“Padre Santo, che vedi e provvedi a tutte le creature, sostienici con la forza del tuo Spirito, perché in mezzo alle prove della vita, alle preoccupazioni per il nostro futuro non ci lasciamo sopraffare dalla paura e dalla rassegnazione, dallo scoraggiamento e dalla delusione, ma guardiamo al domani con piena fiducia, operando ciascuno secondo le proprie responsabilità per la rinascita morale e materiale del nostro territorio”. È stata questa la preghiera che la sera di sabato 26 ottobre 2019 la comunità parrocchiale dell’Abbazia di S. Eutizio in Preci ha elevato a Dio nella fiaccolata in occasione dei tre anni dalla prima violenta scossa di terremoto, quella del 26 ottobre che ha causato, tra l’altro, il crollo della chiesa di S. Salvatore a Campi di Norcia e che ha preceduto quella ancor più forte del 30 ottobre.
Fedeli e Vescovo in cammino verso l’Abbazia. Diversi i fedeli che si sono raccolti a metà strada tra Piedivalle e l’Abbazia. C’era naturalmente il parroco don Luciano Avenati, così come il sindaco di Preci Massimo Messi. La fiaccolata è stata presieduta dall’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo: lungo il tragitto verso l’Abbazia, dopo aver ascoltato un passo della Lettera di S. Paolo apostolo ai Romani (8,31b-39), sono state cantate le litanie dei Santi protettori delle varie comunità della Valle Castoriana e della Valnerina. La processione si è conclusa all’interno del primo chiostro dell’Abbazia di S. Eutizio: grazie all’autorizzazione della Sovrintendenza e ad una delibera del Comune di Preci, per la prima volta dal terremoto i fedeli sono potuti rientrare nel luogo dove S. Benedetto apprese i rudimenti della fede. Nessuno ha avuto la forza di commentare le violente ferite che il terremoto ha inferto all’Abbazia: silenzio e preghiera, commozione e incredulità hanno prevalso nell’animo di tutti.
Giunti all’interno del primo cortile, Arcivescovo e fedeli sono stati accolti da una grande croce illuminata, sistemata a ridosso delle macerie, e da un fuoco: sono i segni della resurrezione che generalmente caratterizzano la Veglia di Pasqua. «Vogliamo che anche queste nostre vallate – ha detto il parroco don Luciano Avenati – possano primo o poi risorgere dalle ferite dei terremoti». È stato quindi letto il passo del Vangelo di Matteo (28,1) dove si racconta delle donne che vanno a visitare la tomba di Gesù e di un grande terremoto che face rotolare via la pietra del sepolcro.
Le parole dell’Arcivescovo. Così mons. Boccardo ha commentato questo brano: «Si dice che ci fu un terremoto che spostò la pietra del sepolcro dove Gesù era stato deposto. Dunque un terremoto che è segno di vita. Noi qui siamo in un luogo dove invece il terremoto ha portato distruzione e non vita. E ha portato fatica, amarezza, frustrazione, perché vediamo che le ferite che ha causato non sono ancora rimarginate. Abbiamo bisogno di recuperare la speranza e la fiducia, che sono degli atteggiamenti del cuore della vita dell’uomo. Ma l’uomo da solo, lo sappiamo, non se li può dare: abbiamo bisogno di attingere a una sorgente buona, che è Gesù, la fiducia e la speranza per continuare a guardare avanti. Siamo adunai attorno al fuoco, segno di vita: e la nostra preghiera è che ci sia ancora un “terremoto”, non di quelli veri, che venga a rotolare la pietra della burocrazia che continua a bloccare e ritardare i lavori della ricostruzione. Chiediamo al Signore che il “terremoto ideale”, quello che muove le volontà e che fa nascere la determinazione, venga a smuovere e far rotolare questa pietra che impedisce la ricostruzione dei muri e della vita, delle relazioni umane e della solidarietà, dell’aiuto reciproco e del rapporto interpersonale. Preghiamo anche – ha concluso l’Arcivescovo – per quanti ci governano, perché abbiano il coraggio necessario per qualche decisione che sia portatrice di vita e che permetta di vedere che veramente si ricomincia, non solo a parole e promesse ma con realizzazioni che si possano toccare con mano».