Festival dei 2Mondi

Giorgio Ferrara al Festival dei Due Mondi, 13 anni di passioni, novità e qualche errore

La memoria è sempre troppo corta in un paese come l’Italia, dove troppo spesso spariscono all’orizzonte i ricordi di fatti e persone che invece segnano momenti e circostanze che possono essere considerati veri punti di svolta.

In Umbria, poi, la questione si fa determinante. La memoria infatti è cortissima. Ecco perché è interessante ripercorrere i 13 anni di gestione nella Direzione Artistica del Festival di Spoleto operata da Giorgio Ferrara.

E così ricordiamoci, se possibile, di quel 2007-2008 vero punto di svolta nella storia del Due Mondi, allorquando dopo anni di disastrosa conduzione, sopratutto in termini finanziari, della manifestazione da parte di Francis Menotti, figlio adottivo del fondatore Gian Carlo Menotti, il Festival passò sotto l’ombrello protettivo della Fondazione Festival, ma di fatto sotto la stretta supervisione del Ministero dei Beni Culturali (al tempo guidato da Francesco Rutelli), che era anche il maggior finanziatore della manifestazione.

Messa in sicurezza la struttura organizzativa e finanziaria con un primo robustissimo finanziamento (quasi il doppio del fondo abituale) per dare un segnale e una prima spinta inequivocabile anche da parte del Ministero, Giorgio Ferrara è stato messo, sin dal 2008 appunto, nella condizione di elaborare programmi artistici che potessero mantenere alto il blasone del Festival.

Un’operazione da far tremare i polsi per il confronto inevitabile con il compianto M° Gian Carlo Menotti, ma non impossibile se si è comunque gente di spettacolo come Ferrara.

Da subito è apparso chiaro che l’indirizzo che il nuovo Direttore Artistico (e per 6 anni anche Presidente della Fondazione) intendeva percorrere era quella di smarcarsi dalla pesantissima eredità menottiana, ma senza stravolgere il criterio della multidisciplinarietà.

Rimasto inalterato lo schema per cui la manifestazione è fatta di teatro, musica, danza, oltre tutte le consuete collateralità dell’arte e degli spazi culturali in generale, Ferrara ha tentato già dalla prima edizione di stupire con effetti speciali, spostando nettamente la barra su ciò che gli era più congeniale, ovvero il teatro.

2008 – Arriva l’Elefante

Se qualcuno dunque si aspettava (come in effetti fu) che Ferrara come apertura del primo anno di gestione a suo nome, scegliesse un’opera della grande tradizione, si è ritrovato invece a fare i conti con un elefante: uno vero in carne ossa e proboscide.

Parliamo del grande colpo ad effetto di Padmâvatî di Albert Roussel, qualcosa a metà tra l’avanguardismo dei primi del ‘900 e una bomba di colori alla Bollywood con tanto di Elefante a spasso per Corso Mazzini e conseguente grande attenzione di media e pubblico.

Aveva ragione Giorgio Ferrara a dire che, a quel tempo, a Spoleto non voleva venire più nessuno, né gli artisti, né il pubblico, a causa della terra bruciata fatta dal “Menotti” figlio adottivo. Quando si dice che buon sangue non mente ecco, in quel caso, si trattò di un bluff ematico assoluto.

Ferrara nel 2008 dunque si arrangia come può e catapultato nella plaza de toros allestisce qualcosa che doveva produrre l’effetto di una cardioversione al malato agonizzante.

E’ anche l’anno degli amici fedeli come Luca Ronconi, Franca Valeri, e sopratutto Robert-Bob- Wilson che lo sosterranno anche nelle edizioni successive. Ma anche l’anno di Victoria Abril, musa di Pedro Almodovar che verrà al Festival più volte.

Da subito il settore danza appare un po’ appannato, ma non è facile trovare in circolazione e libere da impegni compagnie di grido. Assistito e consigliato da subito dall’etoile Alessandra Ferri nella prima edizione post rivoluzione, il nome più importante è stato Ater Balletto (in coabitazione con la Compagnia Antonio Gades. Gades in persona, prima della sua prematura scomparsa era stato al Festival da protagonista verso la fine degli anni ’70).

