Danni e gestione cinghiali, le squadre non ci stanno

Danni e gestione cinghiali, le squadre non ci stanno

Redazione

Danni e gestione cinghiali, le squadre non ci stanno

Il Comitato cinghialisti umbri attacca la Regione: modello in tutta Italia, il problema sono i parchi | Critiche sui cacciatori singoli
Mer, 24/06/2020 - 11:29

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Danni e gestione cinghiali, le squadre non ci stanno. E replicano alle accuse sulla gestione della fauna selvatica, accusando la politica. Dopo la mobilitazione della Coldiretti, che chiama in causa la Regione e gli Atc di fronte all’aumento dei danni provocati dai cinghiali, il Coordinamento regionale umbro squadre cinghialiste rivendica l’esperienza pluriennale nella gestione dei danni e della specie.

“Ricordiamo che l’Umbria grazie a buone leggi, sempre migliorabili, agli Atc e a tutto il comparto venatorio – affermano i cinghialisti – è una delle migliori regioni italiane nella gestione di questa specie, come dimostrato dai dati in possesso della Regione in fatto di abbattimenti e danni per kmq su terreni coltivabili”.

I dubbi sulle scelte della Regione

“Detto ciò non riusciamo a capire, e lo contestiamo fortemente – scrivono – perché la Regione si stia spostando da questo modello andando nella direzione delle altre regioni italiane, dove la situazione cinghiale è fuori controllo da anni, vedi Toscana, Emilia Romagna, Lazio, Liguria e tante altre”.

A febbraio 2019 l’autorevole rivista “Caccio e Tiro”, in un articolo a firma di un tecnico faunistico di fama internazionale quale Mazzoni della Stella, consigliava tutti gli Atc italiani a prendere da esempio la gestione dell’Atc Pg2 con l’ausilio delle squadre.

La funzione sociale dei cacciatori di cinghiali

“Ricordiamo alle istituzioni – prosegue il Comitato – la funzione sociale gratuita che svolgono i cacciatori di cinghiale iscritti alle squadre nel territorio umbro: abbattimenti selettivi, girate di contenimento, montaggio di recinzioni elettrificate, completamento dei piani di abbattimento, monitoraggio sanitario, smaltimento delle carcasse”.

“Consigliamo di verificare i piani d’abbattimento di alcuni nostri Atc privi di stime verosimili come R.R. determina redatti senza alcun criterio e atti solo ad attingere nelle tasche dei cacciatori al fine di far quadrare i conti. Intanto – scrive il Comitato – vi invitiamo a guardare tutte le quote spese per essere in regola come squadra a partire dalla quota iscrizione sempre in aumento, visita veterinaria per i 3 mesi di caccia più 50 euro per gli abbattimenti di contenimento fuori dal calendario venatorio, a cui vanno aggiunti altri 50 euro da corrispondere ai mattatoi per lo smaltimento dei residui analizzati, costo forfettario a una ditta per lo smaltimento delle carcasse, obbligatorio solo per le squadre – come se i resti dei singoli e dei selettori fossero costituiti da materia diversa e non inquinante -, adeguamento delle case di caccia con funzione da mattatoi e relativi scarichi”.

Eppure la “politica appena insediata” pare ascoltare “una sola campana”, lamentano le squadre dei cinghialisti umbri, al tavolo di concertazione. “Tutti i fondi a disposizione per i danni – ricordano – provengono dai cacciatori che pagano profumatamente le tasse regionali, nazionali e quote Atc per il mantenimento del porto d’armi per uso venatorio; anche noi cacciatori siamo cittadini, anzi prima di essere cacciatori siamo cittadini”.

Il problema cinghiali e altre specie

Le squadre riconoscono comunque che anche in Umbria esista un problema cinghiali. Che presto, prevedono, sarà affiancato dal problema cervidi e lupo oltre che, in misura minore, piccione, storno, gazza e cornacchia. Problemi di fronte ai quali va migliorata la gestione dell specie per garantire i giusti frutti “agli amici agricoltori”.

