“Un giorno da Jihad è meglio di una vita intera“. E ancora, “i principi della religione sono in un libro che guida e nella spada che dà la vittoria”. Poi bambini e giovani ragazzi ritratti in foto con indosso la mimetica e che maneggiano proiettili e kalashnikov, accanto ad una bandiera nera. Questo il tenore dei post pubblicati su Facebook, con scritte in italiano e in arabo, da parte della cellula terroristica scovata dalla polizia di Perugia e Milano, a seguito dell’indagine denominata Da’Wa (in arabo “propaganda) e partita proprio dal capoluogo umbro.
Terrorismo in rete, inneggiavano alla Jihad | Quattro arresti da Perugia
Quattro le persone, in base all’inchiesta della Procura di Perugia, sospettate di propaganda jihadista e contro le quali sono state emesse altrettante ordinanze di custodia cautelare: uno di origine marocchina (O. M. le iniziali del suo nome di 34 anni) e tre di origine tunisina, G. E. di 40 anni, M. J. di 31 e M. B. Z. di 38. Uno di loro era già in carcere a Milano. Gli altri, eccetto uno, avevano nel loro curriculum dei precedenti per spaccio di droga e reati contro il patrimonio. A seguito delle indagini, nel blitz delle forze dell’ordine scattato mercoledì mattina, per una quinta persona, un nordafricano di 36 anni, residente a Cinisello Balsamo, in Lombardia, sono state avviate le procedure di espulsione dall’Italia.
A guardare bene quanto emerso dall’operazione Da’Wa, si comprende come la polizia, in questi mesi di indagine partita nel 2015, abbia avuto a che fare con dei lupi solitari, la cui pericolosità è stata arginata prima che dalla teoria si passasse alla pratica. Con quei post, gli indagati, sui quali pende ora l’accusa di istigazione a delinquere e apologia del terrorismo internazionale attraverso l’utilizzo di mezzi informatici, cercavano proseliti sul web: usavano la pubblicazione di video per commentare gli attentati avvenuti a Parigi, contro Charlie Hebdo, a Bruxelles, Nizza e Berlino. Prima con post pubblici, poi più ristretti agli amici e agli amici degli amici.
C’è poi il profilo del pizzaiolo (mestiere che in realtà svolgeva saltuariamente) residente a Perugia, l’unico a non avere precedenti giudiziari a carico. Il suo nome però era già noto alla polizia dal 2015, iscritto, in base a quanto riportato dall’edizione odierna del quotidiano La Nazione, nel registro per associazione sovversiva. Di lui si erano perse le tracce alcuni mesi dopo, fino a quando, l’anno scorso, non aveva deciso di fare rientro in Italia dalla Tunisia. La polizia a quel punto si è messa sulle sue tracce. L’uomo ha provato a eludere ogni tipo di controllo, evitando di contattare tramite il web i suoi amici. Fino a quando non è entrato in contatto con qualcuno a Milano, un ‘gancio’ che il 31 dicembre è stato arrestato a Milano per un residuo di pena. Quest’uomo non è altro che il leader della cellula lombarda.
©Riproduzione riservata