No all’indicazione olio italico nelle etichette degli olii che contengono solo la metà di olive italiane ed il resto provenienti dall’estero. Una proposta che arriva da Federolio e Unaprol che però genererebbe confusione tra i consumatori. Questo è il parere di Agrinsieme, coordinamento di varie associazioni agricole: Cia – agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari.
“Dopo tante battaglie contro l’italian sounding e in difesa del made in Italy, – evidenzia Agrinsieme – sorprende la volontà da parte delle organizzazioni firmatarie di “evocare” un’origine che non c’è”.
Per l’Umbria interviene Marco Viola, Presidente della sezione Olivicoltura di Confagricoltura: “In Umbria abbiamo 30mila ettari di terreni coltivati ad ulivo, condotti da circa 25mila olivicoltori. Oltre l’80% di questi ultimi possiede meno di un ettaro di olivi, ciò significa che la produzione di olio extra vergine umbro è destinata prevalentemente all’autoconsumo. E’ evidente che, per affrontare al meglio i mercati nazionali ed esteri, abbiamo necessità di masse critiche per valorizzare l’eccellenza umbra e l’unicità della nostra Terra. Si parla sempre di più di Piano Olivicolo regionale – prosegue Viola – ritengo che questo sia l’obiettivo su cui dobbiamo puntare, oltre che alla produzione di oli evo di alto profilo qualitativo. Solo attraverso un progetto legato ad investimenti sostenibili, magari usufruendo dei finanziamenti comunitari -prosegue Viola- potremmo dar vita ad una maggiore produzione che renderà possibile una promozione internazionale, dando un valore aggiunto alle aziende olivicole regionali e rafforzando il brand Umbria nel Mondo.”
Pur non entrando nel merito dell’accordo siglato – con la consapevolezza che la produzione italiana non riesce a soddisfare la domanda interna – Agrinsieme si mostra critico rispetto al preannunciato uso del nome “italico”, che fa leva su una caratteristica di provenienza che il prodotto non possiede, se non in parte.
“Il settore olivicolo italiano, spesso sotto accusa – aggiunge il Coordinamento – necessita di proposte che siano il più possibile chiare e trasparenti agli occhi dei consumatori. Questa trasparenza è fondamentale se vogliamo tutelare al meglio il prodotto realmente italiano”. E rimarca che, dal punto di vista della definizione della categoria di olio -ferma restando la necessità di verificare, alla luce della normativa, se la denominazione “italico” è inammissibile in quanto può indurre in errore il consumatore – il prodotto frutto dell’accordo rimane un blend di oli comunitari e come tale va indicato in etichetta, commercializzato e promosso. I consumatori meritano indicazioni veritiere e non ingannevoli.