«Gesù è nato per ridare un senso alla nostra storia. Egli ha infatti assunto per noi la triplice avventura del vivere, del soffrire e del morire. Nel cuore di questa notte segnata dal rumore di combattimenti sempre rinascenti, dal crepitio delle armi, dal gemito dei prigionieri e di quanti sono senza lavoro, ammalati e soli, Gesù viene a ridare una speranza alle nostre disperazioni, offrire una luce alla nostra ricerca e un senso alle nostre sofferenze, a portare un conforto al nostro smarrimento». È un passaggio dell’omelia che l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Renato Boccardo, ha tenuto la notte di Natale nella basilica cattedrale.
Il giorno di Natale, invece, il Presule ha celebrato, alle 9.30, la Messa all’Hospice di Spoleto, portando la consolazione del Figlio di Dio fatto uomo ai malati terminali e ai loro familiari. Alle 11.30, poi, ha celebrato la Messa del giorno in Duomo. Nell’omelia mons. Boccardo ha ricordato ai molti fedeli riuniti come il Natale tra tutti i ricordi del passato è quello evocato con maggior fervore. «Perché tutto ciò?», si è chiesto il Vescovo. «Nel solo fatto della celebrazione del Natale c’è qualcosa – ha detto – che ci supera e sfugge a tutte le leggi della sociologia, della psicologia e anche della religione; qualcosa che nessuna tradizione acquisita saprebbe giustificare. Si tratta di un “fenomeno” che, da duemila anni, attraversa tutte le culture, le civiltà e le epoche e raggiunge il più profondo dei cuori. È come se l’uomo (più o meno consciamente, è vero, ma anche in modo molto reale) ritrovasse qui il ricordo di qualcosa di essenziale. Si tratta dei beni più preziosi e desiderati: la verità, la libertà e l’amore, tre doni la cui sorgente sgorga a Natale».
Il primo dono del Natale, dunque, è la verità, oggi ridotta alla semplice sincerità: ciò che è vero per sé è percepito come vero in sé. Ed ecco allora che scetticismo, nichilismo, esistenzialismo, relativismo diventano altrettante “religioni”. «Il Natale, invece, – ha affermato mons. Boccardo – ci dice che la verità è Dio stesso che illumina, conduce e governa il mondo. Solo il creatore dell’uomo può dire all’uomo tutta la verità circa la sua vita».
Il secondo dono del Natale è la libertà. Si è chiesto il Presule: «A che cosa serve vivere, se poi bisogna morire? A cosa serve essere liberati da una folla di alienazioni, se è per rimanere, nel più profondo di noi stessi, prigionieri del nostro mondo, del nostro peccato? A cosa serve essere autonomi, realizzati, ricchi, ammirati, se poi rimaniamo schiavi di noi stessi o alla mercé di un rovesciamento di carriera o di un problema di salute?». Con la nascita del Salvatore è restituita all’uomo la libertà più vera, malgrado le tante contraddizioni. «La morte rimane – ha detto ancora l’Arcivescovo -, ma diventa l’ingresso nella vita. I nostri peccati persistono, ma possiamo ottenerne il perdono. Restiamo ancora schiavi di noi stessi, ma è possibile svuotarsi di sé per accogliere la vita di Dio. Siamo deboli e paurosi, ma a tutti è data la grazia sufficiente per diventare santi».
Il terzo dono del Natale è l’amore. Tutti vorremmo amare ed essere amati. Ma conosciamo fin troppo bene le difficoltà che dobbiamo continuamente superare per realizzare un tale progetto. Che cosa ci rivela in proposito il Natale? «Una meravigliosa Buona Notizia: noi siamo amati senza misura da Dio stesso, e possiamo amarlo, in risposta, con tutto noi stessi», ha detto mons. Boccardo. «Davanti alla tenerezza manifestata dall’Onnipotente che si fa “piccolo bambino” – ha concluso il Vescovo – come non sentirci chiamati ad amarlo e a lasciarci amare? Un desiderio immenso di comunione discende dal cielo e coinvolge tutta la terra: Dio è nell’uomo e l’uomo abita in Dio».