Un ritratto dell’Umbria e della sua evoluzione dal punto di vista demografico, economico e infrastrutturale nel periodo che va dal 1971 ai giorni nostri, con un focus su quanto accaduto in particolare negli ultimi cinque anni di crisi: è l’ultima sfida con cui Cna Umbria ha voluto misurarsi commissionando al centro studi Sintesi una ricerca che ha preso in esame la struttura e composizione del sistema imprenditoriale, la distribuzione dell’occupazione, le direttrici lungo cui si è registrato il maggior sviluppo, l’evoluzione demografica e il fenomeno del pendolarismo.
“I risultati – dichiara Roberto Giannangeli, direttore di Cna Umbria – hanno messo in luce alcune linee di tendenza sulle quali riflettere. In estrema sintesi è emerso che negli ultimi 40 anni, durante i quali il numero delle imprese è raddoppiato, si è assistito ad un autentico boom dei servizi e delle costruzioni e alla diminuzione del commercio e del manifatturiero. Le micro e piccole imprese si confermano sempre più come il maggior serbatoio di occupazione del settore privato, arrivando a rappresentare l’81% dei 242mila addetti totali. L’artigianato, da solo, esprime un quarto degli addetti del settore privato in Umbria (59mila unità)”.
“In particolare nel manifatturiero – prosegue Alberto Cestari, del centro studi Sintesi – cambia anche la rilevanza dei vari settori. A diminuire sensibilmente sono gli addetti del sistema moda, dell’industria alimentare e della chimica, mentre aumentano quelli impegnati nella fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici o elettrici e nell’elettronica. A livello geografico lo sviluppo coincide con la presenza di infrastrutture, soprattutto viarie, concentrandosi in particolare nella parte centrale della regione e lungo l’asse nord – sud. Durante la crisi il sistema regionale delle imprese, pur restringendosi (- 1.787 imprese, pari a una flessione del 2,1%), ha retto meglio rispetto alla media nazionale (- 2,6%). I settori più penalizzati sono stati le costruzioni, i trasporti e l’agricoltura, mentre sono cresciuti i servizi e il commercio. Negli ultimi cinque anni le imprese manifatturiere che non ce l’hanno fatta sono state circa 500, in particolare nel sistema moda, nella produzione di metalli e nell’industria del legno e arredo casa. In crescita invece le imprese fornitrici di energia, quelle che fabbricano macchinari e l’industria alimentare. Sempre durante la crisi le imprese dei servizi nel loro complesso sono aumentate (+ 700 imprese ca.), ma è cambiata la loro specializzazione (più servizi di supporto alle imprese e meno call center o noleggio di beni). Nel primo semestre di quest’anno le esportazioni sono finalmente tornate ai livelli pre-crisi (+1% rispetto allo stesso periodo del 2008). I principali mercati di sbocco sono l’Unione europea (61%), il nord America (11%) e altri Paesi europei. A registrare il maggior aumento percentuale è tuttavia l’export verso l’Africa e il Medio Oriente. Le esportazioni nel settore siderurgico si sono dimezzate perdendo il loro primato storico, che passa al sistema moda e tessile nel suo complesso. Andando ad esaminare le evoluzioni dell’ultimo quarantennio dal punto di vista più strettamente demografico la ricerca conferma l’aumento della popolazione complessiva della regione, che oggi conta circa 900mila abitanti (+119mila dal 1971), di cui oltre il 25% con almeno 65 anni di età (22% la media nazionale) e in cui la percentuale di stranieri è l’11% del totale (1 straniero ogni 10 abitanti). Dalla ricerca emerge anche che il pendolarismo per motivi di lavoro e/o studio degli umbri verso altre regioni (specialmente Lazio e Toscana) è raddoppiato in venti anni. Negli anni è aumentato molto anche il pendolarismo interno, in particolare dai piccoli comuni verso i centri più grandi, fenomeno più marcato nel Ternano. Il tutto in un panorama infrastrutturale che presenta carenze storiche”.
“Per concludere – riprende Giannangeli – crediamo che i risultati della ricerca dimostrino innanzitutto il peso determinante della piccola impresa in termini occupazionali, mentre sono troppo poche le aziende di maggiori dimensioni; che la moda, la meccanica e l’agroalimentare sono settori trainanti, specie se realizzano un prodotto finito in grado di conquistare nuovi mercati; che le infrastrutture determinano fortemente lo sviluppo, ragion per cui occorre andare velocemente al completamento della Quadrilatero e della Orte-Civitavecchia, alla riqualificazione della E45, al rafforzamento dell’aeroporto di Perugia e al collegamento con l’alta velocità ferroviaria. La ricerca dimostra anche che serve una maggiore qualificazione dei servizi, legandola sempre più alla produzione per creare maggior valore aggiunto; che una popolazione che invecchia può anche aprire a nuove opportunità; che gli stranieri per l’Umbria rappresentano una ricchezza (7.144 imprese in Umbria con titolari e/o soci non italiani); che – infine – l’analisi dei flussi di pendolarismo deve essere presa in considerazione sia quando si parla di macroregioni, sia nel ridisegnare il sistema del trasporto pubblico locale”.