Si mette in scena Men Only, a mosaic of dances sorta di maratona di danza su coreografie di artisti famosi, come Jerome Robbins.

Un genere, quello della maratona o di serate dedicate alle étoile internazionali che si ripeterà più volte nei 13 anni quasi sempre con grande successo di pubblico e un po’ meno di critica, per la poca innovazione e proposta.

Concerto di chiusura in Piazza Duomo con la London Symphony Orchestra diretta da Daniel Harding, e tradizione rispettata con musiche di Stravinsky, Brahms e Strauss.

2009 – Ti basta Woody Allen?

E per far capire che le cartucce non erano state sparate tutte nel primo anno, Ferrara apre Spoleto52 con il solo Gianni Schicchi del noto trittico pucciniano Il Tabarro, Suor Angelica e appunto Gianni Schicchi.

Il motivo del solo aprire con lo Schicchi è presto detto: la regia e l’allestimento è nientemeno che quello di Woody Allen, che omaggerà Spoleto di un suo saluto personale, mandando a supervisonare sul posto il fido scenografo e costumista Santo Loquasto. Direzione affidata a James Conlon che diventerà una pietra d’angolo dei Festival targati Ferrara. Per Gianni Schicchi arriva poi a Spoleto anche il produttore dello spettacolo, un certo Placido Domingo.

Ma questo è tutto! Nel senso che per qualche anno Ferrara non si convincerà a proporre, anche per motivi economici, la seconda Opera come sempre si era verificato in precedenza (salvo poi cambiare idea più tardi e a fasi alterne), proseguendo dunque nello smarcamento dal metodo menottiano.

Ma è anche l’anno di Pina Bausch che doveva essere presente al Festival di persona ma che morirà proprio il 30 giugno in apertura della manifestazione e a pochi giorni dal debutto al Teatro Nuovo.

Inizia anche la importante collaborazione con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico che tanti giovani porterà a Spoleto.

Tornano Bob Wilson, con due pièce, e Luca Ronconi. Il comparto Teatro si rafforza in maniera straordinaria. Alla fine sul sito del Festival, saranno ben 5 le pagine di spettacoli dedicate al settore nel 2009.

Ma è anche l’anno del primo tabù infranto. L’aria si era già capita con l’apparire in scena di Elio (Elio e le Storie Tese) che dedicava uno spettacolo a Figaro il Barbiere, ovviamente su musiche di Rossini.

E così Ferrara, noto appassionato di George Gershwin, chiuderà Spoleto52 in Piazza Duomo, nel tempio della musica classica, con l’Orchestra sinfonica G.Verdi di Milano diretta da Wayne Marshall, con un intero programma dedicato appunto a Gershwin.

Qualche sventurato in Piazza Duomo arrivò a dire “ma se volevo ascoltare il jazz allora andavo ad Umbria Jazz”. Sventurati appunto, senza un minimo di cognizione di causa e nemmanco effetto.

2010 – La certezza del metodo

Rassicurato dal positivo andamento, sempre con valori crescenti di pubblico e critica, dei primi 2 esperimenti, il 2010 per Ferrara e il Festival rappresenta una svolta.

Si può fare un Festival di livello anche senza gli aiutini degli amici fidati (vedi Wilson e Ronconi).

Apertura con Gogo no Eiko di Hans Werner Henze su testo di Yukio Mishima e le scenografie di Gianni Quaranta (già assessore alla cultura del Comune di Spoleto). Dirige l’Orchestra Verdi di Milano, Johannes Debus. Fa capolino per la prima volta per i costumi anche Maurizio Galante che tornerà acclamato nelle edizioni successive (la trilogia Mozart-Da Ponte)

Cambia anche la Danza e a Spoleto tornano le comagnie americane come il Cedar Lake Contemporary Ballet che andrà in scena al Nuovo.

