Nel giorno in cui, parlando dalla Scuola di formazione politica Rousseau, Luigi Di Maio, chiude all’ipotesi di un’alleanza con il Pd per le regionali (“non è all’ordine del giorno“, le sue parole), lo stesso capo politico del Movimento 5 stelle indirizza alla direttrice de La Nazione, Agnese Pini, una lettera aperta in cui pone le condizioni ai partiti per un’alleanza in Umbria.
Condizioni che poi sono quelle su cui si mugugna da giorni negli ambienti dem. Anzi, qualcuna in meno, perché Di Maio, con uno strappo alle regole grilline, concederebbe al Pd e agli altri partiti del centrosinistra l’onore delle armi, mantenendo il proprio simbolo sulla scheda. Però sul candidato, civico ovviamente, si faccia un passo indietro. Così come sull’eventuale composizione della Giunta in caso di vittoria. Senza il coinvolgimento, anche in lista, di chi ha vissuto politicamente una stagione segnata in Umbria dallo scandalo Sanitopoli. Su cui Di Maio insiste molto.
La lettera
“Per noi – scrive Di Maio a questo proposito – sarebbe facile accusare qualcuno, ma vedere l’Umbria colpita da un male endemico come la corruzione, deve portarci a un ragionamento molto più alto“.
Fatti che hanno minato la fiducia dei cittadini verso le Istituzioni. E allora, Di Maio propone che “tutte le forze politiche facciano un passo indietro e lascino spazio a una giunta civica, che noi saremmo disposti a sostenere esclusivamente con la nostra presenza in consiglio regionale, senza pretese di assessorati o altri incarichi. ovviamente – aggiunge – ci aspettiamo che tutti gli altri facciano lo stesso”.
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E ancora: “Qualcuno parlerà di alleanze o coalizioni, ma non si tratta di questo. Ognuno correrà con il proprio simbolo in sostegno di un presidente civico e con un programma comune“. E’ la strada indicata da Di Maio per salvare capra e cavoli: non mi alleo con il Pd (tanto più in una regione dove il partito è stato segnato da uno scandalo senza precedenti), ma sono pronto a sostenere un candidato civico appoggiato anche da altri partiti, compreso il Pd. Che nella sua lettera non viene mai citato.
I civici in un Palazzo, i partiti in un altro
In questo schema, i partiti resterebbero fuori da Palazzo Donini (dove governerebbe solo una Giunta di civici e tecnici, “una squadra di super-competenti“), ma svolgerebbero il loro ruolo a Palazzo Cesaroni. Dove le prospettive potrebbero anche cambiare nel corso della legislatura. E di molto. Dalla necessità, strada facendo, di dare vigore all’azione di governo regionale portando assessori espressione dei partiti di maggioranza in Giunta alla possibilità di votare contro provvedimenti scomodi (come in materia di rifiuti, ad esempio) o addirittura di staccare la spina.
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Il nodo Andrea Fora: tecnico…
Per ora, comunque, questa coalizione-non coalizione dovrebbe soltanto convergere sul nome del candidato presidente. Quello degli assessori, semmai, sarà un problema da affrontare dopo il 27 ottobre. E qui sorge il primo nodo. Il Pd, guidato dal commissario Walter Verini inviato sulle macerie della sua Umbria dal segretario nazionale Nicola Zingaretti, da subito ha rinunciato al proprio candidato. Scegliendo praticamente da subito, anche dietro la regia della neo vice ministra di Di Maio agli Esteri, Marina Sereni, l’ex presidente di Confcooperative, Andrea Fora. Che di fronte ai tentennamenti dei partiti del centrosinistra ed anche all’interno del suo Cantiere civico (per non parlare degli altri civici, ancora indecisi se starci o creare un nuovo polo) è uscito da settimane allo scoperto: “Mi candido a presidente“.
Il suo profilo (giovane, non impegnato direttamente in politica, gradito a sinistra ma anche alla Chiesa) potrebbe andar bene anche ai cinquestelle. Ma ci sono due problemi. Il primo, tecnico, è quel processo penale cui è sottoposto in quanto presidente della cooperativa capofila nell’appalto delle mense perugine. Il Movimento 5 stelle, statuto alla mano, vieta di sostenere chi abbia pendenze penali.
