Di rosso vengono vestiti i bambini dalle madri migranti prima di imbarcarli in mare, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori. Di rosso ieri si è tinta anche Spoleto, che ha aderito all’appello #magliettarossa per #fermarelemorragia di umanità lanciato da Libera, Legambiente, Anpi e Arci.
Spoletini e turisti si sono ritrovati al Giro della Rocca con un flash mob di pochi minuti che ha voluto sottolineare il valore e il ruolo dei legami umani: oltre alle magliette rosse, un filo rosso tenuto da tutti i presenti ha creato un reticolato che ha coinvolto via via i passanti di una delle vie più frequentate nel secondo sabato di Festival. Poi l’intrico della relazioni umane si rompe all’improvviso e tutti a terra, mentre una voce ha scandito le parole di un padre, di una madre:
Se fosse tuo figlio
riempiresti il mare di navi
di qualsiasi bandiera, ti getteresti in mare,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.
Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio.
È solo un figlio dell’umanità perduta,
dell’umanità sporca, che non fa rumore.
Al flash mob di Spoleto hanno partecipato anche tanti ragazzi, che hanno consegnato ai passanti cartoncini colorati con su scritti pensieri contro il razzismo. Come quello di Mamadou, 16 anni: “Non sono pericoloso, sono in pericolo”.
Ma non basta indignarsi: “Bisogna trasformare l’indignazione in sentimento e il sentimento in impegno e responsabilità”, come ha detto don Luigi Ciotti lanciando la campagna #magliettarossa. Altrimenti tutto si gioca sul filo incerto delle emozioni. Abbiamo due strade per crescere: le relazioni e la conoscenza: se siamo arrivati a questo punto è anche perché abbiamo smesso di percorrerle, l’altro è complice oppure nemico. Spoleto sa reagire e ha dimostrato di essere città capace di manifestare e coinvolgersi per una convivenza più giusta.
Rosso significa anche sosta. In questo caso il rosso delle magliette ha significato riflessione, desiderio di guardarci dentro, di porre fine a questa perdita di umanità. Ma anche di progettare e organizzare il dissenso, tradurlo in fatti concreti. Poche parole, ma impegno ogni giorno per fare delle nostre città luogo di convivenza giusta per tutti: in un’epoca di abuso di parole anche quelle vere rischiano di non bastare più.