Nel teatro si osa e sopratutto si cambia indirizzo geografico. Vista la tendenza a sposare una macro area come fil rouge della manifestazione, ecco andare in scena al Caio Melisso la straordinaria Descendents of the Eunuch Admiral , storia metafisica giapponese di attori e marionette in scena contemporaneamente. Indimenticabile.

Internazionalità assicurata con John Malkovich e il suo The Infernal Comedy

Sarà un giovanissimo Diego Matheuz (all’epoca 25enne) a chiudere Spoleto53 dirigendo in Piazza Duomo l’Orchestra Verdi su musiche di Bernstein e Mahler. Più che rassicurante per gli orfani menottiani.

L’attraversamento del deserto

Dopo aver descritto con qualche dettaglio in più i primi 3 anni di neo-direzione artistica, per meglio comprendere le difficoltà di riprendere in mano uno dei Festival multidisciplinari più vecchi d’Europa e forse anche del mondo, e vista l’unicità del metodo Menotti, quelle successive al 2010 e almeno fino al 2014, sono edizioni che potremmo definire di affinamento con sprazzi di lucidità e qualche scelta non del tutto felice.

Come nel caso dei reading letterari, una vera fissa della direzione artistica.

Reading in cui il grande richiamo a volte è il solo nome dell’artista, ma il contenuto lascia perplesso una parte degli spettatori che si rendono conto dopo qualche minuto di essere lì solo per osservare dal vivo una celebrità.

Anche in questo caso con qualche fortunata eccezione, come nel 2011 con Le città invisibili di Italo Calvino lette da Massimo Popolizio con musiche dal vivo di Javier Girotto.

Ma sono anche anni in cui si inizia ad osare e a creare una programmazione che esce dal solco del cosidetto classico. Sempre nel 2011 desta un certo scalpore uno spettacolo di Burlesque al Caio Melisso, insolitamente sempre molto affollato o lo spettacolo dell’umbro Filippo Timi Giuliett′e Romeo – m′engolfi l′core, amore che farà letteralmente crollare il Teatro Romano.

Mentre l’apertura di Spoleto54, per non fare torto a nessuno, sarà in sitle amarcord con Amelia al Ballo di un giovane poco più che 20enne, Gian Carlo Menotti

Nel 2012 lascia perplessi l’apertura di Spoleto55 con l’opera Il giro di vite-The turn of the Screw di Benjamin Britten. Qualcosa di diverso ma anche molto distante, senza attenuanti sulla novità e senza contare che ancora una volta si torna all’opera unica. Fortunatamente però tornano Wilson e Ronconi, punti di forza attrattivi senza discussione.

Rivoluzione, rivelazione

Nel 2013 ci penserà Carla Fendi a volere per il restaurato Teatro Caio Melisso una edizione memorabile del Il matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, con i costumi di Piero Tosi e la regia di Quirino Conti.

Si torna così alla seconda opera in programma, alla quale poi si aggiungerà anche una divertentissima Croquefer & Tulipatan di Offenbach. La prima del Festival sarà affidata invece ad Alessandra Ferri per un lavoro da una sua idea –The Piano Upstairs. Ecco, a proposito di strane decisioni su cui discutere a perdifiato.

Ma la rivoluzione passa anche da Isabella Rossellini che porta Green Porno al Chiostro di San Nicolò, dove non si trova un biglietto nemmeno a peso d’oro.

O anche rivelazione con il solido Bob Wilson che riunisce a Spoleto due attori del calibro di William Defoe e Mikhail Baryshnikov in The Old Woman. E si torna a respirare aria di Due Mondi con la speranza che l’attraversata del deserto sia giunta al termine.

Ciliegina sulla torta il duello finale tra Verdi e Wagner nel programma del Concerto finale di Spoleto56 diretto dal solidissimo James Conlon.

Buon viatico anche per Spoleto57 che aprirà con una proposta molto interessante anche se non una vera opera unica come sempre ci si aspetta. Si tratta del trittico di atti unici dedicato alle musiche di Berlioz, Poulenc e Schönberg con la direzione del vulcanico John Axelrod.

