Francesco Balucani
E’ ormai passata una settimana da quando il Festival dei Due Mondi ha invaso per la cinquantaseiesima volta strade e palchi di Spoleto e il programma ci ha portato ieri presso il teatro Caio Melisso – Spazio Carla Fendi, dove una grande Adriana Asti ha esibito le sue straordinarie doti recitative in due brevi monologhi aventi profondi tratti in comune. “La voce umana” e “Il Bell’Indifferente”, pièce di Jean Cocteau, per la regia di Benoît Jacquot, trattano infatti lo stesso concetto di fondo – la solitudine – ma avvalendosi di diverse lenti interpretative. In entrambi i monologhi l’unica voce in scena è quella di Adriana Asti, perfetta sotto ogni punto di vista. La scenografia, curata da Roberto Platé, è austera ma allo stesso tempo molto espressiva e raffinata. Ne “La voce Umana” un pavimento inclinato mostra l’angolo di una camera. I muri del teatro con le loro porte, scale, estintori restano visibili nell’oscurità. L’attrice, a piedi nudi, non potrà che salire o scendere sulla pendenza del pavimento. Un letto, una lampada con abat-jour, una poltroncina, un altro lume con abat-jour, un telefono a filo. Ne “Il Bell’Indifferente” si dispongono in altro modo gli stessi arredi, sullo stesso pavimento inclinato, collocando alcuni elementi di scena, porte, finestre e mantenendo visibili i muri del teatro. Si passa da un giorno che finisce a una notte rischiarata dai neon dell’esterno urbano.
I due atti, se così è possibile definirli, si susseguono senza intervallo. La Asti assisterà al cambio di scena da una poltrona in prima fila e tornerà sul palco ad operazione conclusa. Protagonista della prima pièce è una donna affranta e disperata per un amore finito. Il filo del telefono permane come ultimo legame tra i due ex amanti, nonché come ultima ragione di vita per quella flebile figura che aleggia per la stanza come fosse un fantasma. Qui è un intenso senso di dolore e nostalgia a prevalere. La solitudine non è che una conseguenza di quanto accaduto, potremmo quasi dire un inevitabile esito, come del resto suggerisce la stessa protagonista in uno dei passaggi. E’ l’incapacità di distaccarsi a rendere tanto drammatica la vicenda, che termina come ci si sarebbe potuti aspettare: senza una fine vera e propria. Ne “Il Bell’Indifferente” lo stile è più gergale, meno «borghese», meno compassionevole. Con un tono più spiritoso e scherzoso. Si sente un’altra voce, insieme più brutale e più sfumata. L’uomo questa volta è presente, ma muto. Mentre il primo era assente, o almeno astratto, nel emblematico telefono. In entrambi i casi, la donna è comunque sola. Ma la sua solitudine non è la stessa. O meglio, è fondata sui medesimi aspetti emotivi, ma esplosa come conseguenza di cause diverse. In questo caso non c’è nessun amore finito, forse non c’è proprio amore di sorta. Un legame violento – lei viene segregata in camera – e innaturale fa da sfondo alla vicenda. Se la protagonista della prima pièce aveva in fondo conosciuto un sentimento più profondo e sincero, il fantasma in veste da notte della seconda ha vissuto nell’illusione, nella speranza che qualcosa di migliore potesse attenderla. In ogni caso, l’analogia permane: entrambe le donne non sono in grado di distaccarsi, ribellarsi, rialzarsi e proseguire il percorso.
“Le due pièce, presentate di seguito, compongono la prova di una sola attrice ed esprimono la stessa denuncia di una donna sola. Voilà.” (Benoît Jacquot).
Lo spettacolo verrà replicato oggi alle 118:30 e domenica alle 16:30 sempre al Teatro Caio Melisso – Spazio Carla Fendi.