Una soluzione per il riciclo delle scorie derivanti dalla produzione di acciaio inossidabile, industrialmente sostenibile, in linea con i più avanzati standard ambientali e coerente con le richieste di mercato. È questo il risultato ottenuto da Acciai Speciali Terni grazie all’innovativo progetto di recupero scorie, presentato oggi presso l’ambasciata finlandese di Roma. L’obiettivo è trasformare le scorie dell’acciaio inossidabile prodotto a Terni in materiali da riutilizzare e commercializzare. Una volta trattate, le scorie assumeranno le caratteristiche di materiali quali la ghiaia e la sabbia, recheranno la marcatura CE e potranno essere usate in alternativa ai materiali naturali per la costruzione di sottofondi stradali, oppure inglobate in una matrice bituminosa o cementizia per produrre calcestruzzi o asfalti.
L’individuazione della società finlandese Tapojärvi Oy come partner di Ast è avvenuta al termine di una gara internazionale, avviata a febbraio 2016, che ha visto la partecipazione dei più importanti operatori nel settore del trattamento e riciclo delle scorie in tutto il mondo: per l’occasione è stata costituita una commissione tecnica che si è avvalsa di esperti nazionali e internazionali. L’assegnazione del contratto a Tapojärvi è stata decisa nell’agosto 2018, mentre l’accordo formale è stato firmato a dicembre. L’intesa Ast-Tapojärvi si snoderà lungo un ampio arco di tempo: in base al contratto, la costruzione dell’impianto per il trattamento delle scorie richiederà due anni e le operazioni congiunte dureranno dieci anni con l’opzione addizionale di altri dieci anni di collaborazione.
L’impegno economico previsto da Tapojärvi in Italia è di 45/50 milioni di euro per i primi due anni, di cui 9 milioni in ricerca e sviluppo. Per Ast, l’investimento totale stimato, nei primi due anni, è di 12/15 milioni, mentre l’investimento complessivo oscillerà quindi tra i 57 e i 65 milioni di euro. Per quanto riguarda i benefici in termini di riduzione dell’impatto ambientale, AST sta quantificando il miglioramento che deriverà da tali investimenti con il supporto del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa. Di certo ad oggi c’è che il confinamento delle attività denominate “rampa scorie” e “metal recovery” in capannoni con idonei sistemi di convogliamento e trattamento dell’aria porterà ad una riduzione significativa delle emissioni diffuse e quindi un miglioramento del PM10 nelle zone adiacenti lo stabilimento.
La riprogettazione della logistica del processo di gestione della scoria porterà ad una riduzione delle emissioni diffuse derivanti dai trasporti interni. Il differente ciclo di gestione della scoria originerà materiali più compatti con minori emissioni polverose e di liscivazione e richiederà limitate quantità di acqua riducendo i consumi ed i successivi trattamenti. La riduzione dell’impatto delle cave sul paesaggio e del loro grave effetto sull’ambiente è un altro importante risultato di questo progetto: le scorie di acciaieria possono essere utilizzate infatti per la produzione di aggregati per sottofondi stradali o per conglomerati cementizi o bituminosi. In questo campo l’ostacolo più alto è rappresentato dalla concorrenza da parte di materiali alternativi di origine naturale come ghiaia o sabbia che, soprattutto in Italia, sono particolarmente a buon mercato e il cui consumo non è disincentivato da nessuna normativa, a differenza di quanto avviene in altri paesi europei, come ad esempio Olanda, Belgio e Germania.
Anche in Italia l’utilizzo dei materiali riciclati non incontrerebbe alcun impedimento tecnico o normativo, eppure nella pratica si tratta di una corsa a ostacoli, tra norme poco chiare e interessi stratificati nel tempo intorno alla gestione dei materiali da cava. In Italia è particolarmente difficile attribuire lo status di “sottoprodotto” ad un residuo derivante da un processo industriale; per questa ragione, le scorie, anche se destinate al riciclo, devono essere cedute come “rifiuto”, introducendo un’ulteriore complessità tecnica e gestionale sia per gli aspetti autorizzativi che per i successivi controlli cui deve essere sottoposto un impianto classificato come “impianto di trattamento rifiuti” per l’ottenimento di un End Of Waste (EOW).
A questo si aggiunge una scarsa chiarezza nelle norme per l’utilizzo: il decreto legislativo 205/2010 che ha recepito la direttiva europea 2008/98 sul riciclo degli inerti prevede la definizione dei criteri di riuso tramite decreti dei ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico. Ma i segnali di un cambiamento in questa direzione non arrivano e spesso i materiali riciclati non sono utilizzati per mancanza di informazioni certe e per la paura di incorrere in responsabilità penali o amministrative legate a un uso improprio dei materiali.