Torna a recitare anche Giorgio Ferrara in persona che con Adriana Asti darà vita a Danza Macabra per la regia di Luca Ronconi.

Arrivano anche due pesi massimi come Gérard Depardieu e Anouk Aimée per uno dei soliti reading che non lascieranno tracce tranne qualche eccesso dietro le quinte del solito debordante Depardieu. Ma anche questo è Festival del resto.

E sarà anche l’anno della prima volta a Spoleto di Tim Robbins e l’anno del concerto finale con un programma su Il musical americano degli anni Quaranta e Cinquanta.

Quasi un delitto di lesa maestà, diretto dallo specialista Wayne Marshall che torna dopo Gerschwin del 2009 a terrorizzare gli orfani menottiani.

Un tango e una luce in fondo al tunnel

Giorgio Ferrara, direttore artistico, sembra andare dritto per la sua strada e con il 2015 inzia un triennio di Festival che probabilmente è stato il più ricco e fortunato in assoluto, artisticamente parlando.

Merito anche della grande attenzione per la trilogia firmata da W.A. Mozart (Così fan tutte, Nozze di Figaro e Don Giovanni) che ha aperto rispettivamente le edizioni 58-59-60 del Festival.

Seguendo la linea della programmazione triennale imposta dal Mibact, Ferrara scrive tre programmi che segnano il ritorno definitivo del Festival all’attenzione internazionale.

Complice lo stupendo passo di tango di Botero immortalato nel manifesto ufficiale di Spoleto58 (poi presente anche in città), ormai per tornare al Festival si fa la fila.

Lo dicono i numeri e sopratutto i diretti interessati, le attività economiche della città (quelle direttamente coinvolte ovviamente) che tornano a fare affari d’oro per tutta la durata della manifestazione.

Una programmazione sul Teatro di grande rilievo, con Wilson che dirige ancora Baryshnikov in Letter to a Man, la stupenda favola del Semianyki Express (primo accenno di contatto con il teatro dell’Est europeo), The Dubliners parte I (già rappresentato nel 2014 al Festival) e II di Giancarlo Sepe e molto altro.

Anche la danza torna a livelli di grande interesse. Arriva, tra gli altri, Eleonora Abbagnato per una soirée dedicata a Roland Petit, e la sulfurea Sara Baras con Voces, una stupenda suite flamenca.

Spoleto59, l’esplosione…

Spoleto59 ritorna alla doppia opera in programma e con Nozze di Figaro (messa in scena strepitosa e costumi di Maurizio Galante da sogno) si inizia a sperimentare anche il contemporaneo con una video opera di Adriano Guarnieri con la regia Cristina Mazzavillani Muti, L’Amor che move il sole e l’altre stelle. Un allestimento di grande impatto al Chiostro di San Nicolò.

La danza fa un notevole salto di qualità e oltre al ritorno della Abbagnato con Carmen, per la prima volta si esibisce a Spoleto la Batsheva Dance Company con la direzione artistica di Ohad Naharin. Forse il più bello spettacolo di danza contemporanea visto negli ultimi 20 anni al Festival. E per non farsi mancare nulla una serata con Roberto Bolle and Friends.

Il programma teatrale esplode letteralmente di pezzi pregevoli e di grande interesse, da Tim Robbins a Emma Dante, Moni Ovadia e Bob Wilson con una piece ispirata a John Cage. Le regie affascinanti di Rimas Tuminas e Eimuntas Nekrosius.

E’ l’anno del Dj di fama internazionale Jeff Mills in piazza Duomo e di Tim Robbins che regalerà alla città anche un concerto rock -country fuori programma .

Si chiude a Piazza Duomo con uno dei concerti più belli ed interessanti per i tanti significati di discontinuità con il passato dei 13 anni del Festival, dopo la rinascita del 2008.

Sir Antonio Pappano che dirige l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia su musiche di Arnold Schönberg , Franz Lehár e George Gershwin -Rhapsody in Blue che verrà eseguita , nella parte solista, da uno scatenato Stefano Bollani.

