Il Consiglio delle Autonomie Locali dell’Umbria si è riunito oggi, 3 ottobre 2012 al fine di elaborare una ipotesi di riordino delle Province umbre ai sensi del D.L. 95/2012 (Spending Review).
Come noto la riunione di oggi era stata preceduta da altre sedute dello stesso organismo, dagli Stati Generali delle Autonomie Locali umbre, riunitisi a Foligno lo scorso 17 settembre. e da numerosi incontri del Gruppo di Lavoro appositamente costituito.
L’ipotesi adottata dal CAL dell’Umbria (26 voti a favore su 31 presenti) si è concretizzata nell’approvazione in un documento politico (copia integrale del testo alla fine dell'articolo) che opta per la scelta di riordinare l’Umbria su due ambiti provinciali.
Il documento verrà inviato tempestivamente ai 92 Comuni dell’Umbria affinchè possano esprimersi sull' ipotesi, e alla Regione dell’Umbria affinchè possa formulare al Governo la proposta di riordino sulla base di quanto il CAL ha deliberato.
Il Presidente del CAL On. Leopoldo Di Girolamo ha espresso forte soddisfazione per il risultato odierno e un vivo ringraziamento a tutti i membri del CAL e del Gruppo di Lavoro che hanno contribuito in maniera fattiva all’esito della riunione.
CONSIGLIO DELLE AUTONOMIE LOCALI dell’UMBRIA
L.r. 16 Dicembre 2008, n. 20
DOCUMENTO PROVINCIA
Da ormai quattro anni siamo immersi pienamente nella crisi economica e finanziaria più grave dalla fine della II° guerra mondiale.
Una crisi non congiunturale ma strutturale, che sta cambiando le gerarchie del pianeta, ridistribuendo i poteri e ridisegnando lo stesso ordine sociale.
L’epicentro della crisi dagli Stati Uniti si è trasferito in Europa, con una particolare gravità nell’area mediterranea dove, a causa di fondamentali negativi quali l’alto debito pubblico ed un apparato industriale meno competitivo, sta diventando crisi sociale.
L’Italia è fra i Paesi più colpiti, ed anche gli ultimi dati economici, che segnalano una accentuazione della caduta del PIL, della produzione industriale e dei consumi ed un aumento della disoccupazione; ci confermano l’aggravarsi del quadro economico e sociale. Anche in Umbria, a partire dalla seconda metà del 2011 si assiste ad un peggioramento del quadro economico.
Si rafforza il rallentamento del tasso di crescita dello stock di imprese, si evidenziano un aumento dei fallimenti, una diminuzione del fatturato e della produzione, un forte incremento della CIG ed un peggioramento dell’occupazione. A questo si contrappone una crescita dell’export, soprattutto nella componente metalli.
Vengono confermati alcuni limiti strutturali del sistema umbro: dalla inadeguata dimensione delle imprese e la loro ridotta capitalizzazione, all’elevato livello di disoccupazione femminile ed intellettuale alla ridotta spesa in R e S. A questi elementi si aggiunge una forte diminuzione della spesa per investimenti fissi delle amministrazioni locali.
La strutturalità della crisi ci chiama a raccogliere una sfida che è epocale e che va affrontata con la stessa tensione ideale e spirito comunitario che ha innervato altre stagioni fondative della storia umbra, quali quella degli anni ’60, quando si riuscì a connotare una nuova dimensione di progetto con la costituzione del nuovo soggetto regionale. La Regione si impose allora come soggetto fondamentale dello sviluppo, favorendo la trasformazione di una regione arretrata in una moderna ed avanzata regione europea.
E’ una sfida che abbiamo inteso raccogliere chiamando in primo luogo a confrontarsi il mondo dell’istituzioni negli “stati generali delle autonomie locali dell’Umbria” tenutisi a Foligno il 17 di settembre. Da quella giornata di intenso e proficuo lavoro sono venute indicazioni importanti che vengono ora declinate in questo documento.
Serve una nuova fase del regionalismo umbro, che ne rafforzi identità ed unità, consolidandone i punti di forza anche attraverso la distribuzione dei poteri in una nuova articolazione territoriale ed istituzionale in modo da rendere più efficiente ed efficace l’azione amministrativa dei livelli istituzionali e sostenere al meglio la programmazione regionale.
Va sostenuta una stagione di riforme profonde che parta dalla consapevolezza del legame indissolubile fra modello produttivo, modello sociale ed organizzazione istituzionale.
