Firmato da Sharon Eyal e Gai Behar / L-E-V, Into the Hairy è uno degli eventi di Spoleto66. Presente l'ambasciatore di Israele, Alon Bar
Che cos’è una iniziazione? L’insieme dei riti e delle cerimonie con i quali si sancisce il passaggio di un individuo o di un gruppo da uno status a un altro.
E cos’altro poteva essere Into the Hairy, spettacolo attesissimo della compagnia L-E-V del duo Sharon Eyal e Gai Behar, visto ieri sera al Teatro Nuovo di Spoleto per il Festival dei Due Mondi di Spoleto, se non una iniziazione?
Come sempre siamo nel campo delle ipotesi, stante il fatto che ogni singolo spettatore riceve una informazione e osserva e sente qualcosa che non può essere solo per postulato identica a ciò che prova il vicino di poltrona.
Molto utile, per comprendere di più in questo senso, può essere ciò che dice la stessa Sharon Eyal e che viene riportato nel libretto di sala.
“Non voglio vedere la coreografia, voglio vedere la magia. Voglio sentire e voglio che le persone sentano quello che voglio dare loro”. E proseguendo, “per quanto mi riguarda, forma mentale, impegno fisico e tecnica di danza sono un tutt’uno. Quando si è esausti, quando i muscoli sono come in fiamme, l’emozione sale in superficie e diventa impossibile fingere o costruire un discorso. Si può essere solo nel presente”.
Senza scomodare la mistica e concezioni arcaiche della ritualità iniziatica (i famosi 40 giorni nel deserto), basterà citare un esempio molto più vicino a noi, seppure a cavallo tra ‘800 e ‘900. Parliamo delle danze ideate da Georges Ivanovič Gurdjieff.
Sharon Eyal e l’esperienza di Gurdjieff
Gurdjieff sosteneva, che la vita umana è ordinariamente vissuta in uno stato di veglia apparente prossimo al sogno; e per trascendere lo stato di sonno ipnotico elaborò uno specifico metodo di danza per ottenere un livello superiore di vitalità, per giungere al Ricordo di Sé. Il tutto passando attraverso lo sforzo fisico al limite dell’estenuante.
Se dunque Into the Hairy, che tradotto può voler dire molte cose, ma tutte riconducibili ad uno stato primigenio dell’essere (dentro il peloso, nello scabroso, nell’oscuro irsuto se non addirittura l’interno dell’organo riproduttivo femminile), è il luogo e il tempo di una trasformazione, ecco che ci accorgiamo di come possa essere naturale parlare di iniziazione dei corpi che passano da uno stato di veglia ad uno di piena coscienza.
Tutto questo è possibile con una esperienza di danza, che normalmente definiremmo contemporanea, ma che secondo il principio di Gurdjieff è funzionale all’ottenimento di un passaggio animico da uno stato ad un altro di coscienza. Una azione senza tempo !
La bruma al Teatro Nuovo
Non è un caso che lo spettacolo del duo Sharon Eyal e Gai Behar si è tenuto al Teatro Nuovo, all’interno di un luogo “consacrato” come un tempio, e che, quando il pubblico è entrato per sedersi al proprio posto, era avvolto in una sorta di nebulosità diffusa, una bruma nordica. Non si trattava di un effetto ottico ma di una vera contaminazione tra ciò che si sarebbe visto poco dopo sul palco e ciò che doveva essere il luogo dell’osservazione asettica.
Per meglio spiegare, Into the Hairy è tutto danzato su un palcoscenico completamente spoglio e in una penombra costante dove persiste una nebbiolina che opacizza i contorni e obbliga ad immaginare anche oltre la capacità visiva effettiva. Ed in attesa che il sipario si aprisse lo stesso effetto di opacizzazione era presente anche in teatro. Una tangibile condizione di sacralità prima dello svolgimento un rito iniziatico.
Gli scettici diranno che si è trattato solo di un po di fumo di scena passato da un ambiente ad un altro. Ma alla fine chi può dirlo realmente cosa fosse?
Into the Hairy è un balletto che definire faticoso è un complimento. Chi si dovesse aspettare evoluzioni circensi e muscolari evidenti in palcoscenico, sappia che tutto questo non sarà ciò che si potrà vedere.
E l’origine della fatica assoluta, quella che la Eyal definisce come “i muscoli in fiamme”, è legata ad una serie impressionante di piccoli movimenti anche ripetuti e di deframmentazione del corpo che reagisce in maniera sincrona alla stimolazione della musica. Una composizione originale del londinese Koreless, tra i musicisti e producer più influenti della nuova generazione. In un mix di contemporanea, ambient, garage o trance.
Definitivamente non descrivibile oltre, come coreografia, Into the Hairy è una esperienza che va vissuta, se si vuole passare da una dimensione ad un altra.
Per chi ha avuto la fortuna di vedere all’opera, a Spoleto59 (2016), la Batsheva Dance Company, di cui Sharon Eyal è stata per anni protagonista e musa dell’osannato coreografo Ohad Naharin, sa che nel lavoro Into the Hairy è rintracciabile una parte dell’esperienza del celebre metodo Gaga di Naharin.
Ma coniugare la vecchia esperienza della Batsheva con il lavoro di L-E-V (cuore in ebraico) è poco utile per la comprensione dello spettacolo. Sempre che si intenda comprenderlo e non invece abbandonarcisi dentro, cosa che consigliamo vivamente.
Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti sold out e pubblico in visibilio per quello che è senz’altro uno degli spettacoli di punta di Spoleto66. Affrettarsi al botteghino per le repliche fino al 3 luglio.
Ambasciatori, glamour e milonghe
Solo un dettaglio glamour in più il fatto della collaborazione pluriennale di L-E-V con la maison Christian Dior Couture, di cui Maria Grazia Chiuri è stilista e la direttrice creativa che firma i costumi dello spettacolo.
E grande dispiegamento di forze dell’ordine con cani specializzati nella ricerca degli esplosivi e agenti del Mossad, per l’arrivo a Spoleto dell’ambasciatore di Israele in Italia, Alon Bar.
Il diplomatico di alto rango è stato avvistato a ben 3 spettacoli, all’Auditorium della Stella, al Teatro Caio Melisso per la prima di Letitia Casta e infine al Teatro Nuovo per la prima di Into the Hairy.
E infine, forse una coincidenza o una curiosità di quelle che piacciono tanto a noi giornalisti, cialtroni e di campagna. Estenuarsi per la danza fino a far bruciare i muscoli ci ha fatto tornare in mente un pezzo dell’amato Paolo Conte, Alle prese con una verde milonga, in cui l’avvocato astigiano racconta, ““Alle prese con una verde milonga il musicista si diverte e si estenua…io sono qui sono venuto a suonare, sono venuto ad amare e di nascosto a danzare…“. Ma non sparate sul Giornalista (o sul pianista, a piacere)
Foto: Festival dei Due Mondi