Alexander Vantournhout ha sviluppato un linguaggio coreografico unico che attinge a tecniche di danza, arti marziali, circo, yoga.
“Alexander Vantournhout, classe 1989, è tra i coreografi più interessanti della nuova generazione. Due costanti ricorrono all’interno delle sue creazioni artistiche: la ricerca del potenziale creativo e cinetico nella fisicità e l’indagine su molti aspetti della relazione tra performer e oggetto. In pochi anni ha sviluppato un linguaggio coreografico unico che attinge a tecniche di danza, arti marziali, circo, yoga.
Through the Grapevine, settimo lavoro dopo La Rose en Céramique (2018) e Raphael (2017), è anche il primo duetto del coreografo belga, eseguito dall’autore insieme con Axel Guérin, già partner per Red Haired Men (2018). Un eccentrico pas de deux, in cui il corpo viene esibito nella sua forma più pura, mentre la performance scava nel potenziale creativo e cinetico dei suoi limiti fisici. Con grande concentrazione i due cercano l’equilibrio e l’armonia non rinunciando all’umorismo. Si sfidano a vicenda attraverso un costante contatto fisico, mentre la dialettica tra toccare ed essere toccati si dispiega come elemento centrale della performance“
Questo è quanto troviamo nel programma di sala che il Festival offre agli spettatori del Teatro Romano che nella serata di ieri, 25 giugno hanno potuto vedere Alexander Vantournhout e Axel Guerin spendersi quasi fino alla consunzione fisica in una serie di figure e movimenti che sono appunto una performance, come giustamente riportato sopra.
Dunque una mutazione, non soltanto in termini, di quella che normalmente definiremmo come danza contemporanea. L’assenza quasi totale di musica o suoni, nessun oggetto o scenografia, luci quanto basta e addirittura la necessità quasi ovvia di ridurre anche il costume ad uno short minimale, una sorta di costume da bagno, fa sembrare tutto lo spettacolo come quelle esibizioni un po smargiasse che i giovanottoni degli anni ’60, quelli alla Alberto Sordi in spiaggia per intenderci, mettevano in scena per fare colpo sulle ragazze.
Con una enorme differenza: qui lo sforzo fisico è assolutamente vero e continuo per 60 minuti circa. E considerato che Vantournhout e Guerin non sono fisicamente proprio degli “omaccioni”, il dubbio che si possano rompere da un momento all’altro attanaglia in più di una occasione i presenti.
Performance e timore
A noi cronisti di campagna ovviamente piace scherzare e una simile descrizione potrebbe dare luogo a qualche risentimento, ma garantiamo senza nessuna maliziosità, che la performance desta assoluta attenzione, quasi come a dire “e adesso vediamo come va a finire”. Così tanta attenzione che le paure del pubblico sulla incolumità dei due performer (in questo chiamarli ballerini è sinceramente fuori luogo) scatena una sorta di sindrome della compassione (la cum passio latina) tanto che ad ogni passo delle evoluzioni più simili alla pratica dell’acrobata da circo, scatta l’applauso liberatorio. Ci scappa anche qualche risata per l’immancabile gioco dell’intreccio fisico dei corpi, che si annodano e confondono in forme meta-umane, quasi come nei bestiari medievali.
Il salvifico finale, con la liberazione dei due corpi dalla schiavitù del movimento compulsivo, accade dopo meno di 60 minuti di performance e un paio di chili in meno per Vantournhout e Guerin. E tuttavia a chi osserva, soprattutto quelli con qualche anno di anzianità nella frequentazione festivaliera sulle spalle, rimane fissa una domanda “ma dove l’abbiamo già vista questa roba?”.
Il Festival dei Due Mondi ha la coda lunga, ed ha in se una specificità che si avvicina molto alle risultanze della legge di Lavoisier: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Sono passati da noi nel tempo compagnie come Pilobolus, Momix, ISO e più recentemente i Kataklò (quest’ultimi non al Festival specificatamente) dove l’utilizzo della performance umana come forma espressiva non è certo quella che si potrebbe definire “questa sconosciuta”. E dunque alla coppia Vantournhout- Guerin andrebbe detto “bentornati” più che “benarrivati” al Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Il pubblico applaude e gradisce,, con qualche fans scatenato incluso, come spesso accade negli spettacoli di danza del Romano.
Peccato solo che il teatro fosse pieno a metà, nonostante l’abbordabilità dei biglietti. Nella speranza che il riempimento altalenante, alla fine non diventi per Spoleto 65 un problema.
Foto Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)