Meno risorse per gli enti del diritto allo studio. E’ questo lo spauracchio che dallo scorso 21 giugno si aggira sulle sorti delle Agenzie incaricate, a livello regionale, di erogare servizi quali borse di studio, pasti nelle mense e alloggi per gli studenti delle università italiane. A leggerla così, la notizia potrebbe sembrare in controtendenza, data la maggiorazione di fondi destinati appunto dal Miur proprio per il diritto allo studio: appena poco più di un mese fa, e per l’esattezza lo scorso 12 giugno, Il Sole24 Ore aveva parlato dell’aumento delle “risorse che lo Stato mette a disposizione per il diritto allo studio salite a 217 milioni, a cui si aggiungono poi i fondi regionali e quelli in arrivo dalle tasse“.
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Il punto è che questa volta la battaglia si gioca tutta tra Ministeri, e nello specifico tra il dicastero dell’Istruzione e quello delle Finanze: è infatti l’Agenzia delle Entrate ad aver chiesto agli Enti per il Diritto allo Studio di versare l’IVA sui servizi per gli enti universitari. Tradotto: a livello nazionale si stimano perdite per 250 milioni di euro totali, come riferisce l’ANDISU, l’organizzazione nazionale che coordina tutte le agenzie di diritto allo studio in Italia.
Cosa è successo e perché
Per fare chiarezza su quanto sta avvenendo è bene fare un passo indietro: fino ad oggi nessuno (o almeno il 99%) degli Enti di Diritto allo Studio ha pagato l’IVA su tutti i servizi erogati agli studenti. La legge a riguardo ha lasciato ampia interpretazione e nel 2013 la stessa Agenzia delle Entrate aveva ribadito che la norma generale era quella che svincolava le Adisu a pagare l’imposta. Nel 2016 qualcosa però è cambiato: l’Agenzia ha infatti deciso che l’IVA va invece versata, lasciando però la libera autonomia alle singole entità regionali. Si è venuta così a creare una ‘pericolosa’ dicotomia, con una legge nazionale poco chiara, per la quale sembrerebbe valere anche la retroattività.
E allora, senza una norma generale, accade che in Toscana il braccio di ferro con il fisco rischia di costare al Dsu circa 9 milioni di euro all’anno, dal 2011 (perché appunto vale la retroattività e l’IVA dovrebbe essere applicata anche agli scorsi anni) e 45 milioni, in un computo totale, fino al 2016. Dall’altra parte della penisola, in Sicilia, l’Agenzia delle Entrate ha deciso di non far applicare il pagamento delle imposte. In generale comunque si calcola che in tutta Italia, la “manovrina ammazza diritto allo studio” (così ormai viene chiamata) peserà nei bilanci degli enti per 30 milioni di euro e fino a 200 milioni in caso di retroattività. Dall’IVA, sia chiaro, sono comunque escluse le borse di studio.
Una riflessione va dunque fatta guardando alla proporzione tra le perdite e i fondi stanziati per le Agenzie per il diritto allo Studio per quest’ultimo anno. I fondi sono in totale 216 milioni per il 2017. A livello locale, solo per citare alcune Regioni, sono: in Abruzzo 7,6 milioni; in Calabria: 8 milioni; in Emilia Romagna 20 milioni; in Umbria 7,1 milioni; in Veneto 8 milioni.
Al momento il Governo, tramite la Legge 96 del 21 Giugno 2017, prova a sciogliere l’interpretazione sul pagamento dell’IVA: “sono compresi i servizi di vitto e di alloggio resi in favore degli studenti universitari dagli istituti o enti per il diritto allo studio universitario istituiti dalle regioni”, si legge, e “sono fatti salvi i comportamenti difformi tenuti dagli istituti o enti fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, lasciando discrezione per l’applicazione della norma a livello regionale.
E in Umbria?
La situazione, ci dicono dal sindacato studentesco, non è affatto rosea. “Si calcola che la manovra costerà circa mezzo milione di euro“, afferma Dario Sattarinia dell’Udu – Sinistra Universitaria, presidente Commissione Studenti dell’Adisu a Perugia, in base a quanto emerso dal tavolo con il commissario Luca Ferrucci. “Facciamo appello a tutte le istituzioni per coprire quanto possibile. Non si possono tassare i servizi per il diritto allo studio, che tradotto vuol dire meno servizi per gli stessi studenti”. Un appello, quello di Sattarinia, rivolto anche a Parlamento e Ministero, perché “la questione deve essere risolta a livello nazionale. Il calcolo rischia poi di avere forti discrepanze, perché è fatto prima di settembre, quando si avranno i dati reali del numero di idonei ai servizi Adisu. La domanda è: noi come studenti, staremo a guardare? Mi auguro di no“. In Umbria, c’è da dire, le risorse stanziate per il diritto allo studio e per gli alloggi universitari sono aumentate negli ultimi anni: tutti dati giustificati dalle tabelle Istat, dal recente terremoto, dall’aumento di immatricolazioni.
La preoccupazione è forte anche a livello nazionale, dove c’è l’ANDISU a parlare. “La norma voluta dal governo – scrivono – andrà a colpire indirettamente gli studenti universitari visto che molti degli enti per il diritto allo studio chiuderanno in rosso i propri bilanci per il 2017, con il conseguente possibile taglio ai servizi o aumento del costo degli stessi”. “La legge rischia di mettere in difficoltà il diritto allo studio universitario a livello nazionale”, afferma Monica Barni, Vicepresidente della Regione Toscana. “Per questo, insieme all’ANDISU abbiamo deciso di realizzare un’indagine che rilevi il suo impatto negativo sui bilanci degli enti al fine di aprire un confronto costruttivo con il MEF e l’Agenzia delle Entrate e gli altri livelli istituzionali interessati”.
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