel futuro di pazienti cronici che richiedano quindi, già oggi, una tutela del patrimonio venoso periferico per non trovarci domani con l’impossibilita’ di infondere i farmaci necessari“, afferma Baudolino Mussa, Presidente Ivas.
Cos’è un Picc
Un catetere venoso centrale ad inserimento periferico o Picc è un dispositivo inserito per via periferica (vene non visibili e palpabili del braccio) che viene utilizzato per la terapia farmacologica e per la nutrizione parenterale. I vantaggi sono molteplici: essendo inserito per via periferica e quindi lontano dai dispositivi respiratori, permette al paziente di mantenere liberi i vasi del collo e della regione sopra-sottoclaveare e all’operatore di avere maggiore confort durante le cure, consente una somministrazione della terapia efficace e senza interruzioni, limita il numero di manovre per il posizionamento del catetere, anche in considerazione dei numerosi dispositivi (es. tubo endotracheale, casco Cpap) necessari per la sopravvivenza del paziente in terapia intensiva.
Un importante vantaggio nell’utilizzo del Picc consiste nel fatto che il suo posizionamento può essere eseguito rapidamente e direttamente al letto del paziente, attraverso metodiche accurate di tip navigation e tip location, realizzate grazie all’elettrocardiografia intracavitaria (IC-ECG), a sistemi di navigazione e all’ecocardiografia trans-toracica (TTE). In questo modo si posiziona il catetere in modo rapido e sicuro, evitando il controllo radiologico e soprattutto limitando il rischio di diffusione dell’infezione.
Importante ridurre controlli radiologici
“Dobbiamo tenere presente che in questo drammatico contesto la scelta di un catetere e la tecnica di impianto risultano strategiche per un migliore recupero della salute del paziente, ma anche come strumento che possa contribuire alla riduzione della diffusione di SARS-CoV-2 – afferma Mauro Pittiruti, Coordinatore Nazionale del GAVeCeLT – Nel caso di un paziente Covid19 è importante infatti ridurre contatti tra operatore e paziente e, nello specifico, i controlli radiologici poiché sia che si trasporti il paziente nel reparto di radiologia, sia che si porti l’attrezzatura radiologica al letto del paziente, il rischio di contaminazioni è molto elevato”.
“La scelta dei Picc va proprio in questa direzione oltre al fatto che permette una drastica diminuzione dei tempi di impianto nella gestione del paziente Covid e una riduzione del personale sanitario coinvolto, già quotidianamente molto esposto al rischio di infezioni“, conclude Alfonso Papa, Siaarti.