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Terni, Di Girolamo dice addio | Lettera alla città “Nel Pd ci sono già costruttori del futuro”

Redazione

Terni, Di Girolamo dice addio | Lettera alla città “Nel Pd ci sono già costruttori del futuro”

Leopoldo Di Girolamo, dopo le dimissioni da sindaco, fa il punto sui 9 anni di governo
Mar, 20/02/2018 - 13:20

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di Leopoldo Di Girolamo

La conferma delle dimissioni è stata una decisione molto sofferta, nella mia vita ho sempre seguito l’etica della responsabilità, impegnandomi con quello spirito di servizio che, come ci ha ricordato il nostro Vescovo, nella sua omelia nel Pontificale, deve sempre guidare l’azione pubblica.
Arrivo alla fine di un percorso che mi ha visto impegnato nella guida della città per quasi 9 anni, anni caratterizzati dalla crisi economica più profonda e più lunga che abbia conosciuto l’epoca moderna. Una crisi economica che è diventata crisi sociale e che rischia di diventare crisi democratica. Una crisi che ha colpito anche Terni mentre stava cercando, con molta fatica, di confrontarsi con le conseguenze sociali, economiche, culturali, con quelle forme di deriva del senso di sé, dell’identità, della prospettiva, persino della memoria.

Terni non era già più solo la città dell’industria. Una sola fusione egemonica non bastava più a riassumere l’intero profilo urbano di una realtà che è diventata molto più complessa, multiculturale, multiproduttiva, con molti fermenti che la attraversano e solo in parte diventano realtà compiuta. L’affermazione del modello di produzione post-fordista, la difficoltà economica di attuare compiutamente quella che gli urbanisti chiamano la quarta fase dello sviluppo delle città, ovvero la fase della riurbanizzazione e rigenerazione, fatta del recupero del costruito e delle zone industriali abbandonate, l’indebolimento, come ci dicono le ricerche della prof.ssa Cecilia Cristofori, della identità della propria città, fondata fortemente in passato su costumi e valori del lavoro operaio, avrebbero potuto avere effetti molto negativi per Terni, quali si sono visti in alcune città: centri storici decadenti, periferie disordinate e spersonalizzate, prive di adeguati servizi e spazi comuni.

Terni, anche se con difficoltà, è riuscita ad evitare tutto questo. Si è recuperato il centro storico, si sono recuperate alcune aree industriali dismesse facendone complessi direzionali quali l’ex Bosco o luoghi di tradizione e produzione culturale quale l’ex Siri. L’espansione delle periferie ha prodotto, con qualche eccezione, quartieri dotati di piazze, giardini, spazi verdi, servizi, commercio, luoghi di aggregazione che sono stati anche importanti spazi di partecipazione e democrazia. Nella capacità di adattamento continuo alle crisi e trasformazioni del suo sistema industriale, Terni dava prova di possedere quella qualità che il lessico moderno ha etichettato con il termine di Resilienza.

Per la sua storia e la sua collocazione geografica Terni ha rappresentato un felice incontro fra un certo dinamismo economico, tipico delle aree settentrionali del Paese, con elementi di tenuta sociale, partecipazione democratica e qualità della vita più tipici dell’Italia centrale. Per questo ho ricordato spesso quello che dice Roberto Cartocci, docente di Metodologia della Scienza Politica dell’Università di Bologna, che ha scritto: “L’Italia della ricchezza civica collettiva finisce a Terni”.

La necessità di trovare nuovi sentieri di sviluppo, che affiancassero quello industriale, troppo soggetto a influenze critiche esterne e fondato su produzioni mature che risentivano della concorrenza portata dai Paesi emergenti, si è posta fin dalla metà degli anni ’80. Guardando quello che iniziava a maturare in città simili a Terni – Manchester, Bilbao, Lille, Essen – che investivano su un nuovo sviluppo centrato intorno alla finanza, nuove imprese a tecnologia avanzata prevalentemente nei settori dell’elettronica, del multimediale, delle scienze della vita, e servizi, in particolare culturali (dai musei agli spazi polivalenti per musica, teatro, arti visive ecc.) realizzati o da privati o da grandi investimenti pubblici, si è cercato di tracciare nuovi sentieri di sviluppo che integrassero quello industriale.