Va rafforzata la dimensione unitaria dell’Umbria e fare di questo un valore fondamentale nel cercare di contrastare la crisi e produrre profondi elementi di innovazione.
Occorre stringere in modo più forte che in passato i rapporti tra le diverse soggettività sociali e le diverse articolazioni territoriali, affinché si possa, facendo perno su una dimensione praticabile ed una buona coesione sociale, dare vita ad una progettazione comune.
Partendo da queste considerazioni si è venuto sviluppando in Umbria un ampio ed articolato disegno riformatore che ha come principi guida quelli della riduzione dei costi dell’apparato pubblico, della semplificazione burocratica ed amministrativa, della esclusività delle funzioni in capo ad ogni singolo soggetto istituzionale, superando duplicazioni e sovrapposizione di competenze del decentramento amministrativo. Da qui le leggi sulla semplificazione, sulla riforma endoregionale e la creazione delle unioni speciali dei Comuni, del riassetto delle Agenzie regionali, della costituzione dall’Ambito Unico Regionale per i rifiuti e l’idrico, della riorganizzazione del Servizio Sanitario Regionale, per disegnare un’Umbria più competitiva e dinamica, pronta ad intercettare la ripresa ed aprire una nuova stagione di sviluppo.
In questa fase così complessa sono intervenute, in maniera dirompente, le norme dettate dall’art. 17 della L. 135/2012 che obbligano a ridisegnare l’assetto delle Province secondo criteri demografici e di estensione territoriale.
Siamo pienamente consapevoli della indispensabilità di una riforma complessiva dell’assetto istituzionale e della pubblica amministrazione del nostro Paese, gravato da inefficienza, ridondanza, sovrapposizione di ruoli e funzioni, costi eccessivi. Per questo si era cercato di produrre, attraverso il Codice delle Autonomie, un quadro organico e coerente di poteri e funzioni che delineasse in maniera precisa le attribuzioni esclusive di ciascun Ente secondo criteri di specializzazione, proprorzionalità ed adeguatezza ed avesse al centro il servizio ai cittadini ed alle imprese.
Il Governo ha prodotto invece una norma settoriale, pasticciata, che sta creando profondi conflitti nelle comunità locali e che non corrisponde affatto alla finalità di produrre buon governo. In Umbria si andrebbe, se non si adottassero iniziative politico-istituzionali autonome, alla costituzione di una sola Provincia, estesa a tutto il territorio regionale, con un consiglio di 16 membri, eletti fra i sindaci ed i consiglieri comunali di tutta l’Umbria, ed un Presidente che, senza alcuna Giunta dovrebbe governare una mole di circa 1700 dipendenti e politiche di assetto del territorio, trasporti e viabilità, edilizia scolastica, tutela ambientale.
Si determinerebbe la esclusione di interi territori regionali dalla rappresentanza, in primo luogo quelli demograficamente più deboli, difficoltà operative molto rilevanti, con una maggiore complessità amministrativa, tempi più lunghi, ed un palese conflitto di interessi.
Inoltre l’anomalia di avere, due soggetti istituzionali che esercitano la propria funzione di governo sulla stessa popolazione e sullo stesso territorio determinerebbe conseguenze negative su quel regionalismo sul quale si è fondata una parte fondamentale della storia democratica dell’Umbria e del suo sviluppo economico, sociale e civile.
L’assurdità sta infatti nel fatto che non ci troviamo di fronte ad una Agenzia strumentale della Regione, da questa delegata ad attuare specifiche politiche di settore, ma ad una articolazione fondamentale della statualità repubblicana. Nella tradizione del regionalismo, di quello umbro in particolare, è stato forte il bilanciamento istituzionale, che poi si è tradotto in qualità della vita democratica delle istituzioni, tra una Regione che legifera, controlla e delega, ed una attività amministrativa che trovava la sua concretizzazione nei Comuni e, per le politiche più complesse, di area vasta, nelle Province. E’ evidente allora che, venendo meno questa articolazione plurale, il bilanciamento non potrebbe avvenire, le politiche di decentramento e delega non potrebbero essere attuate e si andrebbe, inevitabilmente, ancorché non voluto, verso un accentramento regionale.
Questo peserebbe negativamente, in una fase nella quale l’Umbria, dentro gli scenari globali che ci investono, avrebbe bisogno di affrontare al meglio, come sta cercando di fare, il tema di andare oltre il policentrismo orizzontale ed indistinto che pure ha contraddistinto una fase storica della vita della comunità regionale, e lavorare per costruire una dimensione della regione in senso più unitario e coeso, in una logica di sistema integrato che è essenziale per stare positivamente ed autonomamente dentro la nuova fase del mondo.