… e politico
L’altro impedimento è di natura politica: per i tempi (e i modi) in cui è emersa la sua candidatura, nonostante si ripeta come un manta che “Fora non è il candidato del Pd“, la sua figura viene associata a quella dei dem. Ed a quella Marina Sereni che continua ad evidenziare i tanti punti di contatto, nel programma, con il M5s. Una convergenza pentastellata su Fora in questa fase, però, apparirebbe come una convergenza del M5s sul candidato civico già scelto dal Pd.
La lista del Pd
E infatti Di Maio scrive nero su bianco: “Tutte le forze che credono nel bene comune di questa regione facciano un passo indietro, rinunciando ai propri candidati presidente, e mettano fuori dalle liste quei candidati che hanno avuto a che fare con il passato di questa regione e gli impresentabili“. Non solo il Pd dovrebbe rinunciare ad Andrea Fora presidente, dunque, ma anche a candidare consiglieri regionali ed assessori uscenti. Decimando praticamente un terzo della lista in buona parte già definita.
Fuori, dunque, anche quegli esponenti del Pd che – come la presidente dell’Assemblea Donatella Porzi, i consiglieri Giacomo Leonelli e Carla Casciari, quest’ultima in bilico per un nuovo mandato – in questi giorni hanno prospettato una declinazione umbra dell’alleanza giallorossa di governo.
E qui iniziano i mugugni. Perché il Pd, in questo “mix di esperienza e novità” che dovrebbe essere la lista a cui sta lavorando il commissario Verini, conta già di riproporre ai nastri di partenza l’attuale presidente Fabio Paparelli e il consigliere Marco Vinicio Guasticchi, oltre a Porzi e Leonelli (sicuri) e forse anche Casciari. Una lista senza i big (anche se sarebbero inseriti ex sindaci e consiglieri, ex parlamentari, oltre a qualche volto nuovo) rischierebbe di far restare a braccia conserte, da qui al 27 ottobre, tanti portatori di voti. Specie tra i bocciani.
I mugugni e il compromesso
Quanto agli “impresentabili“, c’è da capire cosa intenda Di Maio. Di certo non saranno candidati personaggi coinvolti nell’inchiesta Sanitopoli. E allora, anche chi, nelle Istituzioni, non si è accorto di quanto stava avvenendo?
Tolta la pregiudiziale sul simbolo, Di Maio ha posto dunque altre tre condizioni: il candidato, gli assessori (ma questo non è un problema, per il momento) e le mancate ricandidature degli uscenti. Rinunciando ancora ad una di queste tre, la trattativa tra Pd e M5s si chiuderebbe con un pareggio, consentendo a tutti di salvare la faccia con i propri elettori. E la rinuncia più facile potrebbe essere quella al candidato Andrea Fora. Eventualmente da ripescare poi come assessore.
Un passo indietro e uno in avanti
Chiude così Di Maio la sua lettera: “Ho lanciato un appello chiaro a tutte le forze politiche che hanno a cuore il bene comune: facciamo tutti un passo indietro. E ne ho lanciato un altro a tutti gli umbri di buona volontà che vogliono mettersi in gioco: fate un passo avanti. C’è bisogno di voi“.
Una mossa, quella di Di Maio, che ora spinge il Pd ad una scelta. Se i dem rifiutano le condizioni, non saranno i grillini ad aver “fatto vincere Salvini”, accusa che in questi giorni viene usata per convincere i pentastellati a trattare. Ed anche in chiave Governo, non potrà essere imputato al M5s di non dare seguito all’alleanza. Se i dem accettano, i generali pentastellati possono provare a convincere le proprie truppe in Umbria sul fatto che non c’è stata in Umbria un’alleanza con il Pd e quel “sistema di potere” che si erano prefissati di abbattere.
Una scelta che in via Bonazzi (e al Nazareno) devono prendere in fretta. Tra meno di due settimane scade il termine ultimo per presentare candidato, coalizioni e liste.