Così, negli anni, è stato investito nel settore delle produzioni audiovisive, prima con il Centro Multimediale e poi con la realizzazione degli studios cinematografici di Papigno, si è puntato sulla ricerca, di base ma soprattutto applicata, attraverso la creazione di incubatori, parchi scientifico-tecnologici, i nuovi materiali con l’Isrim, la ricerca biomedica attraverso il Centro per le cellule staminali del prof. Vescovi, quello oncologico del prof. Giordano, quello biotecnologico sulla malaria del prof. Crisanti. Si è puntato alla espansione del turismo attraverso la valorizzazione dell’asse Cascata delle Marmore-Piediluco. Questa semina ampia, diversificata, ha dato risultati complessivamente modesti, sia per ritardi e errori della politica che, soprattutto, della iniziativa privata.

Pensiamo solo alla disastrosa gestione del Cmm, vero gioiello avanzato nella produzione audiovisiva nazionale e internazionale in quegli anni, da parte di Tim, allora prima azienda italiana per capitalizzazione che, per l’inadeguatezza di chi l’aveva acquistata da un processo di privatizzazione probabilmente poco attento, e che puntava più su una speculazione finanziaria che su una iniziativa industriale, non venne messa in grado di esplicitare le sue enormi potenzialità. O agli studios di Papigno, che iniziarono il loro declino in seguito alla grave malattia che colpì Mario Cotone, che ne era l’anima produttiva e industriale, senza sottacere errori del governo locale quale la soppressione della Film Commission.

Ebbene, a partire dal 2008, le difficoltà e i fallimenti di questi nuovi sentieri di sviluppo hanno incrociato quella che è stata la più lunga e profonda crisi economica dell’epoca moderna.
Terni l’ha sentita più di altre città proprio perché la sua economia era, ed è, ancora fortemente imperniata su produzioni mature (chimica, siderurgia, energia) a forte rischio competitivo ed in mano a multinazionali, le cui dinamiche e strategie esulano dai poteri e dagli interessi del territorio. Si è iniziato nel febbraio 2010 con la chiusura dell’impianto di produzione del monomero di polipropilene da parte della Lyondell-Basell, sottoposta al cosiddetto capitolo 11 o legge fallimentare americana, seguita dall’arresto per bancarotta fraudolenta dell’allora proprietario della Meraklon e la nomina di un commissario giudiziario. La chiusura della Basell, al di là della perdita dei posti di lavoro, era molto importante perché metteva a rischio, essendo il fornitore della materia prima, tutta la filiera produttiva del Polo Chimico.

A questa è seguita, dal 2011, la vicenda Ast-Tk di cui ricordo schematicamente tutte le vicissitudini: creazioni di Inoxum, vendita ad Outokumpu, parere negativo dell’antitrust Ue, ritorno a Tk, proposta di chiusura di un forno, riduzione della produzione e della occupazione, battaglia di tutta la città che è diventata un esempio in Italia e in Europa, conclusione nel dicembre del 2014 con un accordo che ritenemmo soddisfacente e che ha consentito, anche a prezzo di grandi sacrifici dei lavoratori, di recuperare competitività e mercato ed attrezzarsi alle nuove sfide.
Anche la Novelli, la più grande industria agroalimentare del territorio, causa anche errori gestionali e strategici, è stata interessata da crisi, ridimensionamento produttivo e occupazionale e le soluzioni messe in atto fino ad ora, attraverso un percorso di vendita ad altra società, non hanno portato all’esito sperato.

Alla crisi di queste grandi industrie si è aggiunta quella di una parte di quella rete di medie imprese, del commercio, dei servizi, della produzione che già nel nostro territorio era numericamente insufficiente: dalla chiusura della Centralmotor alla difficoltà di Terni Energia e Iosa, alla vendita di Superconti. La nostra città e il nostro territorio insomma sono stati investiti, in pochi anni, da un tornado che avrebbe potuto desertificarlo. Per capire l’eccezionalità e l’ampiezza di quanto accaduto basta ricordare che, nei 20 anni precedenti c’è stata solo una grande criticità, quella della chiusura dell’Acciaieria del Magnetico, conclusa con un massiccio intervento pubblico che portò al Patto di Territorio.