La sfida dell’economia circolare nasce proprio qui, perché solo grazie a una normativa chiara è possibile ridurre il prelievo di materiale e l’impatto delle cave sul paesaggio, dare nuova vita ad una cava dismessa e percorrere la strada del riciclo degli aggregati.
L’accordo Ast-Tapojärvi è perfettamente coerente con l’idea di “Economia circolare” cara alle due società. Quando si parla di circular economy, bisogna ricordare che a cavallo tra Settecento e Ottocento, l’industria si forgiava su un modello semplice e lineare: prendere, creare, smaltire. Con l’ingresso nel nuovo Millennio, la crescita della domanda e i costi delle materie prime sono andati di pari passo, con un incremento del 150%. Si stima oggi che tra 12 anni ci saranno 2,5 miliardi di consumatori in più e la transizione verso l’economia circolare è divenuta dunque un’esigenza. Così, in maniera progressiva e non immediata, il mondo sta provando a passare dalla linearità alla circolarità delle tre R: ridurre (gli imballi dei prodotti, gli sprechi di materie prime), riusare (allungando il ciclo di vita dei beni) e riciclare (gli scarti non riutilizzabili). In pratica, risorse, capacità, cicli di vita e rifiuti diventano un’opportunità e non più uno spreco, in un sistema capace di rigenerarsi da solo.
L’espressione “economia circolare” fa riferimento proprio a questo: a una concezione alternativa di produzione e consumo dei beni, in cui un rifiuto di lavorazione invece che smaltito, con i suoi relativi costi e danni all’ambiente circostante, viene trasformato e reimmesso nel ciclo produttivo e tecnico dell’azienda. L’economia circolare ha una lunga storia di teorizzazione. Presentata nel 1966 dall’economista Kenneth Boulding, la concezione è ripresa dieci anni dopo in una relazione di Walter Stahel e Genevieve Reday presentata alla Commissione europea, dove si elencavano tutti i vantaggi in termini di creazione di posti di lavoro, risparmio di risorse e riduzione dei rifiuti. Dopo quarant’anni, l’economia circolare ha riacquistato forza con la comunicazione COM(2014) 398 della Commissione europea “Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti”, sottoscritta per affrontare le nuove criticità legate allo smaltimento dei rifiuti.
Il centro di ricerca specializzato Ellen MacArthur Foundation ha sottolineato come in Europa l’economia circolare possa generare un beneficio economico da 1.800 miliardi di euro entro il 2030, con una spinta di 7 punti percentuali sul PIL e 3 sulla produttività annua delle risorse. Secondo gli studi della Commissione Europea, fare delle scelte in ottica “circolare” creerebbe oltre 500mila nuovi posti di lavoro in tutta Europa: l’uso efficiente delle risorse è uno dei principali fattori di competitività delle imprese, considerato che il 40% dei costi che il settore manifatturiero europeo mediamente sostiene è attribuibile alle materie prime.
La prevenzione dei rifiuti, la rigenerazione, la riparazione e il riciclaggio possono generare risparmi netti per le imprese europee pari a 600 miliardi di euro, ossia l’8% del fatturato annuo, riducendo nel contempo l’emissione di gas serra del 2-4%.
Anche AST ha voluto rimarcare la volontà di aderire a questo modello. D’altronde il ciclo siderurgico costituisce già oggi un esempio virtuoso di “economia circolare” applicata con successo: la produzione di acciaio mediante la tecnologia del “forno elettrico” costituisce un esempio virtuoso di “economia circolare”. L’acciaio è tra i materiali più riciclati al mondo perché, anche grazie alla conservazione in maniera permanente delle sue proprietà peculiari (resistenza, duttilità, formabilità, resistenza alla corrosione per gli inossidabili), raggiunge tassi di riciclo elevatissimi che vanno dal 75% degli imballaggi, all’85% dei prodotti da costruzione, al 90% di veicoli e macchinari (dati Federacciai).
Un passo ulteriore verso le linee guida europee di economia circolare è rappresentato dalla possibilità di recuperare i residui generati dal processo siderurgico, primo fra tutti la scoria (pari a circa il 25-30 % dell’acciaio prodotto), che è proprio l’obiettivo del progetto presentato oggi da AST.
Comincia così il percorso che porterà Terni a diventare un polo d’eccellenza nella gestione delle scorie di acciaieria per acciaio inossidabile. Se è vero che il concetto di economia circolare risponde al desiderio di crescita sostenibile, la scommessa di AST sulla gestione delle scorie assume un particolare valore: un grande sito siderurgico compie un altro passo verso l’ambizioso obiettivo di “rifiuti zero”.