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L'aula di pianoforte dell'Istituto Briccialdi intitolata al Maestro Fausto Maria Mastroianni

Redazione

L'aula di pianoforte dell'Istituto Briccialdi intitolata al Maestro Fausto Maria Mastroianni

Sab, 14/04/2012 - 16:43

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Fabrizio Mastroianni (*)

Giovedì 19 aprile, presso l’Istituto Musicale Briccialdi in via del Tribunale 22, durante il saggio della classe di pianoforte del Prof. Angelo Pepicelli, sarà intitolata al Maestro Fausto Maria Mastroianni l'aula di pianoforte dell'Istituto. Fausto Mastroianni è stato docente di pianoforte principale del Briccialdi dall’anno accademico 1972-73, dopo aver vinto un concorso a cattedra nazionale, alla morte, il 31 dicembre del 1994. A più riprese aveva ricoperto l’incarico di vicedirettore, e negli ultimi diciotto mesi era stato vicedirettore reggente. Il 20 dicembre del 1994 era stato nominato nuovo direttore dal Comune. Dopo pochi giorni, un’influenza virale lo ha spento. I risultati del suo insegnamento a Terni possono essere valutati considerando anche solo gli allievi che ha formato: basti vedere come i presidenti o direttori artistici delle principali associazioni concertistiche di Terni siano stati suoi allievi: Angelo Pepicelli (Filarmonica Umbra); Silvia Alunni (Visioninmusica); Moira Michelini (Araba Fenice); Fabio Maestri (Opera InCanto); Fabio Ciofini (Accademia Hermans); Massimo Gualtieri (Orchestra del Teatro Verdi); Oltre a Pepicelli, Maestri, Gualtieri e Ciofini al Briccialdi – e Alessandro Bravo per il jazz – altri suoi allievi sono oggi docenti in altri conservatori – ricordiamo Carlo Palleschi e Claudio Veneri (Perugia); Laura Palleschi (L’Aquila); continuano un’attività indipendente in campo musicale; o insegnano educazione musicale. Fausto Mastroianni, nato a Colleferro il 15 gennaio del 1932, era stato un bambino musicalmente precoce: nel 1942, a dieci anni, allievo della maestra Aversa, aveva superato brillantemente da esterno l'esame di quinto anno di pianoforte a Santa Cecilia a Roma. Subito dopo, la vita per lui cambiò repentinamente: già orfano di padre – ingegnere chimico, era morto un paio di anni prima cercando di salvare gli operai della fabbrica di esplosivi di Colleferro – perse anche la madre, maestra elementare, per tifo. Da allora, e fin dopo la guerra, la sua vita assomigliò in parte a quella dei ragazzini dei film neorealisti: sbattuto da un orfanotrofio all’altro, finì ad Anzio – ricoverato nel tunnel della ferrovia durante i bombardamenti che precedettero lo sbarco; e a Narni, nell’orfanotrofio posto sulla Flaminia, il cui edificio è visibile ancor oggi. Del periodo di Narni, amava ricordare come avesse compiuto i quattro viaggi Roma-Narni su una colonna fascista, un treno con l’aquila della Wehrmacht, una colonna della Croce Rossa con gli alleati, e l’auto del sindaco di Narni, che mostrava le bandierine rosse sovietiche; e di come la suora che dirigeva l'orfanotrofio fosse in ottimi rapporti con tutti – tanto che egli finì a suonare (di malavoglia) Beethoven per gli ufficiali nazisti, come le canzonette per la sottotruppa alleata. Finita la guerra, rientrò a Roma, vivendo col nonno Romolo Vaselli, riprendendo a studiare musica quale allievo interno del Conservatorio di Santa Cecilia, con docenti quali Renzo Silvestri per pianoforte, Luigi Ronga per la Storia della Musica, Franco Ferrara per le esercitazioni orchestrali, Ferdinandi e Goffredo Petrassi per composizione – con compagni di corso quali Irma Ravinale, Ivan