Ovvero la prima volta assoluta di un jazzista puro nell’appuntamento più tradizionale e formale del Festival dei Due Mondi.

Un’edizione letteralmente esplosiva.

Il terremoto non ferma il Festival

Il 2017 è un anno che metterà a dura prova l’intera regione e ovviamente anche tutto il sistema dell’accoglienza e delle manifestazioni umbre di livello che rischiano di vedere vanificati gli sforzi fatti in precedenza per creare un prodotto unico.

Come nel caso del Festival che reagisce e non si ferma. Giorgio Ferrara anzi, sembra investire artisticamente sulla possibilità che la stessa manifestazione diventi un polo di attrazione e di rilancio.

A Spoleto60 arriva la musica contemporanea di Silvia Colasanti che rompe un muro di diffidenza ed anzi apre una percorso virtuoso che la porterà a scrivere per il Festival ben 3 nuovi lavori originali. Suo il Requiem dedicato alle vittime del sisma del 2016.

E a suggellare musicalmente una edizione dal profilo fortemente emotivo, un concerto finale diretto dal M° Riccardo Muti

In mezzo un programma denso di proposte ormai di livello indiscutibile. Citiamo a memoria l’Oedipus Rex di Rimas Tuminas, Troilo vs Cressida del duo Ricci-Forte, La Scortecata di Emma Dante, Hamletmachine di Bob Wilson, Roberto Bolle, Eleonora Abbagnato e molto altro.

Con l’apertura affidata al Don Giovanni con la direzione di James Conlon, la regia dello stesso Ferrara i costumi di Maurizio Galante e le scene dei premi Oscar Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, si chiude la trilogia mozartiana e con Spoleto60 ha termine anche il primo ciclo virtuoso della direzione di Giorgio Ferrara.

The last dance

C’è tempo ancora per un triennio prima della fine del mandato di Direttore Artistico e Giorgio Ferrara è pronto per un finale degno di nota.

Spoleto 61 si apre con il Minotauro di Silvia Colasanti. Un passaggio rapido dalla tradizione operistica mozartiana alla contemporaneità più asciutta, ma di grande fascino introspettivo sopratutto se si affronta un tema come quello del Mito classico.

E’ un successo che apre una edizione di grande respiro in un anno, il 2018, che sembra segnare la ripresa dopo i danni del terremoto.

Ancora nomi di grande importanza come Lucinda Childs nella danza, o The Beggar’s Opera di Robert Carsen (considerato il primo esempio di musical moderno), ma anche Silvio Orlando, Alessandro Baricco, il visionario Romeo Castellucci che allestirà il suo spettacolo nella palestra di una scuola della periferia spoletina e un finale in Piazza Duomo, ancora una volta diverso dalla tradizione. Giovanna d’Arco al rogo di Arthur Honegger con protagonista l’attrice Marion Cotillard. Una proposta non facile e riuscita solo in parte. Decisamente meglio Gerschwin.

E poi, Spoleto62

Spoleto62 è l’edizione in cui Ferrara disorienta di più il pubblico e sembra di nuovo pronto ad un nuovo cambio di rotta in attesa del gran finale della sua direzione nel 2020.

Si comincia con Proserpine di Silvia Colasanti, un lavoro di grande fascino, con dei costumi evocativi ad opera di Vincent Darré e le scene di Sandro Chia.

E fatta eccezione per alcune proposte nel solco delle esperienze precedenti come Emma Dante con Esodo, Eleonora Abbagnato in un galà di stelle della danza sotto l’ombrello di Daniele Cipriani, o gli interessanti Bauhaus 1919-1933 Il Cantiere della Modernità o Marisa Berenson nel Berlin Kabarett, la virata verso il pop e la dissonanza con l’ortodossia menottiana si fa nettissima.

Arrivano a Spoleto Mahmood, fresco vincitore di Sanremo 2019, ( l’evento scatenerà un putiferio di richieste e di commenti non del tutto benevoli), Vinicio Capossela e la vertigine cantautorale, e Stefano Bollani con Hamilton De Holanda, già protagonisti in duo, anni prima a Umbria Jazz.

