Da una parte gli agricoltori, che chiedono di risolvere in modo concreto il problema del proliferare dei cinghiali. Dall’altro le possibili incognite legate al Coronavirus per la caccia in battuta. Il tema cinghiale tiene insomma sempre banco.
Azienda devastata dai cinghiali: le foto
Confagricoltura Umbria prosegue la sua battaglia contro il proliferare dei cinghiali. E questa volta mostra i “segni” della devastazione: le foto del passaggio dei cinghiali sul terreno coltivato di un’azienda agricola, Giunti Moreno in località Morra a Città di Castello. L’azienda nel 2019 ha avuto danni alla produzione del 35%. Quest’anno sarà superato il 45%, si stima.
Le foto dall’alto dei danni provocati dal passaggio dei cinghiali sui campi coltivati dell’azienda agricola sono impressionanti.
Crescita senza controllo dei cinghiali
La situazione che sta vivendo questa azienda è possibile replicarla per tante altre realtà che denunciano una situazione non più sostenibile. Al loro fianco Confagricoltura Umbria che chiede un’azione comune per fronteggiare quella che ormai è una vera e propria emergenza. Una crescita senza controllo dei cinghiali, denuncia Coldiretti, ha portato infatti ad una sovrappopolazione della specie arrecando enormi problemi per gli agricoltori, per il territorio e per l’ambiente.
Rossi: più collaborazione dal Consiglio regionale
Confagricoltura sollecita, ancora una volta, interventi risolutivi da parte delle istituzioni. “Bisogna valutare i danni alle colture diretti ma anche quelli indiretti che creano problemi all’economia della regione e tutto questo va fermato e sbloccato” afferma il presidente Fabio Rossi.
“È necessario precisare – prosegue Rossi – che da parte dell’assessore regionale all’agricoltura Roberto Morroni c’è molta disponibilità ed è determinato a risolvere la problematica. Occorre però una maggiore collaborazione da parte di tutto il Consiglio regionale per perseguire azioni risolutive nell’interesse dell’economia, dell’ambiente e di tutto il territorio regionale”.
Insomma, il timore è che ciò che viene pensato a Palazzo Donini poi si perda nel vicino Palazzo Cesaroni.
“Queste sono situazioni – osserva ancora Rossi – dove non c’è spazio per il compromesso e le mediazioni, perché ci sono danni evidenti e ingenti che creano molti problemi alle aziende agricole oltre che provocare rischi sanitari per la popolazione. La situazione è insostenibile. Non possiamo permetterci azioni deboli ma dirette e forti”.
Invocati interventi sulle squadre
Confagricoltura ha richiesto un pacchetto di interventi urgenti, soprattutto per cambiare il meccanismo delle squadre dei cinghialisti. A cominciare dalla rotazione delle squadre, prendendo dei provvedimenti dove queste non rispettano quanto previsto; togliere tutte le aree non vocate, quelle agricole di pregio, dalla gestione delle squadre.
Le squadre però non ci stanno e rivendicano il lavoro finora fatto per il contenimento dei cinghiali.
Dopo la riunione di fine giugno con Atc e associazioni agricole la Regione ha messo per iscritto una serie di misure, tra cui un nuovo Piano di contenimento dei cinghiali e la revisione del sistema di assegnazione delle zone alle squadre.
Caccia al cinghiale, mappature da rifare
Ma secondo Confagricoltura Umbria anche l’attuale mappatura del territorio regionale in zone vocate e non vocate alla caccia collettiva al cinghiale “risulta del tutto inadeguata alla reale situazione, così come si è evoluta nel tempo per opera delle stesse attività di impresa agricola”. “Pensiamo – spiega ancora Rossi – a tutte quelle aree boschive o agricole nelle quali via via sono stati creati agriturismi. L’attuale mappatura, peraltro, include tra le aree vocate spazi adiacenti ai centri storici di Assisi, Gubbio, Todi con un’evidente contraddizione”. “Con il rischio che gli agricoltori abbandonino le aree marginali comportando grave pericolo di dissesto idrogeologico” aggiunge Rossi.
Indennizzi, agricoltori rassegnati
Rossi denuncia infine una sorta di “rassegnazione” da parte degli agricoltori a non chiedere più i danni in quanto il risarcimento non rispecchia mai il vero danno subito: “Considerando anche che il limite imposto dal ‘de minimis’, a cui è assoggettato l’indennizzo, è di massimo 15mila euro in tre anni. Una situazione non più sostenibile e il governo regionale deve quindi agire con più forza”.
L’esperienza dell’azienda Giunti Moreno
Raccontano i titolari dell’azienda Giunti Moreno: “Un problema grave è quello dei danni della fauna selvatica e negli ultimi anni è andato peggiorando. Siamo arrivati ad un punto di non ritorno. Lo scorso anno abbiamo avuto danni per un 35% del prodotto e quest’anno supereremo il 45%”. Gli agricoltori vogliono quindi una forte presa di posizione da parte delle Istituzioni: “I risarcimenti non sono reali, l’azienda non riceve il rimborso per il 100% dei danni. Noi chiediamo un risarcimento totale e delle misure per contenere il più possibile i cinghiali. Il problema non è solo relativo ai danni alle colture ma anche all’ambiente e al territorio”.
I rischi incidenti sulle strade
Quello dei danni da parte della fauna selvatica è un problema infatti che non è solo per l’agricoltura ma anche per le strade e la circolazione. È quindi sempre più necessario anche per Confagricoltura Umbria controllarne il numero.
“La diffusione dei selvatici – conclude Rossi – ha raggiunto dimensioni e copertura territoriale così ampia che ai già insostenibili danni all’agricoltura e all’ambiente si aggiungono i danni alle persone e alle strutture con un aumento esponenziale di gravi incidenti stradali e rischi sempre maggiori per la sicurezza dei cittadini e degli operatori agricoli durante l’attività lavorativa”.
Caccia in battuta, ipotesi mascherina anti Coronavirus
Intanto, a poco più di un mese dall’avvio della caccia al cinghiale in battuta (fissata al 18 ottobre dopo la mediazione tra Regione e alcune associazioni, in particolare Federcaccia ed Enalcaccia, dopo l’iniziale slittamento a novembre) le squadre iniziano a fare i conti con le ipotesi di possibili limitazioni in caso di un aumento dei contagi da Coronavirus. Tanto più che nei mesi passati Legambiente aveva chiesto lo stop alla caccia collettiva argomentandola con la necessità di tutelare i cacciatori dal Coronavirus.
L’ipotesi che circola, pur di non fermare la caccia in battuta, è quella di obbligare i cacciatori all’uso della mascherina quando non possono mantenere la distanza di sicurezza. Come è stato fatto ad aprile a Reggio Emilia per la selezione nelle zone affollate dagli animali selvatici. E come le associazioni venatorie sono pronte a fare nella provincia di Empoli.