Quasi 6 mesi esatti di silenzi, ipotesi, indagini e dolore. Mezzo anno è trascorso dalla notte del 13 ottobre 2024, quando Riccardo Branchini, 19 anni, è scomparso lasciandosi alle spalle soltanto indizi enigmatici, una lettera criptica, un borsone con un messaggio inquietante, e una famiglia che non ha mai smesso di cercarlo. Ma per ricostruire questa storia bisogna partire dall’inizio, da quel ragazzo gentile e riservato, dalla sera in cui la sua vita si è interrotta. O forse, ha solo cambiato direzione.
L’inizio di tutto
Riccardo nella notte tra il 12 e 13 ottobre era rientrato ad Acqualagna da Urbino, dove aveva trascorso la giornata con alcuni amici andando a donare il sangue e a cena fuori. Poco prima di mezzanotte aveva riconsegnato all’amico Davide un borsone, lo stesso che, giorni dopo, avrebbe rivelato due oggetti mai visti prima: un foglio con scritto “Buona vita” e una scatola di fiammiferi dal marchio inconsueto “Guitar”. Un addio? Un messaggio cifrato? Nessuno lo sa.
Alle 0.14 del 13 ottobre le telecamere riprendono il 19enne mentre lascia la casa in auto. Alle 2.30 circa, il custode della diga del Furlo sente un’auto arrivare e uno sportello sbattere. È proprio nei pressi dell’ingresso dell’invaso che verrà trovata la sua macchina, ordinata ma abbandonata: dentro ci sono i suoi effetti personali (vestiti, soldi e documenti), ma di Riccardo nessuna traccia. In mezzo, un “buco” di oltre due ore.
Le prime ricerche e i primi silenzi
Le ore diventano giorni. La famiglia, prima confusa poi disperata, chiede lo svuotamento della diga, ritenuto troppo pericoloso dalla Prefettura. Le ipotesi cominciano a moltiplicarsi: fuga? Gesto estremo? Rapimento? Intanto, in casa viene trovata una lettera. Il contenuto è tuttora secretato, ma una frase trapela: “…con o senza Riccardo”. È sua la calligrafia, conferma il cugino. Ma il significato resta sospeso, come tutto in questa storia.
Il fascicolo aperto dalla Procura è per istigazione al suicidio, non allontanamento volontario. Il che lascia intendere che ci sia più di un sospetto.
La diga, il robot, l’assenza
A dicembre, finalmente si perlustra la diga. Non svuotandola, ma scandagliandola con un sofisticato robot sottomarino e sonar ad alta precisione. Undici ore di ricerche che non danno esito. Di Riccardo, ancora una volta, nessuna traccia. Non è nell’invaso. È un risultato che, se da un lato non porta risposte, dall’altro alimenta speranze.
Segnalazioni, illusioni e bugie
Col passare del tempo arrivano le segnalazioni: Riccardo viene visto in un autostoppista con un giubbotto verde a Dolo (Ve), in un ragazzo praticamente identico a Mestre, in un altro ancora a Bologna. Ma tutte portano a vicoli ciechi. Alcune, come quella in Svizzera, sembrano invece verosimili: una donna, nel gennaio scorso, aveva riferito di aver dato un passaggio ad un giovane con occhiali, orecchino a croce e l’idea di andare in Irlanda (paese dov’era già stato con gli amici). Ma anche qui, poche certezze.
Peggio ancora gli sciacalli, che provano a lucrare sulla sofferenza: foto false realizzate con l’intelligenza artificiale, richieste di denaro, profili fake e urla agghiaccianti al telefono. La famiglia denuncia, ma resta ancora più ferita.
La famiglia non molla
Federica, la madre, vive nella stanza di Riccardo. Dorme nel suo letto, stringe i suoi cuscini e continua ogni giorno a condividere le foto del figlio su tutti i gruppi social italiani e stranieri. Intanto l’avvocato della famiglia, Elena Fabbri, continua a muoversi tra piste internazionali e indagini tecnologiche, anche se i movimenti fuori dai confini nazionali sono oltremodo “limitati”. Computer e telefono del ragazzo sono ancora oggi sotto analisi.
Un futuro ancora aperto
Sei mesi dopo, dunque, il caso di Riccardo Branchini è ancora un enigma. Non ci sono prove, non ci sono corpi, non ci sono certezze. Solo una lunga assenza piena di punti interrogativi e una domanda che tiene in sospeso un’intera comunità: dov’è Riccardo? Qualcuno ha visto, qualcuno forse sa. Intanto, il tempo scorre. Ma la speranza, quella, resta. Anche oggi. Anche 180 giorni dopo.