Oltre alla vastità e concentrazione della crisi del sistema produttivo e dei servizi, dobbiamo considerare l’aggravante delle grandi difficoltà della finanza pubblica che non consentivano, come è stato nel passato, un massiccio intervento pubblico a sostegno di misure compensative. Le politiche di bilancio pubbliche hanno inciso pesantemente sulla autonomia politico-amministrativa dei Comuni. Quello dei Comuni, con 9 mld di euro in meno, è stato, percentualmente, il taglio maggiore di risorse pubbliche. Ed i Comuni lo hanno dovuto affrontare in un quadro di rigidità della spesa, ancora più accentuato dalle nuove regole contabili dettate dal Bilancio armonizzato, e da nuove e rilevanti incombenze e vincoli amministrativi: dal DUP al Piano anticorruzione, dalle regole sulla Trasparenza alle nuove sulla Privacy. Tutto l’opposto della tanto declamata semplificazione! Abbiamo assistito, senza saperci opporre adeguatamente, ad una dinamica perversa: ai Comuni e ai Sindaci venivano affidate sempre nuove incombenze e poteri, basti pensare alla Protezione Civile o alla Sicurezza, ma contemporaneamente vengono tolte risorse finanziarie e umane. Questo causa un corto circuito di responsabilità che ricade interamente sui sindaci, con accuse che vanno dal classico e ormai abusato “abuso di ufficio” fino all’omicidio colposo. È una spirale che va assolutamente interrotta, altrimenti viene minata alle fondamenta la operatività e la legittimità di una istituzione democratica essenziale per la vita del Paese.

Per la nostra città le varie misure imposte dai governi centrali, in particolare quello Monti, e il portato della crisi economica, hanno significato una disponibilità di risorse finanziarie ridotta di oltre 20 ml di euro, data dall’incrocio tra la maggiore autonomia tributaria determinata dalla istituzione della Imposta Unica Comunale (IUC), che cumula IMU e TASI, da una parte, e la forte diminuzione dei trasferimenti statali e regionali dall’altra, peggiorata ulteriormente dal quasi azzeramento dei proventi da alienazioni e dalla legge “Bucalossi”. A queste pesanti riduzioni vanno sommate le risorse che, seguendo le nuove regole di bilancio, bisogna obbligatoriamente collocare nei vari Fondi di garanzia, e l’incertezza degli incassi, dovuta sia ad un insufficiente funzionamento della riscossione che alle difficoltà economiche delle famiglie e delle imprese.  Si arriva così ad oltre di 30 Ml di euro di minori disponibilità.

Questo ha significato enormi difficoltà nel mantenimento sia di servizi fondamentali, quali quelli educativi, che di alcune eccellenze, quale l’Istituto Briccialdi. Così come una adeguata cura e manutenzione della città, che, non c’è dubbio, in particolare in questi ultimi due anni, ha mostrato diversi segni di degrado, amplificati da uno scarso senso civico di una parte, assolutamente minoritaria, di cittadini. Ma, seppure non potessimo più affidare ad un intervento economico-finanziario un forte ruolo del Comune, non ci siamo arresi ed abbiamo lavorato soprattutto sulla capacità politica e progettuale. Ho visto che qualche autorevole giornalista dice che è mancata una visione ed un progetto. Non sono d’accordo.

Preso atto delle difficoltà, e, in alcuni casi, del fallimento di quei nuovi sentieri di sviluppo messi in campo negli anni passati, abbiamo lavorato con Regione e Governo, alla creazione o intercettazione di nuovi strumenti che consentissero o di migliorare la qualità urbana e quindi anche la qualità della vita della nostra città, o di incentivare la ripresa economica fondandola su nuovi assi di sviluppo. Abbiamo così attivato tutta una serie di strumenti in grado di ridefinire la città e garantirne il futuro.

Il primo è il Pit, Piano Integrato Territoriale, che ridisegna tutta l’area incentrata sulla Stazione ferroviaria come Porta della Città, attraverso nuovi parcheggi, la passerella ciclopedonale sopraelevata di collegamento fra la zona direzionale di via E. Proietti Divi e la Stazione stessa, che verrà riqualificata e riempita di attività di servizo.
Agenda Urbana ridisegna e riqualifica il centro cittadino rendendolo più attrattivo attraverso una nuova mobilità e logistica, la risistemazione delle piazze e della illuminazione, la posa della banda larga, una più costante e diffusa manutenzione e cura.

Il Piano Periferie che, con una dotazione di 13 Ml di euro tra finanziamenti pubblici e privati, consentirà di riqualificare gli spazi urbani di tutta l’area Est della città, recuperando aree industriali dismesse quali la ex Camuzzi e la ex Gruber, dotarla di ulteriori aree verdi, spazi di socialità, di produzione culturale e collocazione di start-up.

