Portrait si svolge tutto in un lungo rettangolo completamente nero, disposto orizzontalmente rispetto alla lunghezza del palco
Non capita spesso di rimanere in uno stato contemplativo e meditativo durante un particolare balletto o il dispiegarsi di una coreografia in uno spettacolo di danza contemporanea. Complici i molti elementi artistici di uno spettacolo come la musica i costumi o le luci, spesso si è portati a considerare volta per volta la loro influenza sul movimento dei ballerini e quasi a distrarsi.
Ma al Festival dei Due Mondi capita anche che certe strutture dello spettacolo si annullino e una compagnia di danza come quella vista al Teatro Romano nel primo weekend della 67^ edizione (29 e 30 giugno), guidata dallo spiritato e simpaticissimo Mehdi Kerkouche, crei una situazione in cui le componenti classiche della coreografia si annullino per riunirsi in un solo unico effetto, quasi ammaliante. Come un lancio nel vuoto appesi ad una corda, una sorta di esercizio quotidiano per riscoprire il senso ed il “peso” della propria vita.
In Portrait Kerkouche, che nel 2017 ha creato la compagnia EMKA coinvolgendo gli artisti conosciuti nei suoi precedenti progetti, esplora le relazioni intrafamiliari, proseguendo una lunga ricerca fatta sulle relazioni interpersonali e sull’equilibrio del gruppo fra legami spezzati e riconciliazioni. Un tipo di ricerca che proprio nella coreografia spoletina raggiunge un punto centrale di equilibrio e di metodo, vorremmo aggiungere.
Il palcoscenico che racconta tutto
All’ingresso del Teatro Romano l’unica cosa visibile e chiara come sempre accade in questo magnifico luogo di spettacolo è la dominanza del palcoscenico che nel caso di Portrait è quasi interamente predisposto con una copertura bianca, immacolata, al cui centro però campeggia un lungo rettangolo completamente nero, disposto orizzontalmente rispetto alla larghezza del palco. Un luogo geometrico dalle sembianze familiari.
E bastano i primi 10 minuti di danza per capire! Una sorta di stato di tranquillità che si impadronisce dei tanti spettatori presenti e li trasporta in una dinamica “familiare” dove il racconto si fa esplicito, passo dopo passo, ma lasciando intravedere un percorso, probabilmente decisivo, per raggiungere il vero punto centrale in cui tutto si ricompone.
Ballare nel Monolito
Il rettangolo nero diventa ben presto una superficie molto nota e dalle proprietà riparatrici. Un luogo in cui tutto si aggiusta e che è abbastanza capiente anche per una famiglia che tende a dividersi. Ogni sconfinamento dalla stessa non promette mai nulla di buono, anche se il movimento continuo della danza consente di entrare ed uscire da quel luogo, fatto di una evidente soprannaturalità.
Solo un altro elemento similare aveva avuto un potere tale, quello di chiudere il cerchio delle cose, del tempo e della materia che cambia. Il Monolito di 2001: Odissea nello spazio, il celebre film di Stanley Kubrick. Ed è così che la superficie al centro del Teatro Romano diventa un Monolito Kubrickiano, adagiato e mai minaccioso, un luogo di ricomposizione e di costruzione di futuro.
I ballerini sperimentano al suo interno la pace e il benessere, sotto l’occhio vigile di un demiurgo che altri non è che il simbolo del matriarcato, una fascinosa donna adulta che veste di bianco e molto spesso indica il movimento o in altri casi si limita ad osservarlo, maternamente ed amorevolmente. E con lo stesso sentimento recupera alla unione di intenti tutti coloro che fuori dal Monolito vivono e sentono ciò che non li condurrà da nessuna parte.
Chi osserva ed ascolta seduto sui gradoni del Romano, perde cognizione dei confini sociali prestabiliti, ma riesce perfettamente a capire che il solo posto dove tutto è possibile è in quel rettangolo. La cura!
Bravura ogni oltre possibile valutazione e applausi scroscianti chiudono un weekend di superdanza a Spoleto.
Dimenticate tutto… le cose sono sempre più semplici
Se meditazione c’è stata, al termine di queste poche righe che vorrebbero raccontare una osservazione senza confini o regole, provate a dimenticare tutto. Del resto Portrait di Mehdi Kerkouche potrebbe sorprendervi ancora sotto altri aspetti, per tutte le volte che vorrete rivederlo.
“Il ballo appartiene ai momenti più belli della vita: feste, nozze, celebrazioni. Perciò può toccare la gente, dagli spettatori più informati a quelli totalmente digiuni.” (Mehdi Kerkouche)
Foto: Festival dei Due Mondi