Un ultimo saluto straziante, con i genitori Cristina e Ciprian inginocchiati tutto il tempo accanto alla piccola bara bianca, vegliata dai cani. Quegli stessi Labrador che la avrebbero accompagnata verso la villa e poi avrebbero cercato di salvarla.
I funerali di Greta, la piccola trovata morta in una piscina poco lontana dalla sua abitazione lo scorso 12 maggio, sono stati celebrati dal vescovo Gualtiero Sigismondi e hanno espresso la tensione e la drammaticità del dolore di una così grave perdita. Un dolore che ha colpito due ragazzi giovanissimi, i genitori, e una comunità intera.
“Anche il cielo piange Greta”
“Anche il cielo piange Greta”, ha detto don Luigi Bonollo introducendo la celebrazione. “Di fronte ad una tragedia così non ci sono parole per consolare i genitori – ha detto il vescovo – ma il dolore e’ proporzionale al loro amore. L’amore di un genitore la scomparsa di un figlio è più forte di quello per la propria morte”. E poi l’invito a Greta per “Giocare con gli angeli”.
Presente anche il sindaco Stefano Zuccarini, in forma ufficiale con la fascia tricolore.
L’omelia del Vescovo
Di fronte ad una tragedia come questa, la morte di Greta avvenuta mentre si affacciava alla vita, non ci sono parole capaci di consolare i suoi genitori, Cristina e Ciprian. Le nostre voci non potrebbero mai lenire una ferita così grande, perché il dolore di una madre e di un padre è proporzionato all’amore con il quale si lega ai figli. Quando una donna diventa madre e un uomo padre rimangono tali per sempre. Non esiste conforto per una mamma e un papà che soffrono per la morte di una loro creatura; per un genitore la scomparsa di un figlio è più dura della propria morte. In circostanze così drammatiche c’è spazio solo per la condivisione del dolore, per un abbraccio silenzioso. Il silenzio appartiene al nostro linguaggio di consolazione: è un’opera concreta di partecipazione alla sofferenza; è un modo per sostenere chi porta un peso che lo schiaccia, sussurrando: “Appoggiati alla mia spalla e piangi. Non ne provar vergogna. Piange chi ama. Piangi, ma non disperare”.
Dalla nostra postazione terrena non siamo in grado di decifrare il senso degli avvenimenti della vita. Finché siamo pellegrini sui sentieri della storia, non riusciamo a scorgere il disegno di salvezza delineato dai fili intrecciati sulla tela; vediamo solo il retro del ricamo. Per l’intelligenza umana, la sofferenza e la morte degli innocenti rimangono una vetta da scalare a mani nude e a piedi scalzi. È impossibile trovare una qualche risposta a questo mistero immenso. Non si è lasciato indagare ieri, continuerà a opporre resistenza oggi. Soltanto la parola di Dio ha il potere di alleggerire il peso di ogni sconfinato tormento e di illuminare il mistero della morte. Solo la parola di Dio può aprire, con dolcezza e rispetto, uno spiraglio di luce a chiunque domandi ragione della speranza pasquale (cf. 1Pt 3,15);
“Il primo giorno della settimana, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro” (Gv 20,1). I suoi passi sono quelli tipici di tante donne devote ai vialetti dei cimiteri, sfinite di confusione, in ricordo di qualche persona cara che non c’è più. Eccoci anche noi qui, come la Maddalena, sospesi tra il dolore e l’incapacità di rassegnarci, di accettare la tragica fatalità di questa morte, che toglie il respiro ma non la speranza! C’è, infatti, una morte, quella di Cristo, in cui si è consumata “la morte della morte”. La fede pasquale ci autorizza a proclamare: “Forte come la morte è l’amore” (Ct 8,6). L’aggettivo che la morte merita è quello riservato all’amore: forte! E tuttavia la morte, sebbene riesca a mandare in frantumi il vaso di creta del nostro corpo, non spezza l’amore, non riesce a colpire a morte l’amore.
La fede pasquale ci è indispensabile. Serve a mantenere viva la speranza, a trovare la forza di portare il peso sfibrante della sofferenza senza diventare cinici e rassegnati come se nulla avesse senso e come se tutta la fatica che facciamo a vivere fosse pura ostinazione di creature illuse. Se Cristo è risuscitato, è possibile guardare con fiducia ogni evento, anche se carico di angoscia. La preghiera della Chiesa ci assicura che il corpo di Greta, deposto nel sepolcro, un giorno risorgerà “per sbocciare come un fiore nella primavera eterna”.
Mi piace pensare che Greta, nel trovarsi all’improvviso nell’altra vita, avrà esclamato: “Mamma mia!”. Da bambini, “mamma” è la prima parola che si pronuncia, quella che dà sicurezza. Da adulti, il sostantivo “mamma” viene quasi sempre accompagnato dall’aggettivo possessivo “mia”. Di fronte ad un’emozione questo termine fiorisce spontaneo, esprimendo un sentimento viscerale. Quasi sempre è l’ultima espressione che, come “viatico”, ci resta nell’otre delle parole del dolore e dell’estrema solitudine della morte. Anche questa tragedia, con i suoi inquietanti interrogativi, ci fa esclamare: “Mamma mia!”.
Fratelli carissimi, non posso prendere per mano Greta e dirle, come ha fatto Gesù con la figlia di Giàiro: “Fanciulla, io ti dico: alzati!” (Mc 5,41). Oso però sussurrare queste parole alla mamma Cristina e al papà Ciprian, prostrati da un dolore inconsolabile. Se non fossi certo di irritare la ferita aperta della loro sofferenza, mi verrebbe il desiderio di suggerire a Greta: “Gioca con gli angeli in Paradiso; lasciati prendere in braccio dalla Madre di Dio e trova il modo di accarezzare i tuoi genitori, di consolarli. Non ti sarà impossibile farlo!”.