Quindi il progetto Civiter, che, seppure ostacolato nella sua piena operatività dall’alternarsi alla guida dei Comuni che ne fanno parte causa elezioni amministrative discordanti nei tempi, ha segnato comunque una collaborazione virtuosa fra municipalità di due regioni limitrofe ed ha contribuito in maniera notevole al definitivo impegno del Governo sul completamento della trasversale Nord fra Orte e Civitavecchia attraverso il finanziamento dell’ultimo tratto Monte Romano-SS1 Aurelia di 18 Km, per un importo di 472 Ml di euro.

Il Patto Istituzionale per lo sviluppo, siglato con la Regione dell’Umbria, che, soprattutto nell’ambito delle politiche di coesione, mette in sinergia le politiche programmatiche e gli strumenti finanziari messi a disposizione delle diverse amministrazioni sottoscrittrici. Tale Patto al momento è stato siglato unicamente con il Comune di Terni, che fa da pilota e riguarda diversi ambiti: dai Beni Culturali alla Università ed alla Rigenerazione Urbana. Uno dei primi risultati è stato il ritorno di Umbria Jazz a Terni con Umbria Jazz Spring, insieme agli investimenti sugli attrattori culturali.

Infine c’è il riconoscimento del Sistema Locale del Lavoro di Terni come Area di Crisi Industriale Complessa, che vedrà a breve, al MISE, la firma del Piano di Riconversione e Riqualificazione industriale che, grazie a risorse nazionali e regionali, darà luogo a nuove produzioni, con un incremento dell’occupazione che potrebbe arrivare a circa 1500 nuovi addetti, riqualificando, innovando, insieme a interventi per il miglioramento ambientale, l’infrastrutturazione digitale e logistica e il sostegno alla ricerca. Dentro questo quadro va collocata anche la piena realizzazione del Piano di Ambito dei Rifiuti che vede la nostra città superare la quota del 70% della raccolta differenziata e che rappresenta un importante tassello di quella città più sostenibile anche attraverso la promozione dell’economia circolare. È vero che, al momento, non abbiamo colto l’occasione, offerta dalla Regione, delle risorse messe a disposizione per riqualificare l’attività commerciale del centro cittadino, ma la Regione riproporrà a breve una misura simile.

Pur dentro enormi difficoltà, siamo riusciti a dotarci di una cassetta degli attrezzi che consente di guardare al futuro con una certa speranza. In questa cassetta avevamo messo anche il Piano di Riequilibrio Finanziario Pluriennale, uno strumento di risanamento senza gravare sui cittadini. Il Piano permette manovre che con le normali procedure del Tuel non sono consentite.
Ne cito due: 1) la dilazione dei tempi del riequilibrio, che può arrivare fino a 10 anni, contro i tre consentiti normalmente 2) utilizzare i proventi da alienazioni per coprire i debiti di spesa corrente, cosa che non è consentita con le consuete regole di bilancio. Eravamo convinti che, al di là di errori e imprecisioni che quel Piano poteva contenere, la ridotta rilevanza della massa passiva e la buona praticabilità delle misure poste a copertura, simili peraltro a quelle di tanti altri Comuni, in ultimo quello di Perugia, potessero consentire un giudizio positivo. Siamo perciò rimasti molto colpiti dalla severità con cui, prima la Corte dei Conti regionale e poi quella nazionale hanno giudicato il nostro Piano.

Pensavamo che consegnare alle prossime amministrazioni un bilancio stabilmente riequilibrato, insieme a tanti progetti in attuazione, ad un quadro occupazionale molto più snello, passato dai 940 dipendenti con 21 dirigenti del 2009 ai 750 con 10 dirigenti del 2019, con un numero di partecipate che passa da 11 a solo 2, consentisse di poter lavorare in condizioni migliori rispetto a quelle che abbiamo dovuto affrontare noi. In questi ultimi giorni, anche preoccupato del fatto che le mie dimissioni potessero creare un danno alla città, essendo venuti a maturazione nelle prossime settimane progetti molto rilevanti quali il Piano delle Periferie e l’Area di Crisi Industriale Complessa, ho cercato di ascoltare attentamente sia la politica che i cittadini.
Una ulteriore sollecitazione è venuta anche dalle parole, critiche e di esortazioni contenute nella omelia del Vescovo al Pontificale.

