Le cose non vanno bene all'Università di Perugia. Lo dice prima di tutto il tracollo nelle iscrizioni che negli ultimi 5 anni sono calate addirittura di 7mila unità. Eppure, sia nella comunità accademica che a livello politico e istituzionale, non si sono visti finora momenti di riflessione e dibattito sulle sorti e sul futuro di una delle più importanti risorse, anche economiche, dell'Umbria.
Il silenzio-“C'è un silenzio assordante che va rotto”, ha detto Mario Bravi, segretario generale della Cgil dell'Umbria, intervenuto oggi in una conferenza stampa insieme al segretario generale della Flc Cgil regionale, Amedeo Zupi, e a due componenti degli organi di Ateneo, Giuseppina Fagotti (Senato Accademico) e Francesco Ceccagnoli (Cda), anche loro della Flc. Troppe questioni estremamente delicate restano aperte senza che si muova foglia, denuncia il sindacato, che lo scorso 10 agosto ha scritto una lettera privata al rettore per chiedere un confronto, ma senza avere la minima risposta.
7 mila iscrizioni in meno-Il confronto però è fondamentale su varie questioni, a partire, come detto, dal crollo delle iscrizioni, che è troppo marcato per poter essere derubricato a una tendenza nazionale o a un effetto della crisi economica. “Certamente – ha osservato Amedeo Zupi – pesa la pesante caduta di immagine di Perugia, un caso montato forse un po' troppo dai media, dato che il problema droga e le risse non sono certo un'esclusiva della nostra città”. Ma in ogni caso, per la Cgil è necessario che la dimensione del problema sia chiara a tutti: “Settemila studenti in meno – ha detto ancora Zupi – equivalgono in termini economici alla chiusura di due fabbriche come la Perugina, un danno enorme”.
La ricerca-Se qualcuno pensa invece che Perugia debba diventare un piccolo ateneo di ricerca, ha proseguito il segretario della Flc, “noi ci limitiamo a far notare che in Italia abbiamo vari esempi di questo tipo e che sono tutti di pessima qualità”. E a proposito di calo degli studenti, il sindacato boccia seccamente l'idea di installare dentro l'Ateneo un presidio delle forze dell'ordine. “Non esistono fenomeni di ordine pubblico dentro l'Università – assicura l'Flc – per cui non si capisce l'esigenza di creare ulteriore allarmismo nelle famiglie che devono scegliere una sede per i propri figli”.
Lo Statuto-Ci sono poi i problemi di carattere più specifico. Come quello, sollevato ormai da due mesi, sulla difformità del testo dello statuto pubblicato in gazzetta ufficiale, rispetto alla versione licenziata dagli organi d'Ateneo. Anche qui, sottolineano Flc e Cgil, nessuna risposta ufficiale, ma se davvero lo statuto pubblicato fosse illegittimo, perché difforme da quello licenziato, allora si rischierebbe la nullità di tutta una serie di atti con conseguenze pesantissime.
Università e servizio sanitario- la convenzione tra Università e Servizio sanitario regionale. Una trattativa che va avanti da due anni e sui cui contenuti, i lavoratori dell'ateneo e le loro organizzazioni sindacali, sono “completamente all'oscuro”. Eppure la convenzione entra nel merito dei trattamenti economici e normativi del personale, materia che – ricorda il sindacato – è di “esclusiva competenza delle organizzazioni dei lavoratori”.
Terni-C'è poi la questione Terni: siamo quasi a fine settembre, sottolinea il sindacato, e ancora l'Università non ha chiarito cosa intende fare nel secondo capoluogo umbro. “Noi – ha ricordato Zupi – siamo convinti sostenitori dei due poli e vorremo capire come si organizza la distribuzione delle strutture sul territorio, anche considerando la riforma in atto, riforma per la quale – ha aggiunto – vanno rapidamente definiti regolamenti ed assetto. E allora, si insediano a Terni uno o due dipartimenti o si fanno gemmazioni? Anche qui attendiamo risposte, sapendo che queste scelte andavano fatte ieri”.
Il precariato– La Flc stigmatizza infatti la prassi ormai consolidata di ricorrere a procedure d'urgenza che scavalcano gli organi statutari e ricorda il grave problema della precarietà diffusa all'interno dell'Ateneo, a partire dalla situazione insostenibile dei lavoratori agricoli, “precari dai tempi del rettore Dozza” e che rischiano ora di perdere anche il diritto alla disoccupazione a requisiti ridotti. “Come Cgil consideriamo preoccupante lo stato dei rapporti con l'Università di Perugia e inaccettabile l'atteggiamento del rettore – ha concluso Mario Bravi – Anche perché in una fase di transizione come quella attuale, la mancanza di confronto con un soggetto come la Cgil, che, ricordiamo, nelle ultime elezioni è stato il sindacato più votato, è un danno anche e soprattutto per l'Università”.