Ma lo spettacolo che più farà tremare il Festival dalle fondamenta è un rutilante circo di emozioni , colori e suoni, tecnologicamente impressionante che risponde al nome di Jean Paul Gaultier Fashion Freak Show.

Solo un numero per capire, se possibile: 6 bilici (autoarticolati) stracolmi di materiale scenico, tecnico e di sartoria che scaricano in pieno centro storico. Uno staff intero di tecnici che ha praticamente sostituito in tutto e per tutto i bravissimi tecnici spoletini.

Una prima e 3 repliche solo per Spoleto e per l’Italia e poi via, a Londra. Un evento unico e bellissimo ma assolutamente fuori dagli schemi, proprio come devono essere certi spettacoli del Festival.

Forse lo spettacolo che ha incarnato meglio la transizione artistica della Direzione artistica di Giorgio Ferrara al Due Mondi. Contemporaneità e rottura degli schemi con maggiore attenzione ai cambiamenti in corso nella società.

E poi venne la pandemia.

Il resto è storia recente e già descritta. Ferrara, che aveva pronto un programma bellissimo per Spoleto63, suo canto del cigno, si è visto costretto a rintuzzare la difficoltà causata dalla pandemia e nonostante tutto, anche grazie alla volontà della città di non voler rinunciare del tutto alla manifestazione, si è riusciti a mettere in pedi due weekend onorevoli e con proposte di sicuro interesse, sempre piene entro i limiti consentiti e gradite dal pubblico.

Meno cordiale del solito però l’atteggiamento di Giorgio Ferrara che, per qualche motivo legato al termine del suo mandato di Direttore Artistico, è rimasto in disparte nel corso dei due weekend del 2020, mentre tutti coloro che gli hanno riconosciuto grandi meriti, anche pubblicamente, si aspettavano un abbraccio caloroso.

Ma Tant’è. Resta un lavoro prezioso durato 13 anni che è consultabile da tutti nei minimi particolari, una operazione che solo a pensarla nel 2008 sembrava impossibile e che invece, nonostante le cassandre, i fattucchieri del pensiero ortodosso, un terremoto ed una pandemia, ha prodotto risultati che possono rendere orgoglioso chiunque.

Sopratutto se i conti di casa sono in ordine come sempre è stato e la festa non costa un soldo di più al contribuente di ciò che è scritto a bilancio preventivo (grazie anche al lavoro del prezioso staff).

Tutte le obiezioni sulla qualità degli spettacoli attengono solo alla sfera delle opinioni personali, sopratutto alla luce dei grandi cambiamenti intercorsi tra le prime edizioni menottiane e quelle degli ultimi 13 anni nel settore della cultura e dello spettacolo, specchio evidente della società contemporanea. Chi non riesce ancora a capirlo, vive come se stesse guidando con lo specchietto retrovisore al posto del parabrezza.

E’ fin troppo evidente che al giorno d’oggi contano, più di ogni altra cosa in un Festival, i venditori di spettacoli, le famose agenzie degli artisti, che spacciano cultura e arte come un qualsiasi prodotto ortofrutticolo a prezzi abbordabili, facendo un sol boccone di ciò che un tempo era la creatività della produzione in proprio nello spettacolo.

E la polemica continua sulle scenografie fatte in casa come il maglione della salute di nonna o degli spettacoli creati appositamente nella nostra cucina (sempre in casa e da nonna) come la crostata, sono ormai perse nel vento, blowin’ in the wind.

Lo ha detto pochi giorni fa proprio Monique Veaute, successore (ormai effettivo e in carica) di Giorgio Ferrara, “Oggi non è più pensabile produrre scenografie in proprio per i costi insostenibili. Meglio le coproduzioni”. Amen!

“E grazie Giorgio Ferrara”. Se ripassa a Spoleto però, si fermi per un caffè. E non dimentichi i mocassini rossi. Portano di un bene… che te lo dico a fare!

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