Omelia che ho attentamente ascoltato e letto e che credo non abbia alcun bisogno di interpreti o esegeti e che invitava tutti ad una analisi approfondita delle cause che hanno portato la città in una situazione così critica, ad un esame di coscienze approfondito, ad un confronto costruttivo, senza la facile ricerca di capri espiatori, ad una generale assunzione di responsabilità.
Questo è accaduto solo in parte e quindi mi sono convinto che non ci siano le condizioni per utilizzare la strada del “dissesto guidato”, con un governo cittadino autorevole e legittimato che accompagni politicamente l’azione di risanamento in carico al futuro Organismo straordinario di Liquidazione.

Voglio ringraziare i cittadini ternani che in questi difficili anni mi hanno dato più volte la loro fiducia, consentendomi sia di rappresentarli al Senato e alla Camera, sia eleggendomi una prima volta nel 2009 in Consiglio Comunale come primo eletto del Centrosinistra che successivamente alla carica di sindaco della città. Una prima volta nel 2009 e poi confermandomi nel 2014.

Questa seconda volta era ancora più importante perché si trattava di una conferma in una stagione che vedeva i sindaci uscenti in grandi difficoltà, con sconfitte impreviste e clamorose.
Spero di aver rappresentato degnamente la nostra città e quella “pasta buona” di cui sono fatti i ternani, come ci diceva Mons. Vecchi. Ringrazio il mio partito, i Democratici di Sinistra prima ed il Partito Democratico poi, che mi hanno individuato, in questi lunghi anni come testimone idoneo dei loro progetti, ideali e valori, e che sono stati per me una palestra insostituibile di apprendimento e di crescita umana, civile e politica.

Un grazie forte alla mia maggioranza che, in anni durissimi quali quelli che abbiamo attraversato, anche per le particolari vicende personali che mi hanno riguardato, non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno leale e convinto e che, anche in questo passaggio cruciale mi aveva messo a disposizione i voti necessari nel caso io avessi deciso di andare avanti. All’interno del centrosinistra e nella maggioranza consiliare ci sono energie importanti, a partire dai più giovani che, temprati da questa difficile esperienza, possono raccogliere il testimone che lascia la mia generazione e costruire un futuro migliore per la città. Grazie ai dipendenti comunali che, di fronte a nuovi compiti, più impegnativi del passato, da affrontare con meno forze e con il blocco degli emolumenti, hanno messo in campo generosamente competenza, orgoglio, spirito di appartenenza e di servizio che fanno loro onore.

Grazie ai tanti amici ed alle tante persone che mi hanno fortemente sostenuto ed accompagnato nel mio cammino pubblico. Grazie alla Presidente Marini che sempre mi ha testimoniato la sua stima, apprezzamento e si è fortemente impegnata a sostegno della città di Terni. Ed insieme a lei ringrazio tutte le autorità istituzionali con cui mi sono trovato a collaborare per il bene della città.
Grazie ai miei pazienti, che si sono accontentati in questi anni di un medico a mezzo servizio, sacrificando le proprie esigenze personali a quelle del pubblico interesse. Grazie infine alla mia meravigliosa famiglia, che mi ha consentito di inseguire il mio sogno di contribuire a costruire una società più giusta, aperta, inclusiva.

Questa di oggi, dopo tante vittorie, è una sconfitta, una grande sconfitta di cui, per il ruolo fondamentale che ho ricoperto in un arco di tempo molto lungo, sia politico che istituzionale, mi assumo la piena paternità e responsabilità, come è giusto e doveroso che sia, senza dar luogo a quello spettacolo indegno a cui questo Paese purtroppo ci ha spesso abituato: quello dello scaricabarile, che ho purtroppo visto affiorare anche in questi giorni. Vorrei chiudere questa comunicazione riprendendo ed adottando le parole che ci ha lasciato la persona che ho più apprezzato tra tutte quelle che ho incontrato nella mia vita pubblica: Enrico Micheli.

Enrico diceva, come a suo testamento politico e morale: “Credemmo nella qualità della politica e pensammo, lungo il corso degli anni ad una Italia (io aggiungo “ad una Terni”) migliore culturalmente, eticamente, socialmente, e padrona del proprio destino; modello per gli altri come spesso è stato nella storia, spinta dal cambiamento generazionale, del talento e della fantasia. Ciò non è avvenuto, ma altri possono realizzare quel sogno”. Ed io continuo a pensare che nel mio partito e nel centrosinistra ci siano già i nuovi costruttori di futuro.

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