Vandor, Fausto Razzi, Sandro Pennisi, Ennio Morricone. La composizione tuttavia – quale mezzo espressivo autonomo – non lo ha mai impegnato molto: musiche di scena per La Tempesta di Shakespeare per la regia di Eduardo De Filippo, per il saggio dell’Accademia di uno dei Pressburger, qualcosa per la danza; e poi… le canzoni per Laura Betti – per lo più su testi di Pasolini – che hanno portato in giro voce e pianoforte dai locali di Rimini al Maggio Musicale Fiorentino, negli anni Sessanta. Nel frattempo, alla metà degli anni cinquanta, l’esito lusinghiero del concorso pianistico di Vercelli lo aveva posto di fronte al dilemma se accettare una cattedra al conservatorio di Bologna, offertagli dal Maestro Franco Mannino, presidente della giuria del concorso; oppure – scelta che preferì – rimanere a Roma, per recarsi cinque giorni a settimana – a dieci minuti a piedi da casa – per accompagnare al pianoforte per un’ora e quaranta al giorno le allieve dei corsi superiori dell’Accademia Nazionale di Danza sull’Aventino. A parte la situazione lavorativa – circondato da mamme in attesa quali Ingrid Bergman, e giovani allieve quali Isabella e Isotta Rossellini, o Daniela Bianchi (la spia di 007 Dalla Russia con Amore) – all’epoca adolescenti – ma anche da quello che diventerà il Gotha delle insegnati di danza e coreografe della fine del Novecento (la firma quale Maestro al pianoforte sul diploma di Liliana Cosi era la sua) – l’ambiente dell’Accademia sembrava fatto su misura per chi riusciva a comporre semplicemente suonando: pur essendo uno dei più giovani elementi riuniti dalla fondatrice, Ja Ruskaja (Elena Borissenko) – fra compositori quali Boris Porena, Aldo Clementi, pianisti quali Franco Calabria, Franco Grani, Annamaria Orlandi, organisti quali Eric Harndt, Mario Caporaloni e Franco Zammerini (titolari di San Pietro, San Giovanni e Santa Maria Maggiore) e del giovane direttore Carlo Frajese – Fausto Mastroianni dimostrò subito la capacità di trasferire in musica, all’istante, le indicazioni che gli venivano date: servivano otto battute in un certo stile su cui eseguire una sequenza di passi? Le variava ogni volta, lasciando ritmo e armonia inalterati per le danzatrici. Il coreografo voleva un valzer in 5 ? Detto – fatto ! Ciò lo aveva portato a essere mandato a gestire alcune delle situazioni più musicalmente interessanti – e insidiose per l’Istituto – che si presentavano, collaborando con coreografi quali Kurt Joos, Juan Corelli, Jean Cebron. Oltre questa attività, Fausto Mastroianni ha tenuto un buon numero di concerti – pur non cercandoli mai – con una vetta di popolarità ottenuta al San Carlo di Napoli. Infine, è stato convinto da Carlo Frajese a presentarsi al concorso a cattedre nazionale (aperto a chiunque in Italia), per una seconda cattedra di pianoforte per il Briccialdi. In quel momento, l’istituto contava solo cinque cattedre di strumento: pianoforte sez. A (dello stesso Frajese); violino e viola (Antonio Marchetti); violoncello (Leonardo Boari); tromba e trombone (Alberto Ceccarelli); forse clarinetto (Orazio Rega?). Alla sua morte, le classi del Briccialdi erano diventate fra le venti e le trenta, e dei nuovi docenti Angelo Pepicelli, Massimo Gualtieri, Fabio Maestri e Carlo Palleschi si erano diplomati con lui – e Carlo Podestà aveva seguito un anno di perfezionamento da interno. Se il Bricialdi oggi è come è, lo si deve anche all’opera di Fausto Maria Mastroianni.

* Gregorianista, archivista – paleografo e giornalista pubblicista

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