I parchi “allevamenti a cielo aperto”

“Purtroppo, da sempre – lamentano i cinghialisti – tutti i nostri suggerimenti cadono nel vuoto, trovando come unica soluzione l’aumento delle tasse per i cacciatori”.

Da anni le squadre ribadiscono che il vero problema cinghiale in Umbria, sia come densità sia come danni, è concentrato dentro e a ridosso dei parchi regionali, delle oasi, dei centri allevamenti e delle riserve private. “Tutti sono a conoscenza – scrive il Comitato – che i 7 parchi regionali sono allevamenti a cielo aperto, così come le oasi e le riserve private ed è qui che avvengono il 60/70% dei danni e degli incidenti stradali, ma nessuno se ne occupa, anzi evitano di verificare questi dati certificati dalle perizie degli agronomi della Regione e degli Atc (dati perizie per danni dei 3 Atc e perizie regioni per incidenti stradali). Da qui si evince una gestione poco corretta e un mancato dialogo tra le parti, basti pensare a cosa si fa per prevenire il danno”.

Per questo le squadre cinghialiste hanno mandato documenti alle associazioni venatorie e agricole, oltre che alle istituzioni, per confrontarsi su un modello di gestione che abbia come primo obbiettivo la prevenzione. “Ma nulla si è mai mosso in questa direzione – spiegano – non tenendo conto che, nel tempo, i cacciatori diminuiranno di numero e, di conseguenza, le risorse economiche porteranno a quote minori per il risarcimento e un conseguente aumento della specie e dei danni”.

Le proposte dei cinghialisti

Come prevenzione i cinghialisti hanno chiesto un fondo regionale dedicato, al fine di istituire delle recinzioni fisse elettrosaldate a corpo per le colture di pregio (vedi le recinzioni dei vigneti del Chianti in Toscana), come l’ortofrutta del Trasimeno o i vigneti doc dell’Orvietano e altro ancora. Ma tutto ciò è finito nel solito dimenticatoio.

Uniformare i regolamenti Atc

Sempre in merito alla gestione e prevenzione il Comitato suggerisce di uniformare i regolamenti interni dei 3 Atc e controllare l’operato mensilmente. “Perché non è possibile – scrivono a questo proposito – che su un Atc, e precisamente il 2, la situazione economica sia florida mentre negli altri due ogni anno ci si inventano tasse nuove d’iscrizione per i cacciatori di cinghiale”.

Inoltre propongono di istituire una filiera pubblica gestita e controllata dalla Regione con i capi da prelevare nelle aree protette, il cui ricavato venga impiegato per la gestione, dividendolo in tre parti uguali: prevenzione; fondo colture a perdere dentro le aree protette; immissione di piccola e media selvaggina stanziale nelle aree protette.

I “consigli” alla Regione e alla politica

“Consigliamo alla politica, prima di intraprendere iniziative avventate – prosegue il Comitato – di documentarsi sull’andamento dei danni da cinghiale nella regione ove troveranno evidente che dal 2007 ad oggi, grazie ad una gestione del territorio attraverso distretti e settori assegnai alle squadre, i risarcimenti sono stati ridotti del 50% o addirittura del 65% in uno dei tre Atc”.

Settori alle squadre per almeno 5 anni

Pertanto le squadre evidenziano la necessità di mantenere tale modello di gestione, delegando alle squadre l’intera gestione dei settori assegnati almeno per 5 anni.

Il Calendario venatorio e i cacciatori singoli

Il Comitato umbro delle squadre dei cinghialisti chiude con una “nota dolente” sul Calendario venatorio: “Ci si ostina di far cacciare i singoli, che poi singoli non sono perché sono tutte mini-squadre che arrivano anche alle 15 e più unità, forti dei mancati controlli dentro ai settori assegnati alle squadre. Mettendo in serio rischio i piani d’abbattimento delle squadre con conseguente pericolo di mandare al diavolo la buona gestione della nostra regione”.

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