A tutto questo si aggiungono anche altre due questioni che rendono il quadro ancora più incerto e problematico. La prima riguarda la mancata deliberazione, che il governo si era impegnato ad adottare entro il 5 settembre, sul trasferimento ai comuni delle funzioni amministrative conferite alla Province con legge dello Stato. La seconda è che non è stato sciolto il nodo della indispensabile, o meno, corrispondenza tra lo status di Provincia e la presenza degli uffici decentrati dello Stato, la cui eventuale riduzione costituirebbe un impoverimento economico, sociale, politico, amministrativo, per tutta la Regione.
La crisi della rappresentanza, la marginalizzazione di interi territori, la durezza della crisi economica che sta trasformandosi in crisi sociale riaccenderebbero sicuramente quelle spinte centrifughe territoriali che sono state sempre presenti nella storia della nostra Regione e che stanno riprendendo vigore, mettendone a rischio la sua unità e la sua stessa sopravvivenza. Crediamo insomma che questa questione non possa essere derubricata a questione amministrativa, che riguarda esclusivamente il ceto politico, ma che abbia un rilievo fondamentale per il futuro della nostra Regione. Crediamo pertanto che debba crescere una tensione politica, una presa di coscienza ed un protagonismo di tutti i soggetti sociali all’altezza della posta in gioco.
Ma l’Umbria ha una specificità che ci può permettere di scongiurare l’esito della monoprovincia. L’Umbria è dotata delle caratteristiche demografiche e di estensione territoriale che consentono la presenza di due province, rispettando i parametri definiti dalla Delibera del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012. E’ su questa originalità che si è basato l’impegno, dei parlamentari umbri tesa ad ottenere una deroga. Una deroga per la Provincia di Terni che avrebbe escluso la eventualità della monoprovincia in Umbria.
Ora vogliamo reiterare questa giusta richiesta accompagnandola però da quel percorso di ridisegno dell’Umbria e dei suoi territori che doveva seguire la istituzione della Regione e che non fu portato a termine.
Si tratta di rafforzare questa nuova fase del regionalismo umbro investendo di più su identità ed unità regionale, consolidandone i punti di forza e distribuendo i poteri le rappresentanze ed i presidi istituzionali, in una nuova articolazione territoriale ed istituzionale che valorizzi le funzioni territoriali delle varie aree e sostenendone adeguatamente lo sviluppo in un’ottica unitaria.
Si tratta di operare per determinare la presenza in Umbria di due nuove Province, definendo quelle dimensioni ottimali tali, come cita la lettera a, comma 3 dell’art. 21 del TUEL, “per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio regionale”. Due nuovi ambiti provinciali che potranno anche assumere, come dice la legge, una denominazione diversa dalla attuale.
Ci si deve dotare di una nuova architettura istituzionale che garantisca un miglior funzionamento dell’apparato pubblico e la effettività delle politiche di coesione territoriale. La ricerca di legami più diretti e profondi tra i territori consentirebbe di raggiungere livelli dimensionali più efficienti per le politiche di area vasta, di affrontare meglio la sfida dei mercati globali, di agganciare i territori più dinamici, anche extraregionali, in condizioni paritarie. Si riuscirebbe altresì a valorizzare adeguatamente il ruolo delle città, che nei propri territori funzionano da soggetti di innovazione, di reti di imprese e lavoro, da centri moltiplicatori di conoscenze e capitale umano, di relazioni fra istituzioni, imprese e lavoratori.
L’articolazione territoriale a cui guardare, nelle costituzione delle due nuove Province dell’Umbria, è quella delineata dal recente d.d.l. regionale di “Ordinamento del Servizio Sanitario regionale” e va perseguita attraverso l’adozione delle procedure previste dall’art. 133 della Costituzione”.
Si andrebbe così alla costituzione di due aree territoriali equilibrate per superficie e popolazione, dotate di una certa omogeneità sociale ed economica che consentirà di valorizzarne le specificità.
Quella che vogliamo costruire è un’Umbria più moderna e dinamica, un assetto del reticolo istituzionale locale più idoneo a reggere la competizione territoriale e mantenere la coesione sociale, attuare processi di pianificazione strategica, governare le interdipendenze.
Perugia, 3 ottobre 2012